Grandi imprese
L’economia spagnola cresce tra elezioni e scontri. Parla l’avv. Bolognini
La situazione in Catalogna resta critica con manifestazioni – anche violente – a sostegno dell’indipendenza e contestazioni al pronunciamento della Corte Suprema contro i leader catalani. Se Barcellona piange, Madrid di certo non ride. Nella capitale infatti regna l’incertezza politica, con i cittadini che saranno chiamati alle urne il prossimo 10 novembre dopo il tentativo fallito di avviare un governo a seguito delle elezioni del 28 aprile. Pedro Sanchéz, leader dei socialisti, dovrà riconfermarsi contro i due principali avversari, il popolare Pablo Casado e Albert Rivera di Ciudadanos, oltre a Podemos (sinistra) e Vox (destra).
L’economia spagnola, tuttavia, nonostante queste difficoltà socio-politiche, sta continuando a correre e negli ultimi mesi ha fatto registrare risultati sorprendenti dal punto di vista economico. Un aumento del Pil del 2,6% nel 2018 e le previsioni della Banca di Spagna che hanno indicato ulteriori risultati positivi pari al +2,2% per il 2019. Tra coloro che hanno una visione privilegiata su quanto sta accadendo nella penisola iberica c’è l’avvocato d’affari italiano Marco Bolognini, classe 1975, di origini venete e residente da 20 anni in Spagna, dove ha fondato Maio Legal, uno dei principali studi d’affari nel Paese, con sedi a Madrid, Barcellona, Valencia, Siviglia, Vigo e Città del Messico.
Avvocato, partiamo dall’attualità e dalla sentenza emessa dai giudici spagnoli sugli indipendentisti catalani che ha provocato feroci proteste a Barcellona.
«La lettura che si può dunque dare di quello che sta succedendo non può essere univoca. La sentenza che è stata emessa ha soddisfatto una parte dell’opinione pubblica, ha scontentato i conservatori spagnoli più radicali, ha sicuramente fatto arrabbiare (e non poco) gli indipendentisti e chi con gli indipendentisti cerca di arrivare ad accordi pre elettorali. Non dobbiamo dimenticare infatti che la Spagna fra meno di un mese tornerà alle urne, tornerà a votare per il governo nazionale e non è chiaro quale sarà il risultato. Di sicuro il fatto che la sentenza sia stata abbastanza dura avvantaggia in qualche modo il premier uscente Pedro Sanchez, accusato spesso di connivenza indiretta con gli indipendentisti per una sorta di lassismo nella gestione della questione catalana».
Una sentenza che secondo lei avrà forti ripercussioni sul piano politico?
«Ovviamente tutto ciò allontana in un futuro prossimo la possibilità che vi sia un accordo di governo tra Sanchez e le minoranze, basche e catalane, che in Parlamento vengono sempre rappresentate e sono vicine alle istanze indipendentiste. Questa situazione permetterebbe a Sanchez di avviare dialogo per un più sorprendente progetto di appoggio esterno, magari con il Partito Popolare, il partito del centrodestra spagnolo, come protagonista. Ritengo comunque che gli ardori e le scalmane di questi giorni passeranno e passeranno abbastanza presto. Dopotutto Barcellona è una città stupenda, la Catalogna è una regione incredibile e con un ottimo livello socio economico e questo rende tutti alla fin fine più tranquilli: la pancia piena tranquillizza gli animi».
Dunque ricapitolando la politica spagnola non attraversa un momento brillante, la disoccupazione resta comunque significativa, ma l’economia fa registrare dei dati sorprendenti e gli spagnoli, come ha detto, continuano ad avere la pancia piena. Cos’è che fa la differenza, rispetto a un’Italia stagnante, ferma, irrigidita da tempo per quanto riguarda gli indici di crescita?
«E’ vero la Spagna continua a crescere. Malgrais tout, si prevede che il 2020 segnerà una crescita vicina al 2%, mentre il 2019 dovrebbe chiudersi con una cifra del 2,2-2,3% (secondo il Fondo Monetario Internazionale). La Spagna, quando la crisi colpiva duro, è stata capace di posizionarsi molto favorevolmente nei confronti di tutta l’area latino-americana. Ha esportato aziende e investimenti, e ha quindi saputo stimolare gli investimenti di ritorno non appena le cose sono migliorate. Allo stesso tempo, è stato fatto un importante sforzo di “promozione” del sistema Paese non appena sono cominciate a suonare le (sinistre) sirene della Brexit. In questo modo Madrid si è validamente proposta come alternativa “low cost”, ma parimenti efficace in termini qualitativi, per le aziende in uscita dal Regno Unito. Così, le ottime e moderne infrastrutture, l’alto livello di preparazione del personale specializzato e i costi del lavoro calmierati, hanno contribuito in maniera sostanziale ad attirare investimenti significativi dall’estero».
In Italia il nuovo Governo parla di interventi mirati sul mercato del lavoro e soprattutto annuncia un intervento strutturale sul cuneo fiscale. In Spagna cosa è stato fatto?
«Per quanto concerne, più nello specifico, il mercato del lavoro, la Spagna – già dal 2012 in poi – ha ristrutturato e ripensato le regole rendendolo più flessibile, cosa che evidentemente è piaciuta al tessuto imprenditoriale e, dopotutto, anche ai lavoratori che hanno visto aumentare le opportunità di impiego. In ultimo, la Spagna ha mantenuto un cuneo fiscale inferiore – nettamente inferiore – a quello esistente presso altri membri dell’Eurozona, come l’Italia stessa. Secondo dati recenti dell’Ocde, infatti, la Spagna si è attestata attorno nel 39,4% nel 2018, contro il 47,9% dell’Italia. Una bella differenza, a ben vedere. A fronte di salari mediamente simili (e non eccelsi, se paragonati ad altri Paesi più ricchi), la Spagna ha conservato una maggiore morigeratezza impositiva, che ovviamente favorisce non solo l’impiego ma anche i consumi».
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