Grandi imprese
È la corruzione, bellezza!
Qualche mese fa c’è stato un tema a svolgimento libero: quanto costa la corruzione in Italia? La traccia è tornata di attualità nei giorni in cui infuria lo scandalo di Mafia Capitale, che prende sempre più la forma di un buco nero. Ma la risposta non è così facile da fornire.
Il tributo pagato alla corruzione è, almeno a prima vista, impossibile da calcolare. Una stima, desunta dalla storpiatura di alcune affermazioni fatte dal presidente della Corte dei Conti, parlava di 60 miliardi di euro. Ma il Servizio Anticorruzione e Trasparenza ha bollato questo dato come «un’opinione».
L’Unione Nazionale di Imprese (Unimpresa), in uno studio pubblicato a maggio 2014, ha abbassato il tiro, sostenendo che «tra il 2001 e il 2011, la corruzione ha “mangiato” 10 miliardi di euro l’anno di prodotto interno lordo per complessivi 100 miliardi in dieci anni» con effetti come il calo degli «investimenti esteri del 16%» e l’aumento pari al 20% del «costo complessivo degli appalti». Per quanto meritorio, questo calcolo è una “stima sulla stima”. «Lo studio di Unimpresa parte dal presupposto che il costo della corruzione nell’Ue raggiunge i 120 miliardi di euro l’anno, pari all’1% del PIL dell’Unione», spiega l’associazione.
Torniamo, quindi, al punto di partenza: la corruzione non è calcolabile in maniera scientifica. Così, un po’ per frustrazione un po’ per indignazione, provo a indicare una formula per comprendere quanto pesa la “tassa” della corruzione.
Inizio da una certezza: il rapporto Transparency International, diffuso di recente, indica l’Italia al 69esimo posto per trasparenza, insieme a Bulgaria, Romania e Grecia, tanto per non allontanarci dall’Europa.
Proseguo quindi con un assunto: il prezzo del sistema di corruttela è solo una base, una tassa oggettiva, perché vengono usati soldi pubblici per riempire le tasche dei “soliti noti”. Per intenderci: il denaro dei contribuenti arricchisce corrotti e corruttori, senza fornire un servizio ai cittadini. Per usare un’espressione matematica: è il moltiplicando di una moltiplicazione.
A questa base, perciò, bisogna moltiplicare un altro danno, probabilmente maggiore: quello della reputazione. Nel caso specifico la cifra è molto difficile da quantificare. Ma mi sento di affermare che è sicuramente molto alta. La corruzione disincentiva (faccio ricorso a un eufemismo) gli investimenti esteri (come spiegato da Unimpresa), per non tacere di quelli italiani.
Perché mai, io imprenditore, o comunque volenteroso cittadino con voglia di fare impresa, devo cercare piccoli e grandi “agganci” politici per valorizzare il mio lavoro? La sfiducia nel sistema è un risultato evidente e persistente. L’inchiesta che ha svelato Mafia Capitale provocherà effetti a lungo termine, perché la percezione della corruzione è diventata una conferma della corruzione. E prima di recuperare un rapporto fiduciario occorre tempo: servono anni.
Come se non bastasse, al danno di base della corruzione, moltiplicato per il danno di reputazione, bisogna anche moltiplicare un apparato burocratico, ideale per scoraggiare anche il più volenteroso degli investitori. Infine, prima di arrivare al prodotto della moltiplicazione, bisogna moltiplicare un altro fattore: il quarto livello di pressione fiscale più alto d’Europa.
Ecco, ora non conosco il risultato esatto, in miliardi di euro, del costo della corruzione. Ma credo che nel complesso ammonti a una montagna di soldi. Perché è il discrimine tra un’economia sana a una marcia: sradicando il problema si eliminerebbe un “moltiplicando” molto elevato, tanto da rendere un po’ meno insopportabile l’elefante burocratico italiana e l’alta tassazione.
La questione, tuttavia, è che l’opera di sradicamento necessita di un intervento serio, costante e strutturato, perché non si affronta con qualche slogan.
Devi fare login per commentare
Accedi