Grandi imprese

ILVA, ignorare l’opzione gas ha portato allo stallo attuale

21 Novembre 2019

La crisi e il successivo commissariamento dell’ILVA nasce da problematiche di natura ambientale. Le polveri e i gas generati dalla fabbrica a Taranto creano problemi di salute, soprattutto nei quartieri della città che sono cresciuti a ridosso dello stabilimento. Questi problemi ambientali, data la tecnologia, creano quindi un conflitto tra la salute degli abitanti delle aree limitrofe da una parte (art. 32 Cost.) ed il lavoro (art. 4 Cost.) e la strategicità industriale di Ilva per il Paese dall’altra. In un’area territoriale in cui l’occupazione, soprattutto giovanile, è un dramma.

Ci si sarebbe quindi aspettato che la procedura d’asta desse un peso elevato al rispetto di questi due obiettivi di rilievo costituzionale. Anche perché la risoluzione del problema della salute, oltre ad avere rilievo diretto, aveva un importante rilievo indiretto sulla sostenibilità del piano: vi era il timore degli investitori di nuovi interventi della magistratura per motivi ambientali, timore escludibile a fronte di un piano “verde”.

Invece non era così: il prezzo era il criterio di gran lunga più rilevante, pari al 50% del punteggio. Una ponderazione assurda, perché poteva favorire anche un soggetto interessato ad acquisire ILVA per chiuderla e che quindi pagava il prezzo come “dote” per la chiusura. La colpa di questa scelta, incoerente con i dettami costituzionali e che poteva favorire obiettivi opposti a quelli del Governo, viene data ai burocrati dell’Unione Europea. Salvo un colpo di scena rilevante, quando l’Unione Europea scrive al Governo per ricordare i rischi di antitrust che pendevano su Mittal e specificare che la scelta dei pesi è tutta italiana.

Questi pesi anomali pongono in secondo piano la VARIABILE TECNOLOGICA, che invece è fondamentale per la risoluzione dei problemi dell’Ilva. Già il commissario Bondi aveva ipotizzato un piano che prevedeva l’apertura al gas che, riducendo drammaticamente le emissioni, avrebbe consentito di ridurre o eliminare i problemi di salute, ma anche quelli occupazionali e di redditività: con il gas si poteva superare il vincolo delle 6/8 milioni di tonnellate che servivano per tutelare la salute. Ogni milione di tonnellate in più prodotte consente di aumentare il numero di occupati di circa 1.000 unità e quindi si possono evitare
esuberi. Non solo: maggiori volumi produttivi consentono maggiori economie di scala e rendono Ilva più competitiva.

L’unico soggetto non interessato a questo era Mittal che probabilmente gioiva per i vincoli quantitativi imposti alla produzione dell’Ilva che rendevano la sua offerta più competitiva:
1. possedendo già troppa capacità produttiva in eccesso in Europa, era meglio che Ilva non producesse troppo;

2. l’applicazioni di soluzioni previste dal piano ambientale ad i suoi impianti in giro per l’Europa avrebbe eroso i profitti. Quindi meglio che Ilva non diventasse uno standard (e di gas non si doveva parlare).

Vista la rilevanza del gas, tecnologica e per il commissario Bondi, non ho mai capito che fine avesse fatto questa opzione. Quando ho chiesto lumi all’ex ministro Carlo Calenda ho ricevuto spiegazioni non rilevanti, riprese nei suoi video:

1. Lo dice Mittal che ha la fabbrica più grande a gas in Europa: 0,5 milioni di tonnellate. È una microfabbrica (Jindal ed il fratelli ne hanno due da 3 milioni in India e Oman ed i moduli che i producono questi impianti oggi li propongono prevalentemente con moduli da 2,5m e 5m di tonnellate) e Mittal non ha interesse che si vada sul gas, per le ragioni discusse sopra;

2. Arvedi (che faceva parte della cordata di Jindal) ha chiesto sussidi/il gas a prezzi americani che non si possono dare per norme europee: anche questo non è un metodo di analisi perché tutti gli imprenditori se possono chiedono supporti, anche se non necessari, per ampliare i loro margini;

3. nel piano di Jindal il preridotto viene introdotto nel 2023, a fine gestione commissariale, quindi la potevano fare o non fare, si tenevano le mani libere e lo proponevano senza crederci. Questo punto credo sia fattualmente sbagliato perché la costruzione dell’impianto richiede circa 28 mesi e quindi per farlo entrare in funzione nel 2023 la costruzione doveva cominciare nel 2019/2020 (subito e nel pieno della gestione commissariale);

4. senza gas sussidiato la produzione non sta in piedi: a questo sono state date cifre precise in merito alla competitività del pre-ridotto che si ottiene con il gas, utilizzando i prezzi del gas disponibili sul mercato di Amsterdam, non quelli sussidiati.

Nella tabella che segue si vede che il costo vivo (euro per tonnellata) del preridotto (DRI) è pari a 176,9  europer tonnellata in base ad un prezzo del gas di 0,19 dollari US per normal-metro cubo. La cifra sale a 194,9 euro per tonnellata se si considera l’ammortamento su 10 anni degli impianti che economicamente è simile al costo del capitale per remunerare l’investimento in questi impianti (tipico di un’analisi finanziaria).

Di fronte a questi commenti nessuna risposta. Allora è legittimo chiedersi, data la rilevanza dell’argomento: sono state adeguatamente considerate le analisi sul gas dai commissari? O hanno fatto la stessa fine dei pesi di salute, lavoro e continuità aziendale?

Le analisi indipendenti servono proprio a scegliere strade importanti, che incidono sulla vita di decine di migliaia di persone, sulla base di analisi rigorose ed obiettive. Se queste analisi non sono state considerate adeguatamente, si sta proseguendo su una strada che crea conflitti insanabili tra salute e lavoro e che crea tensioni inutili con la magistratura tarantina. La strada scelta per ILVA (anche prescindendo dai problemi di questi giorni, che lo confermano), sarebbe
maledettamente sbagliata.

Non andrebbe capito quello che realmente è successo?

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