Grandi imprese
Francesco, io e il manager di Morterone
Dopo ogni funerale è saggio trovare un momento di silenzio, per pensare al morto ma anche per cogliere quali movimenti interiori provochino tali pensieri. Questo dico perché oggi, dopo il funerale di un compaesano molto attivo nella vita sociale, sportiva e politica del paese, ripensavo all’omelia pronunciata dal parroco, nella chiesa dove tanti sono dovuti rimanere in piedi.
Un’omelia che si è conclusa con l’affidamento alla Madonna perché sappia incoraggiare tutti a percorrere quelle strade di impegno e partecipazione alla vita comunitaria che il defunto, in tanti ambiti, aveva aperto.
Mi sono sentito chiamato in causa, io che divido la mia vita tra Laveno Mombello, dove vivono i miei genitori, dove ho la maggior parte delle amicizie, dove ho iniziato l’impegno politico; Varese, dove mi fermo talvolta in un appartamento della famiglia, dove ho mosso i primi passi nel mondo dell’alpinismo; e Milano, dove ho frequentato l’Università e dove sto facendo uno stage proprio in questi giorni. Sicuramente molte persone della mia età (25 anni) si trovano in condizioni simili, dividendo il proprio tempo (oltre al proprio guardaroba e alle proprie provviste) tra più luoghi. Converrete che pur dando molti stimoli e permettendo di esprimersi in tanti contesti diversi, vivere “spezzettati” comporta qualche difficoltà, di ordine logistico innanzitutto, ma qualche volta la frammentazione del tempo diventa anche dispersione delle energie e delle idee. Insomma, l’unità dell’io che tanto raccomanda Angelo Scola, viene messa alla prova.
Dicevo, vivere in più luoghi permette di esprimersi in tanti contesti diversi. Dall’esprimersi all’impegnarsi, il passo è breve, e l’impegno non può che articolarsi in azioni concrete, in fatti, in opere. Chi ritiene importante prendersi cura della natura dovrà trovare un gruppo naturalistico a cui iscriversi; chi ritiene sia fondamentale educare alla lettura, dovrà trovare una biblioteca di riferimento. E così via.
L’azione di impegno (sia questo sociale, sportivo, politico) è sempre, necessariamente, locale.
Allo stesso tempo, e questo è vero soprattutto per quelli che hanno o hanno avuto la possibilità di uscire dai confini nazionali per qualche soggiorno di studio o di volontariato, siamo sempre più indotti a “pensare globalmente”, cioè a considerare ciò che facciamo in un quadro che tenga conto di tante interazioni, che possono andare dalla Svizzera allo Swaziland e da Parma a Parma (la prima in Emilia, la seconda in Ohio, US).
Fondere l’agire locale al pensare globale ha portato alla nascita della “glocalizzazione”, termine introdotto da Zygmunt Baumann nel 2005 (in Globalizzazione e glocalizzazione) per indicare, appunto, le conseguenze locali della globalizzazione, guardando ai contesti locali come sottosistemi di sistemi via via più ampi, fino ad arrivare al sistema globale.
Tornando all’omelia, allora, mi chiedo e domando come sia possibile, nel continuo correre di qua e di là che faccio io e che certamente fanno molti altri, mantenere impegni a livello locale, nei paesi, nelle frazioni, pur senza rinunciare alla carriere che, per molti di noi, ci imporranno di trascorrere tante ore in qualche città?
Dicono i dati del Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (http://esa.un.org/unpd/wup/index.htm) che nel 2014 il 54% della popolazione mondiale vive nei centri urbani, e che nel 2050 questa frazione salirà al 60%. Chi terrebbe a rimanere nei propri luoghi cederà o riuscirà a trovare una sintesi, sfruttando la velocità e la comodità crescente di trasporti e comunicazioni?
Quali infrastrutture servono per permettere al manager con azienda a Milano di rimanere residente a Morterone, provincia di Lecco, 33 abitanti?
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