Grandi imprese

La difesa delle nostre “industrie strategiche”: attenti al boomerang

13 Aprile 2020

In una fase economica mondiale così turbolenta è inevitabile avere, ovunque, aziende che ne usciranno molto indebolite o in forte crisi, ma anche aziende che riusciranno a “reggere” e, in alcuni casi, a rafforzarsi. C’è da aspettarsi quindi che immediatamente dopo la fine dell’emergenza, specie quando si potrà ricominciare a viaggiare, le aziende con disponibilità economiche maggiori potrebbero cogliere l’occasione per acquisire il controllo di quelle i cui proprietari per un motivo o l’altro hanno deciso di vendere.

Il problema che quasi tutti si pongono quindi è: che cosa difendere, da chi, e in che modo. Premesso che se è lo Stato ad essere proprietario direttamente o indirettamente della società in questione la decisione di vendere o meno sarà presa automaticamente tenendo conto già di valutazioni di politica industriale, quando l’azienda in questione invece è privata fino a che punto dovrebbe essere permesso l’intervento statale per impedire l’ingresso di un nuovo socio o un cambio di proprietà?

L’Italia, come altri in Europa, si è dotata da tempo di meccanismi tesi a proteggere alcuni settori come energia, trasporti, comunicazioni e difesa attraverso i cosiddetti “Golden Powers” che prevedono un regime autorizzativo diverso per acquisizioni provenienti da aziende di paesi UE e non UE. Negli ultimi giorni però, dopo analoghe iniziative prese in Spagna, il nostro governo ha pensato di estendere questo sistema autorizzativo a settori ben più ampi di quelli soprammenzionati.  Il “Decreto Liquidità” infatti include tutte le acquisizioni di aziende nei settori delle tecnologie avanzate come intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, nanotecnologie e biotecnologie, nonché il settore bancario e assicurativo, ma anche l’editoria ed i media (con l’obiettivo di garantirne “la libertà ed il pluralismo”). Inoltre, virientrano tutte le aziende che forniscono “fattori produttivi critici” o impegnate nella sicurezza alimentare.  Mentre per alcuni settori è ben chiaro che cosa si voglia difendere, per altri si è forse un po’ “sparato nel mucchio”: per capirci, una cosa è cercare di mantenere il controllo italiano di Intesa Sanpaolo, un’altra quello di una banca più piccola presente solo a livello locale. E se tra i fattori produttivi critici rientra l’acciaio, come la mettiamo con ILVA? E infine, per quanto riguarda la “sicurezza alimentare”, a cosa ci si riferisce? Difficile pensare che un produttore di pasta, per esempio, sia un’industria strategica. Insomma, sembra che il legislatore abbia cercato di lasciare sufficiente discrezionalità per interpretare le norme. Non è il massimo se si tiene conto che abbiamo a che fare con una burocrazia spesso imprevedibile e con un partito al governo (5 Stelle) il cui leader tempo fa considerava “strategica” anche un’azienda dolciaria.

Alla successiva domanda (“da chi” difendersi), il Decreto Liquidità ha dato una risposta diversa da quella spagnola: non solo da acquirenti extra UE (come fa la Spagna) ma anche da acquirenti intra-UE, solo che c’è una differenza nelle soglie che fanno scattare la notifica, più alte se l’acquirente è intra UE. Anche qui, permettetemi di esprimere qualche perplessità: passi per i settori come la difesa della quale ogni paese UE è gelosissimo (purtroppo, direi), ma per il resto ce n’era veramente bisogno?

Le misure per ora saranno in vigore solo fino a dicembre 2020, ma la tentazione di prorogarle sarà forte; bisogna essere vigili e richiedere una revisione critica non appena la situazione sarà stabilizzata, anche per evitare contromisure da altri paesi. Le imprese italiane infatti non vanno viste solo soggetti deboli e “passivi” ma anche forti ed attivi, come dimostrano le recenti acquisizioni importanti all’estero. Alcune imprese potrebbero trovarsi in una condizione unica per tentare di espandersi comprando concorrenti o fornitori in giro per il mondo: vogliamo che altri glielo impediscano? E infine, se la compagine azionaria non può (o non vuole) continuare l’attività dell’azienda italiana, nonostante eventuali aiuti pubblici, e gli unici compratori possibili sono stati bloccati in quanto stranieri, quali sarebbero le alternative? Finanziamenti a fondo perduto? Chiusura? Se si pensa alla nazionalizzazione, siamo sicuri che lo Stato imprenditore che entra in controllo di settori come le banche, le assicurazioni, le tecnologie avanzate, i media (?) o l’agro-alimentare sia la soluzione per un paese come l’Italia? Qualche dubbio dovremmo avercelo.

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