Governo

Il crollo del settore costruzioni e il paradosso Condotte

28 Febbraio 2020

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un serrato dibattito sull’opportunità di portare a termine alcuni grandi opere, come la ferrovia per l’alta velocità e il MOSE, destinato a proteggere la laguna veneziana, o sulla loro sicurezza, all’indomani del crollo del Ponte Morandi, mentre la cronaca dei decenni passati racconta di cantieri diventati ormai buoni per scherzarci su, come quello apparentemente infinito – ma ormai chiuso – dell’A2 Salerno-Reggio Calabria.

Proprio a causa di queste costanti e crescenti difficoltà burocratiche, mediatiche e infine anche giudiziarie, le infrastrutture nel nostro Paese sono diventate un mostro da scacciare a tutti i costi: nell’immaginario collettivo un cantiere pubblico diventa immediatamente ricettacolo di malaffare e corruzione, e su questa base spesso vengono sospesi o addirittura interrotti importanti lavori, con conseguente danno tanto per l’amministrazione pubblica e il territorio quanto per le aziende. È così che negli ultimi anni l’intero settore infrastrutturale italiano ha subito delle gravissime perdite: quello che è sempre stato un asset strategico per l’economia del nostro Paese, il fiore all’occhiello richiesto in tutto il globo, si è presto sbriciolato quando è andato incontro alla tempesta perfetta.

Proprio questo passaggio è il tema centrale del volume edito da The Skill Press e curato da Dario Tasca, dal titolo «Boom e crollo delle grandi imprese infrastrutturali – L’intervento strategico di CDP e “l’eccezione Condotte”»: prolungato blocco del settore, crisi dei grandi player. Tra la riduzione degli investimenti infrastrutturali, un quadro di finanza pubblica disastroso, la modifica della disciplina degli appalti pubblici sempre più limitante, l’inefficienza delle procedure di spesa, l’enorme quantità di contenzioso tra i costruttori e le stazioni appaltanti insieme ai ritardi nel pagamento dei crediti alle imprese (5 mesi il ritardo medio contro i 60 giorni previsti dalla normativa), le difficoltà vissute dal sistema bancario che hanno rallentato le linee di credito o le hanno prosciugate, penalizzando un settore classificato tra i più rischiosi, il quadro dipinto dall’ebook – già disponibile al download su Amazon – traccia la parabola che ha portato le più grandi imprese italiane sul lastrico. Come racconta il rapporto ANCE di febbraio 2018 «la crisi scoppiata nel 2007 ha fortemente penalizzato le imprese di costruzioni sul fronte del rapporto banca-impresa, creando un blocco del mercato, provocato da una forte avversione al rischio nelle controparti e da una percezione dei rischi, spesso, distorta e amplificata». In questo scenario muove i suoi passi l’operazione denominata Progetto Italia, il futuro maxi polo delle costruzioni: Astaldi viene di fatto acquisita da Salini-Impregilo, sotto la regia di Cassa depositi e prestiti, con una mission puntata alla costruzione di un sistema integrato pronto a coinvolgere anche le altre società in crisi.

La netta impressione che si ha è però quella che nel sistema vi sia una grossa falla, l’assenza di un player fondamentale del settore. È di questo che si occupa il volume di The Skill Press, della “eccezione” rappresentata dal terzo general contractor italiano, finito in amministrazione straordinaria senza nessuna seconda possibilità: Condotte. Se per le altre aziende in condizioni simili le parole d’ordine diventano salvataggio e rilancio e sono le stesse banche a farsi promotrici di una operazione “attiva”, fino ad arrivare all’idea di Progetto Italia, Condotte viene avviata alla liquidazione, in balia di scelte esterne e ad un prezzo altissimo.

Il fenomeno è analizzato con cura da Tobia De Stefano che il 14 aprile 2019 su Libero racconta la storia di Condotte e la definisce “il paradigma delle difficoltà che sta vivendo un settore, quello delle costruzioni che per anni ha trascinato il Pil e che oggi sta attraversando una fase declinante. Non è una questione di lavoro, anzi di quello ce n’è anche troppo”, visto che il gruppo “che faceva capo alla famiglia Bruno Tolomei Frigerio deve realizzare l’Alta Velocità di Firenze, un lotto della superstrada Siracusa-Gela, la Città della Salute a Sesto San Giovanni, il lotto austriaco del Brennero, il polo bibliotecario di Bolzano e il nuovo Policlinico di Caserta. La verità è che Condotte ha un drammatico problema di liquidità. Il punto è che spesso per motivi burocratici (ritardi nei pagamenti della Pa) altre volte per questioni legali o per vicende internazionali i lavori si sono bloccati. Un circolo vizioso che ha inghiottito Condotte da un anno e mezzo. Prima c’è stata la procedura di concordato, poi l’amministrazione straordinaria. Un calvario dal quale però si può uscire. Perché fino a quando ci sono commesse, fino a quando si vincono le gare vuol dire che un’azienda è viva. E farla fallire sarebbe un peccato mortale”.

