Grandi imprese

I catalanisti resistono, ma le aziende scappano

6 Ottobre 2017

Non è solo politica, la crisi catalana. Ha anche una dimensione economica che si fa sentire sempre di più. Alle aziende della Catalogna il referendum secessionista non è per nulla piaciuto, anche perché mette a rischio la permanenza del territorio nell’Unione Europea e nell’eurozona (lo ricordavano un po’ di giorni fa Gli Stati Generali). I politici catalanisti però continuano a fare orecchie da mercante; ieri mattina, per esempio, il vicepresidente della Generalitat Oriol Junqueras liquidava così il rischio di una fuga di aziende dalla Catalogna: “Previsioni del genere sono state fatte già varie volte e non è mai successo niente”.

Alla fine però, qualcosa è successo. Dopo un breve CdA straordinario il Banco Sabadell, la seconda banca più importante della Catalogna (e la quarta di tutta la Spagna) ha annunciato nel pomeriggio di ieri il trasferimento della sua sede legale ad Alicante, nella Comunità Valenciana. Un annuncio che da solo è bastato a far riprendere quota al suo titolo, che negli ultimi giorni era crollato del 12,7% facendo perdere 1 miliardo e 300 milioni di euro di capitalizzazione.

In realtà il Banco non è la prima azienda a prendere questa decisione dopo il referendum illegale del 1° ottobre. Infatti l’azienda di biotecnologie Oryzon ha annunciato che trasferirà la sua sede sociale da Barcellona a Madrid, seguita dal gruppo di telecomunicazioni Eurona e dalle aziende Dogi e Proclinic Expert.

Gas Natural Fenosa e CaixaBank, la maggiore banca catalana, faranno probabilmente lo stesso nei rispettivi CdA straordinari convocati per oggi pomeriggio. Ancora, il presidente del colosso dello spumante Freixenet (anche presidente della Camera di Commercio spagnola) ha già avvisato che l’azienda traslocherà in caso di Catalexit, definendo l’eventualità dell’indipendenza della Catalogna “un’autentica catastrofe”.

Del resto alcune aziende catalane di rilievo avevano trasferito la propria sede legale persino prima del referendum dell’1° ottobre. E d’altra parte gli esperti sono concordi: la crescita del PIL catalano risente già da tempo delle tensioni con Madrid, e l’indipendenza sarebbe una catastrofe economica per la Catalogna, almeno nel breve e medio termine. Naturalmente anche la Spagna si troverebbe in grosse difficoltà. Basti pensare che mercoledì l’Ibex è crollato del 2,85%, il peggior dato dalla Brexit, mentre lo spread con i Bund tedeschi è salito a quota 133. Ma al contrario della Catalogna, lo Stato spagnolo rimarrebbe nell’Unione Europea anche in caso di Catalexit.

Dopo la convulsa giornata di domenica, e la rabbia di moltissimi catalani per le violenze della polizia, la possibilità di una dichiarazione unilaterale di indipendenza (che per il presidente della Generalitat Puigdemont sarebbe “questione di giorni”) ha fatto schizzare la preoccupazione alle stelle. Anche l’immobilismo di Madrid sta facendo esasperare gli animi, mentre si moltiplicano gli appelli dal mondo economico, politico e persino sportivo, al dialogo fra le due parti.

«Noi imprenditori siamo preoccupati – aveva ammesso a ridosso del referendum, a Gli Stati Generali, Salvador Guillermo, direttore del Dipartimento di economia di Foment del Treball (in Catalogna, l’equivalente della nostra Confindustria) –. Si tratta di un problema politico, e sono i politici a doverlo risolvere, trovando una soluzione consensuale». Guillermo aveva anche ricordato il clima politico teso e delicato della Spagna post-franchista, in cui si negoziava la costituzione della nuova Spagna democratica. «Un processo che ha portato anche al riconoscimento della comunità autonoma della Catalogna e delle sue peculiarità. Se si è riusciti a trovare una soluzione in quei momenti così difficili, nella post-dittatura, a maggior ragione dev’essere possibile farlo oggi che la situazione è ben più facile».

Purtroppo la “questione catalana” sembra essere giunta a una impasse preoccupante, e gli effetti sull’economia, in primis catalana, cominciano a sentirsi. Di per sé il trasferimento di un’azienda o di un’entità bancaria in un’altra comunità autonoma non ha conseguenze catastrofiche a livello fiscale. Ma si tratta di un segnale di forte ansia. E nel mondo dell’economia e della finanza, si sa, il panico si diffonde a una velocità da pandemia.

Persino i quotidiani finora favorevoli alla secessione, o almeno simpatizzanti, iniziano a voltare le spalle a Carles Puigdemont. “Il processo [indipendentista] ha cominciato a mostrare il suo potenziale economico negativo” si legge oggi nell’editoriale della Vanguardia. Nel suo editoriale di ieri il giornale catalano condannava duramente la condotta del Govern. Definendo la dichiarazione unilaterale di indipendenza “un errore tremendo dagli effetti potenzialmente disastrosi per la Catalogna”, i cui “effetti economici e sociali sono stati sistematicamente e irresponsabilmente nascosti o minimizzati dall’indipendentismo”.

Sempre ieri il Periódico de Cataluña, considerato catalanista, auspicava delle nuove elezioni per la comunità autonoma. Secondo lo stesso giornale, “è da illusi o irresponsabili fingere (come ancora faceva ieri il conseller economico Oriol Junqueras) che l’instabilità politica non influirà sull’economia”. E concludeva: “l’impensabile sta accadendo, ed è una pessima notizia”.

 

 

Foto in copertina: La Caixa buildings, Barcelona, di Jordiferrer

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