Grandi imprese

Il più grande fallimento dell’Europa

24 Settembre 2015

Il caso Volkswagen ci impone di accettare che sia giunto il momento di aprire una riflessione profonda sul rapporto tra cittadini, mercati e istituzioni all’interno dell’Unione Europea. Mi occupai attivamente del processo di costruzione della nostra casa negli anni ’90: la parola d’ordine era “Mercato Unico”, il commissario responsabile Mario Monti e il leit motive ‘L’Europa dei cittadini”. Tecnicamente la sua declinazione era la libera circolazione di merci, servizi, capitali e cittadini all’interno dell’Unione ma davanti a noi si scorgeva l’approssimarsi degli accordi di Schengen e la rivoluzione della Moneta Unica. In verità si ragionava anche di un altro caposaldo che doveva essere la Costituzione Europea ma come finì quel capitolo è cosa purtroppo nota quanto dimenticata. Sarebbe banale ridurre ancora una volta quel disegno al quattrino, come si fa quando si parla sempre della dimensione economica come unico costituente dell’Unione. In realtà da una parte la Commissione aveva assolutamente chiaro già allora il problema della distanza tra Bruxelles e i cittadini europei. Dall’altra, i più avveduti aggiungevano che in una casa che si allargava, che avrebbe presto inglobato l’ex patto di Varsavia, che avrebbe visto crescere il ruolo di grandi aziende e istituti di credito, si poneva contemporaneamente un problema: la tutela del singolo cittadino davanti a enti, aziende e istituzioni le cui ingigantite dimensioni rendevano totalmente asimmetrico e non trasparente il rapporto, con grave danno per le libertà individuali e forse anche per la democrazia stessa. Una parte, forse non maggioritaria ma importante dell’impegno europeo stava nella volontà di introdurre regole che garantissero in qualche forma il cittadino, fosse nella sua dimensione di consumatore, di tax payer, di fruitore di servizi finanziari, di pensionato o lavoratore: dovendo limitarsi per Trattato ai profili economici questo si poteva fare, o poco di più.
La globalizzazione ha calato il sette bello, facendo poi scopa delle buone intenzioni con la crisi del 2008 che ha rimesso nelle mani di una Europa prima intergovernativa e poi a trazione tedesca un qualcosa che invece doveva offrire più chances a ognuno di noi.

La reazione di fronte alla povertà politica, alla percezione di insicurezza individuale, alla asimmetria delle informazioni e al cattivo funzionamento del mercato è stata il rinchiudersi nei gruppi di interessi particolari, il trovare cioè una tutela non nella regola individuale ma nell’avere sufficiente forza per bypassare, attenuare, aggirare o addirittura impedire la applicazione delle regole, perché se lo fanno i grandi lo devo fare anche io. È accaduto a Bruxelles attraverso l’azione lobbistica ma molto maggiormente l’azione si è dispiegata nelle società civili, intente ad evitare la concorrenza dell’idraulico polacco o la attività di Uber su fino a giustificare nel caso tedesco il consociativismo tra grandi aziende e governo in nome di un antico interesse nazionale.

Oggi non è più nemmeno uno scontro tra paesi all’interno dell’Unione ma la crisi è rappresentata dalla solitudine del cittadino di fronte al resto degli attori, del mercato e delle istituzioni. Le tutele di cui godono e hanno goduto gli istituti di credito rispetto ai loro colossali errori e la quantità di vizi mascherati da virtù dei management, la “necessità” di salvare i colossi sostenendo che salvando loro si tutelavano i cittadini sono favole alle quali non si può più porre il silenzio ma opporre la parola nella sua manifestazione politica.

Il caso Volkswagen è emblematico della nostra individuale solitudine: la preoccupazione della stampa e dei governi era rivolta sostanzialmente al destino della azienda, ai riflessi sul potere politico, agli effetti sulla quotazione, alle conseguenze sul settore, financo alle rivincite politiche internazionali su chi ha fatto la morale avendo di nascosto rubato la marmellata. Ma quasi nessuna voce si alzata per capire, difendere, far sentire meno solo ognuno di noi, fosse un proprietario di una Golf il cui valore usato è pari a zero o una generica vittima dell’inquinamento delle nostre città. E si è ugualmente soli di fronte a tutto il resto di questi privilegiati giganti per i quali il mercato non funziona mai perché too big to fail, de-responsabilizzati perché i governi, scopertamente come in Germania, tradizionalmente in Francia o occultamente in Italia, con questi portatori di interessi convivono con fervido impegno.

Helmuth Kohl per età e salute non è più lucido e presente a se stesso; fu fatto fuori dalla politica perché finì per l’ennesima volta imputato di violazione della legge sul finanziamento ai partiti da lui peraltro voluta. Ammise di aver percepito se ben ricordo 600.000 euro in violazione di quella legge ma si rifiutò sempre di rivelare chi fossero i datori. Bene, fosse oggi lucido, io gli direi che sarebbe il momento di rivelare quei nomi, non per la sua coscienza ma per dare un preciso segnale politico: quel mondo deve finire e in Italia, in Germania, in Europa il cittadino deve poter vivere in un Mercato Unico delle libertà e delle chances e non nel monopolio degli interessi e delle tutele altrui.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.