Condotte è la prima tessera a crollare, prima che a questo domino finanziario venga impedito di abbattere tutte le altre aziende del settore: come avvenne per Lehman Brothers, piegata da una fuga di investitori e di banche d’affari che la lasciarono senza liquidità, anche Condotte è la prima vittima del deterioramento del clima economico. La società guidata da Duccio Astaldi diventa un caso esemplare. E come se non bastasse, le inchieste giudiziarie: manna dal cielo per una narrazione catastrofista capace di fare terra bruciata attorno alla società, trascinandola sempre più verso l’abisso.

Le grandi imprese di costruzioni si trovano nell’occhio del ciclone tra il 2017 e il 2018. È l’Agenzia Italia a raccontare in un approfondimento del 2 dicembre 2018 come «nel settore delle costruzioni sono in crisi anche le grandi aziende: 7 casi. Astaldi, Condotte, Grandi Lavori Fincosit, Mantovani, la Tecnis di Catania sono solo le più grandi tra le aziende che in questo periodo iniziano a stilare concordati, procedure concorsuali e piani fallimentari», oltre allo «stato di sofferenza della Cmc di Ravenna che qualche settimana fa non ha pagato la cedola di un bond per crisi di liquidità e di Trevi». Un tracollo che aveva già coinvolto negativamente colossi come UNIECO, Coopsette, CDC Modena e Coop Costruzioni Bologna.

Il problema ha dei chiari quanto drammatici risvolti in termini occupazionali: lavoripubblici.it il 23/2/2018 titola «Costruzioni, dall’inizio della crisi persi 600mila occupati». «Come sottolineato dall’Ance su tale dinamica incide in modo preponderante il dato ancora fortemente negativo delle opere pubbliche, comparto che invece avrebbe dovuto trainare la ripresa degli investimenti in costruzioni, date le importanti misure di rilancio per le infrastrutture previste dal governo già nella Legge di Bilancio 2017», si legge nell’articolo. «Queste misure tuttavia non hanno decisamente prodotto gli effetti sperati, a causa dell’incapacità di tradurre in cantieri le risorse disponibili e per l’inefficienza nelle procedure di spesa da parte della Pubblica Amministrazione».

Un trend negativo raccontato anche dal Corriere della Sera che il 5 agosto 2018 con Rita Querzè titola: «La lunga crisi dell’edilizia: scomparse 120mila aziende. E ora rischiano anche i big». Un articolo che descrive come il settore, dai piccoli ai grandi, sia sempre più in sofferenza a causa di «una ripresina che non è mai arrivata».

Una strada che ha portato queste società dritte verso il cosiddetto credit crunch, un restringimento quantitativo del credito che ha ridotto, tra il 2007 e il 2016, i finanziamenti erogati alle imprese per investimenti in costruzioni del 70%, da circa 52 miliardi nel 2007 a neanche 17 miliardi nel 2016. Un’altra scure è stata la modifica del regime Iva in Split Payment, che ha tolto la possibilità di dedurre l’IVA sugli acquisti. E poi il mai sopito tema del ritardo dei pagamenti della PA: secondo l’ANCE in media le imprese che realizzano lavori pubblici continuano a essere pagate dopo 166 giorni contro i 60 giorni previsti dalla normativa comunitaria. Anche il volume dei ritardi rimane consistente: l’ANCE ne stima in circa 8 miliardi di euro l’importo. L’arrivo di questo percorso diventa inevitabile: drastico calo degli investimenti (oltre il 50% in 10 anni) e deficit infrastrutturale pari a 84 miliardi di euro.

Così, mentre Progetto Italia riscuote pareri positivi e vede le aziende che la compongono avviarsi al risanamento, Condotte può condividere con queste solo la drammatica situazione del crollo, ma non il salvataggio e la rinascita, il lieto fine di centinaia di posti di lavoro al sicuro, di un’eccellenza italiana attiva in tutto il globo che non muore. Un epilogo destinato ad altri.

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