Ambiente

L’economia circolare, il modello del futuro che fa bene a imprese e ambiente

22 Giugno 2018

Esce un nuovo modello dell’iphone? Lo compriamo e buttiamo quello vecchio. Il nostro frigorifero si rompe? Ne compriamo uno nuovo. Ce ne freghiamo delle conseguenze che comportamenti di questo tipo causano all’ambiente, generando rifiuti tossici. È il nostro sistema economico che funziona così e ci ha abituati in questo modo, un modello di tipo lineare. Prendiamo le materie prime, le usiamo per costruire e produrre qualcosa, consumiamo il prodotto e poi lo buttiamo. Dopo, ricominciamo daccapo. Usiamo e buttiamo e soprattutto inquiniamo.

Pensate al fatto che nell’Unione europea ogni anno si usano quasi 15 tonnellate di materiali a persona, mentre per ogni cittadino UE si genera una media di oltre 4,5 tonnellate di rifiuti l’anno, di cui quasi la metà è smaltita nelle discariche. L’economia lineare, che si affida esclusivamente allo sfruttamento delle risorse, non è più un’opzione praticabile.

Un modello economico diverso e più sostenibile esiste: è il modello dell’economia circolare, in cui sono previsti prodotti di scarto e le materie prime vengono costantemente riutilizzate al fine di creare valore. Si tratta di un sistema completamente opposto a quello lineare, e di sicuro più sostenibile per tutti nel lungo periodo. È un modello economico pensato per autorigenerarsi attraverso i materiali biologici (reintegrati nella biosfera) e quelli tecnici (destinati ad essere rivalorizzati).

L’obiettivo è prima di tutto, quindi, pensare un sistema che produca in modo tale da poter riutilizzare i materiali usati in produzioni precedenti, e poi restituire all’ambiente le parti biologiche incrementando così la produzione agricola. Utilizzare materiali compostabili, produrre usando energie rinnovabili e poter riciclare, riutilizzare metalli, polimeri e leghe di cui sono fatti per esempio i nostri iPhone o i nostri frigoriferi, per far sì che mantengano le loro qualità e continuino ad essere utili anche se il prodotto di cui facevano parte non funziona più. Quel che normalmente si considerava come “rifiuto” può essere trasformato in una risorsa. Un sistema di questo tipo gioverebbe all’ambiente, alla società e anche all’economia.

La transizione verso l’economia circolare però richiede la partecipazione e l’impegno di diversi gruppi di persone. I decisori politici devono saper offrire alle imprese condizioni strutturali, prevedibilità e fiducia, valorizzare il ruolo dei consumatori che devono essere agevolati e spinti a compiere scelte consapevoli nella direzione del riuso e di abitudini non inquinanti. Il mondo delle imprese può riprogettare completamente le catene di fornitura, mirando all’efficienza nell’impiego delle risorse e alla circolarità. L’economia circolare può aprire nuovi mercati, che rispondano ai cambiamenti dei modelli di consumo: dalla convenzionale proprietà all’utilizzo, riutilizzo e condivisione dei prodotti. Inoltre, può concorrere a creare maggiore e migliore occupazione.

Al timone del passaggio a questo modello economico si trovano le imprese. In Europa e in Italia ci sono già esempi pratici di economia circolare: grandi aziende aderenti a GEO, il Green Economy Observatory che mettono in pratica modelli di economia circolare oppure startup che puntano sul riciclo e sul riuso per fare impresa. In Italia, ad esempio, Barilla ha lanciato il progetto “Cartacrusca” producendo carta dalla crusca, cioè dallo scarto derivante dalla macinazione dei cereali lavorata insieme alla cellulosa. Mapei (società italiana di produzione di materiali chimici per l’edilizia) ha sviluppato Re-con Zero: si tratta di un additivo innovativo che trasforma in pochi minuti il calcestruzzo reso (cioè il calcestruzzo fresco non utilizzato, considerato uno scarto) in un materiale granulare che può essere utilizzato come aggregato per la produzione di nuovo calcestruzzo.

Poi ci sono i grandi colossi dell’energia come Eni, che investono in tecnologie che permettono il recupero dei rifiuti e degli scarti urbani e industriali, trasformando la raffinazione e la chimica puntando su produzione bio e circolarità. Tutto questo servirà peraltro a stimolare una spesa crescente anche in Italia (nel piano sono previsti 4 miliardi di euro entro il 2021) e a creare un nuovo indotto con relativi posti di lavoro e professionalità innovative. Un esempio concreto della strategia è la trasformazione della raffineria di Porto Maghera in Bioraffineria, tanto da aver avviato pochi giorni fa la prima raccolta di oli alimentari esausti prodotti nelle abitazioni dei propri dipendenti affinché siano trasformati in biocarburanti di alta qualità. L’obiettivo, oltre all’avvio di una vera e propria economia circolare, è quello di trasformare un rifiuto potenzialmente dannoso per l’ambiente in una nuova risorsa energetica.

 

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