Grandi imprese
Conte 2, i governi passano e le crisi aziendali restano: le cattive abitudini
“Quella della Whirpool è una delle situazioni più critiche. Abbiamo sempre voluto incoraggiare un accordo nell’interesse esclusivo dei lavoratori…”. Così Giuseppe Conte al Corriere proprio il giorno stesso in cui Luigi La Morgia, CEO di Whirpool Italia, dichiarava numeri senza scampo: “…dallo stabilimento di Napoli nel 2009 sono uscite 700 mila lavatrici e l’anno scorso siamo scesi sotto le 300 mila…”.
Sul fronte Alitalia intanto, arrivava l’ennesima proroga per l’offerta vincolante di FS, Atlantia e, forse, Delta, sulla Compagnia di bandiera che a questo punto pare abbia bisogno di un ulteriore prestito per € 350 Milioni per poter “garantire la liquidità nel periodo transitorio”. Da tempo i tre commissari incaricati dicono che sotto la loro gestione la compagnia ha migliorato la redditività ed è diventata la seconda linea aerea per puntualità (che, come ben rilevato da Marco Giovanniello proprio su Stati Generali lo scorso 18 Ottobre, non significa anche essere profittevole) evidenziando dunque come, anche dopo un apparente miglioramento della performance operativa, la società non sia in grado di produrre un minimo di redditività e/o di cassa.
Al MISE sono complessivamente 187 dei tavoli di crisi aperti – tra cui le 18 Amministrazioni Straordinarie (11 Prodi bis e 7 Marzano) – inclusi quelli di Alitalia e Whirpool, ma anche ILVA, Stefanel, Pernigotti, solo per citare i nomi più noti al pubblico.
L’abitudine al commissiario partime. Ebbene molto di rado il sistema politico riesce a focalizzare il proprio intervento sulle reali cause della crisi, quelle squisitamente industriali; conseguentemente preferisce affidare la gestione di situazioni di crisi (amministrazioni straordinarie comprese) ad avvocati, professori, commercialisti: tutti professionisti di prim’ordine, ma con scarse se non nulle competenze industriali e, soprattutto, già troppo impegnati per potersi dedicare a tempo pieno alla gestione di un’azienda viva seppur in crisi. Dopo oltre 15 anni di attività nella gestione delle crisi, posso infatti testimoniare che, per poter effettivamente governare la situazione cercando di minimizzare le perdite di valore inevitabili, è fondamentale la dedizione a tempo pieno di chi deve guidare l’azienda. Non si tratta di un lavoro che si può fare part time.
In Italia invece capita spesso che agli stessi professionisti, che hanno una loro attività professionale da seguire, vengano addirittura affidati più casi di crisi, concentrando diversi incarichi (esempio da commissario straordinario) in una persona sola che, per quanto possa avere collaboratori validi non ha materialmente il tempo per gestire più aziende. Una delle poche eccezioni a questo modo di procedere è stata in verità la nomina di un mio collega di Alvarez and Marsal Italia che, da Commissario Straordinario presente in azienda con piena continuità, ha risolto una situazione di crisi con la cessione delle attività aziendali, in soli 18 mesi, con grande meraviglia di molti degli addetti ai lavori.
L’abitudine alla campagna elettorale. Non stupisce dunque, che le crisi si trascinino senza via d’uscita per anni con le stesse aziende che appaiono più volte negli elenchi delle situazioni critiche. Stupisce piuttosto la naiveté di chi continua a dimenticare come, per poter risolvere una crisi in modo duraturo e sostenibile, sia prima di tutto necessario focalizzarsi sulle vere cause – giustappunto quelle industriali – così come sia necessario tenere conto degli interessi di tutti gli stakeholder, non solo quelli di alcuni di essi – che, nell’idea dei politici, abitualmente a caccia di voti, sono ovviamente i lavoratori. Senza un contributo (sacrificio) fattivo di tutti gli interessati (azionisti, creditori, fornitori, lavoratori, etc.), infatti, ben difficilmente la crisi potrà essere superata e ci troveremo ad affrontare più volte le stesse situazioni (Alitalia docet). Pur senza voler mettere sullo stesso piano i diversi stakeholders dove certamente i lavoratori rappresentano la classe più debole e dunque con tutto il rispetto per il disagio sociale che una crisi genera e condividendo la necessità che, in linea di principio, la comunità si faccia carico di almeno una parte del problema sociale cercando di alleviare, almeno parzialmente, tale disagio, sono da tempo convinto che solo curando la vera causa delle crisi si possa pensare di ridurne gli effetti negativi.
