Grandi imprese

FCA-PSA i rischi di un accordo che marginalizza l’Italia

3 Novembre 2019

L’operazione orchestrata da FCA e PSA appare inevitabile, malgrado il futuro rimanga piuttosto oscuro. Il matrimonio tra ciò che rimane della Fiat a trazione statunitense e la compagnia francese, rilanciata dal governo nel momento più difficile, è figlio di una visione globale. Il marchio Fiat, popolare nei complicati mercati dell’Europa mediterranea e del Sudamerica, ha tentato il secondo salto di qualità, dopo aver raggiunto gli Stati Uniti tramite Detroit, città simbolo della storia dell’auto.

L’operazione di Sergio Marchionne avrebbe dovuto ottenere una sinergia tra i modelli Fiat, Alfa Romeo e Jeep. Alchimia riuscita parzialmente, con l’Alfa che continua a soffrire, ma che ha lasciato in eredità un gruppo composto da oltre 200.000 dipendenti, in grado di giocare su più mercati. L’accordo con la società nata dalle ceneri di Peugeot rappresenta un ulteriore passo che permette di raggiungere mercati inesplorati come la Cina e il Nord Europa, oltre che tecnologie moderne come l’ibrido. Si crea un player globale in grado di sopportare periodi di magra per un mercato o per un marchio, da compensare con successi in altri settori.

Un meccanismo di compensazioni che possiamo immaginare dalle mosse pregresse del futuro CEO del gruppo, il manager portoghese Carlos Tavares, il quale ha gestito l’incorporazione del marchio Opel in PSA. Due anni fa, General Motors ha venduto il suo ramo tedesco all’azienda francese. Opel si presentava come un marchio incapace di generare profitti, la cui produzione si concentrava in Germania, specialmente nel quartier generale di Rüsselsheim. PSA ha firmato l’accordo PACE! con il potente sindacato metalmeccanico IG-Metall, mediante il quale è stata sancita la diminuzione della capacità produttiva attraverso la diminuzione dell’orario di lavoro e un piano di dismissione volontaria di personale pari a 3.700 unità. Tutte le fabbriche continueranno a operare e i livelli occupazionali sono garantiti almeno fino al 2023. L’accordo sembra funzionare a livello economico grazie al recupero di redditività di Opel, mentre è presto per una valutazione sindacale.

Se una situazione simile fosse applicata alla fusione con FCA, Tavares potrebbe scegliere di salvaguardare tutti i marchi per penetrare nel maggior numero dei mercati e tutte le fabbriche per evitare una guerra sindacale. Al tempo stesso, si verificherebbe una contrazione dell’occupazione in ogni fabbrica. Rispetto alla Germania, l’Italia rappresenterebbe uno dei paesi chiave della partnership, insieme a Francia e Stati Uniti, ma sussisterebbero almeno tre criticità.
In primo luogo, il sindacato italiano non è paragonabile a quello tedesco per potere contrattuale, garantito dalla legislazione renana. In secondo luogo, il mercato del lavoro non permette di trovare occupati disposti a lasciare volontariamente l’impiego, mentre la politica troverebbe difficoltà nel gestire una serie di prepensionamenti. Infine, il governo italiano appare sempre meno presente nelle partite aziendali, al contrario di quello francese che riesce a indirizzare le scelte private, anche tramite importanti partecipazioni azionarie. Se il management sarà costretto a scegliere in quale lato delle Alpi salvaguardare l’occupazione, tale scelta sarà scontata.

Con una presenza forte dello stato italiano, che non si basi sull’attenta osservazione del mercato, le criticità potrebbero risolversi favorevolmente. In ogni caso, il belpaese perderà rilevanza nelle vicende Fiat, organismo fuori controllo che abbandona definitivamente alla madrepatria. Al tempo stesso, le fabbriche rimarranno in piedi ma frutteranno sempre meno lavoro, nel migliore dei casi con il graduale pensionamento, nel peggiore con un lungo conflitto sindacale.

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