Grandi imprese
Ex Ilva e il tempo fuori tempo della giustizia italiana
Tanto si è detto e ancora molto si potrebbe dire su Ilva: ogni aspetto sulle sorti dell’acciaio tarantino meriterebbe approfondimento. Come non parlare, per esempio, di alcuni elementi fattuali di competitività quali il numero di addetti per tonnellata di acciaio prodotto, che è circa il doppio di quello medio registrato negli stabilimenti più efficienti nel mondo, proporzione che ricorda molto il numero di dipendenti di Alitalia per km volato. Malgrado le privatizzazioni, queste aziende sono ancora figlie della logica delle vecchie partecipazione statali dove efficienza e profitto sono sempre stati relegati in secondo piano rispetto a consenso politico e pace sociale.
Ma c’è un punto che vorrei mettere in luce in questa sede. Una questione, per lo più ignorata dal rumoroso dibattito pubblico, ma urgentissima, perché rappresenta uno dei maggiori deterrenti, insieme alla scarsa certezza del diritto anch’esso ampiamente rappresentato nella vicenda della ex Ilva, agli investimenti nel nostro Paese: parlo delle assurde tempistiche della legge italiana, del tutto incompatibili con le dinamiche aziendali. Qualsiasi investitore internazionale che voglia anche solo considerare un investimento industriale in Italia, prima di tutto deve, nel rispetto degli interessi dei propri danti causa, considerare il fattore tempo e la certezza del quadro normativo.
Il Caso Ilva è lo specchio che riflette una patologia che continuerà e tenere lontani gli investimenti industriali nel nostro Paese. Analizziamo qui la scansione degli eventi e chiediamoci come si può pensare che un soggetto privato industriale possa davvero operare in questo contesto. Come si può lavorare efficientemente ed economicamente sopravvivere in uno scenario così caotico, dove i tempi della giustizia sono totalmente incompatibili con la realtà. Vediamo i fatti:
o 4 novembre: Arcelor Mittal InvestCo ha inviato la comunicazione di recesso dal contratto di affitto con la Amministrazione Straordinaria, con questo atto, in pratica, la multinazionale franco indiana, decide di riconsegnare le chiavi alla amministrazione straordinaria (ovvero allo stato e quindi al contribuente italiano).
o 11 novembre: I commissari impugnano la decisione di Arcelor Mittal affinché non fermi l’impianto davanti al Tribunale di Milano con un ricorso d’urgenza ex Art.700.
o 27 novembre: data in cui è attesa la sentenza del Tribunale di Milano sul ricorso d’urgenza.
o 4 dicembre:un mese dopo la comunicazione di recesso, in base ai termini del contratto, Arcelor Mittal InvestCo “riconsegnerà le chiavi” e lascierà l’azienda al suo attuale proprietario (giacché, ricordiamolo, per il momento Arcelor Mittal ha solo affittato un ramo d’azienda senza diventarne effettivamente il padrone).
o 13 Dicembre: è la data entro cui Arcelor Mittal, in base all’ordinanza della magistratura tarantina, dovrebbe mettere a norma l’altoforno 2 oppure fermarlo per non incorrere nel rischio di responsabilità penali che, in assenza dell’ ormai famoso “scudo”, a questo punto, ricadrebbero su propri amministratori quali responsabili personali.
o Maggio 2020: sette mesi dalla data di recesso: è quando si terrà la prima udienza del processo sul recesso ( e non è dato sapere quante ce ne vorranno per arrivare ad un giudizio, comunque appellabile).
Ora, a seguito della decisione del tribunale di Milano che, secondo quanto si legge si sarebbe espresso a favore dei ricorrenti, di fatto imponendo ad Arcelor Mittal di non fermare l’impianto, non è chiaro come tale decisione si posizionerà rispetto alla intimazione del tribunale di fermare l’AFO2 per salvaguardare la salute dei cittadini di Taranto?
Dal momento che la messa a norma dell’alto forno per la data imposta dall’ordinanza della magistratura tarantina è, come hanno denunciato tutte le parti concordemente, tecnicamente impossibile, la sentenza di “non spegnimento” sarà sufficiente a garantire agli amministratori nei confronti delle azioni che presumibilmente la magistratura tarantina vorrà intraprendere?
Nel caso in cui un altoforno venga fermato, nonostante le nuove tecnologie permettano qualche mitigazione del danno, di fatto questo implica il completo rifacimento dello stesso prima di poter riprendere al produrre in modo efficiente. Ciò significa che quando si terrà la prima udienza del processo sul recesso, 7 mesi dopo, i giochi per l’impianto tarantino saranno ampiamente conclusi.
Perché la magistratura italiana deve aspettare 7 mesi per la prima udienza? Quanto tempo ancora ci vorrà poi per le udienze successive, solo per definire se il recesso di Arcelor Mittal sia legittimo o meno? Pare davvero che i nostri magistrati non abbiano alcuna idea di quali siano le tempistiche di una azienda, per il momento ancora viva e che i destini di un’attività umana e industriale possano essere decisi in astratto, in un iperuranio senza tempo.
Solo per memoria di tutti vorrei ricordare che il tribunale di NY, ha impiegato due giorni per decidere di vendere tutta l’investment banking di Lehman Brothers a Barclays dopo il fallimento delle banca americana (ndr. Alvarez and Marsal, la società per cui lavoro e di cui sono partner ha gestito Lehman Brothers dopo l’istanza di Chapter 11 – l’equivalente americano del nostro concordato – presentata dagli amministratori nel settembre del 2008).
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