Grandi imprese
Debiti non onorati, posto Rai ottenuto: la questione morale di Massimo Coppola
Ha fatto bene Christian Raimo a porre la questione sui social. Si è chiesto se abbia un senso, una logica, un’estetica, magari anche un’etica, che Massimo Coppola, già editore di ISBN inseguito da una muta di creditori/autori/traduttori, abbia titolo (morale) per rivestire, in nome e per conto della Rai e dunque anche nostro, il titolo di «consulente editoriale della Direzione generale per l’elaborazione di strategie e prodotti, per lo sviluppo di una cultura visiva nell’ambito dell’informazione, per il supporto al posizionamento di brand e reti». Si dirà: ma che cippa c’entra la scelta di Campo Dall’Orto con il fatto che questo signore debba dei soldi in giro? Da qui ne è nato un lungo dibattito su Facebook che, al di là di qualche indemoniato, ha assunto i tratti della civiltà (probabilmente è “merito” di chi propone il tema e della serietà che gli è riconosciuta).
Coppola, per dire due cose sul tipo, è figlioccio di Campo Dall’Orto sin dai tempi di Mtv dove ha condotto e ideato trasmissioni che hanno fatto la piccola storia di quella televisione. È anche uno di quei fighetti stropicciati, adesso ultraquarantenne, che dicono sempre mezza cosa e quella mezza sta tra il nulla e l’eccitante. Ma non troverei, per definirne l’allure, parole più acconce di quelle che per Wired scrisse Silvia Vecchini: «Coppola, per una generazione di ragazzine (ok, solo per me) è stato l’affascinante “indie sciupato” (una categoria particolare di musicisti, scrittori, intellettuali, uomini dello spettacolo, che se pesati non superano i 65 chilogrammi di peso coi vestiti bagnati addosso) di cui mi ero un po’ innamorata per via di Brand: New, il suo gustosissimo programma su Mtv…» Ecco, questa descrizione davvero notevole è anche il segno di una certa televisione che è nella mente di Campo Dall’Orto, le cui scelte – appunto – variano dalla Bignardi a Massimo Coppola (che qualcuno magari avrà anche intercettato in Masterpiece), e che si possono sintetizzare in quel modo di svegliarsi a Milano con la domanda incorporata: con quale conformismo figo oggi posso intrappolare il dibattito?
Qui però vorremo sottrarci a questa logica un po’ salottiera, che il livello dei programmi televisivi prodotti dai nostri eroi definirà in modo più esatto, per intervenire sulla vicenda originaria che ci pare più stringente: è lecito porre una questione morale disgiunta? Nel senso di collegare le pene, i doveri, i debiti contratti da Massimo Coppola con la sua casa editrice poi fallita, al raggiungimento di una consulenza così importante all’interno della televisione pubblica? Se dobbiamo restare agli stretti ambiti di competenza, dovremmo dire no. Coppola da una parte se la vedrà con i suoi creditori, per via giudiziaria magari o nelle altre forme possibili, mentre alla Rai darà quel che sarà capace di dare in termini di professionalità e di sapienza televisiva. Per essere ulteriormente crudi, ai telespettatori Rai interessa ovviamente nulla delle faccende private di questo signore.
Guardate, le storie che riguardano i soldi, soldi non dati, promesse non mantenute, sono molto delicate da trattare. E non c’è automatismo tra soldi non dati e disprezzo pubblico. Per dire: ci sono altre persone che nella loro storia non sono riuscite ad onorare ciò che garantivano, che non hanno finito di pagare i loro debiti, ma che non sono accompagnate da una scia, diciamo così, poco affettuosa come quella che accompagna il Coppola. Con qualcuno, saremmo persino disposti a metterci magari l’ultimo soldino che ci resta, pur di aiutarlo, perché evidentemente gli abbiamo riconosciuto un impegno, una chiarezza, una sofferenza comune nel corso di una storia collettiva, al punto che nel giorno brutto in cui si tira giù la serranda, ti viene spontaneo persino l’abbraccio finale.
In questo caso, il peso di una sensibilità era tutta in carico al Direttore generale della Rai. Al quale doveva essere chiara una cosa, innanzitutto: ogni persona è accompagnata da una scia, dalla “sua” scia, che comprende il racconto di una vita, la considerazione pubblica, il livello di competenza raggiunto, la capacità di lavorare in squadra e sì, anche la generosità spesa. Lasciarsi alle spalle persone che ti sorridono, che ti rimpiangono, che possono dire bene, benissimo di te, questo è un “bonus” che nessun cacciatore di teste potrà mai quantificare. E se invece quella scia è dolorosa, perché intervengono anche problemi di soldi non ricevuti, tutto ciò fa parte di una più grande e fondamentale “questione di stile”.
Non le paia riduttivo, dottor Dall’Orto, doversi occupare soprattutto delle questioni di stile. Sono quelle che nella vita, per fortuna, fanno ancora la differenza.
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