Non dimentichiamoci invece che spesso, in nome del supporto ai lavoratori, assistiamo a casi patologici quale quello che, come contribuenti, ci obbliga ancora oggi a pagare la cassa integrazione per il personale Alitalia messo in esubero dalla gestione del Commissario Fantozzi (anno dominis 2008, ovvero 11 anni fa!).
Se alla Whirpool di Napoli oggi si producono solo 300 mila lavatrici anziché 700 mila come nel 2009, è inutile dire che si lavorerà nell’interesse esclusivo dei lavoratori; perché si dovrà necessariamente identificare una soluzione che permetta allo stabilimento di essere competitivo (abbassando tutti i costi, compreso quello del lavoro) e di essere dimensionato su quella che è la effettiva domanda di mercato.
Se l’Alitalia non è in grado di competere internazionalmente con i grandi gruppi (IAG, Air France, Lufthansa) perché intestardirsi con una soluzione curiosa dove l’unico vero player industriale (Delta) avrà, forse, il 10% del capitale e dove la maggioranza andrà alle Ferrovie dello Stato ed al gestore del principale hub della compagnia – Aeroporti di Roma – e quindi con un palese conflitto di interessi? Perché non ricercare una soluzione industriale alla crisi (oggi forse l’offerta Lufthansa)? Come dicevano molti economisti nel XIX e nel XX secolo, se vogliamo guardare davvero al bene comune, il mercato, per poter funzionare, deve essere lasciato in condizione di espellere o marginalizzare chi non è in condizione di parteciparvi in modo profittevole e sostenibile e, quindi, tenere in vita aziende decotte, non fa certamente l’interesse della comunità.
Basterebbe applicare tre semplici regole per cercare di curare il male della crisi con ricette adeguate a prospettare soluzioni sostenibili nel lungo periodo:
1) Affidare la gestione della crisi ad una persona sola, con esperienza e competenze specifiche: se l’origine della crisi è di carattere industriale o operativa (come nella maggioranza dei casi), la scelta del timoniere deve cadere su manager industriali e non su avvocati, professori o commercialisti. Tali esperti sono sicuramente necessari ma debbono essere comunque al servizio del capo che, soprattutto nei momenti di crisi, non può che essere uno solo. Non a caso, nel tentativo di soluzione della crisi Parmalat, il commissario Bondi pose come condizione preliminare all’accettazione dell’incarico quella di essere l’unico commissario. Quando il nostro socio fondatore Bryan Marsal fu chiamato a gestire il Chapter 11 di Lehman Brothers – la più grande crisi della storia – nessuno si sognò di chiedergli di condividere il ruolo con un avvocato ed un commercialista. Da tempo invece la gestione delle amministrazioni straordinarie di maggiore dimensione complessità viene delegata ad una terna di commissari, che spesso passano più tempo a litigare tra di loro che a gestire l’azienda. Perché?
Immaginate se nel 2004, quando Marchionne fu nominato CEO di FIAT in piena crisi, il suo ruolo fosse stato assegnato ad una terna che, secondo le regole oggi in voga, avrebbe dovuto comprendere un esperto legale, un esperto contabile ed un esperto industriale.
2) Fare in fretta: in situazioni di crisi è necessario spesso intervenire tempestivamente con decisioni urgenti, difficili e spesso prese in assenza di tutte le informazioni che, in condizioni di normalità, sarebbero necessarie o anche solo reperibili. Davanti a queste situazioni solo la scelta di managers con l’abitudine a gestire situazioni simili può permettere di arrivare a fare scelte rapide e tempestive, comunque rischiose, ma assolutamente necessarie alla sopravvivenza della azienda.
3) Coinvolgere tutti gli stakeholder: senza la collaborazione (ed il sacrificio) e l’impegno di tutti i gruppi coinvolti non si potrà mai dare una soluzione sostenibile e credibile alla crisi.
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