Asia

Quale energia alimenterà il mondo nel ‘Secolo Asiatico’?

18 Settembre 2019

In certi momenti sarebbe meglio parlare di scissione dell’atomo piuttosto che di scissioni di partiti. Sarebbe più interessante guardare al tema dell’energia, snodo fondamentale per capire come conciliare progresso e salvaguardia del pianeta, in un contesto in cui la classe media mondiale cresce velocemente, grazie all’emancipazione dell’Asia dalle dinamiche del secolo scorso.

Il 14 settembre sono stati attaccati due stabilimenti petroliferi in Arabia Saudita appartenenti alla Aramco, l’azienda saudita degli idrocarburi. Gli attacchi sono stati compiuti nell’est del paese e hanno provocato seri danni alla capacità di produrre petrolio per settimane.

L’operazione è stata rivendicata dai ribelli houthi, che stanno combattendo una guerra in Yemen contro uno schieramento legato ai sauditi, ma esistono seri dubbi. Il governo statunitense, alleato dell’Arabia Saudita, riferisce che gli attacchi siano partiti da nord o nordovest, quindi da Iran o Iraq, e non dallo Yemen. Inoltre sarebbero stati usati droni sofisticati e missili da crociera, al di là della capacità dei ribelli houthi, ma più compatibili con un paese come l’Iran. Teheran ha negato ogni ipotesi di coinvolgimento. Gli attacchi, però, potrebbero essere una strategia del regime iraniano, indebolito dalle sanzioni statunitensi, reintrodotte da Trump.

Quello che è successo ha avuto importanti conseguenze sulla capacità saudita di produrre petrolio, e quindi sul prezzo globale del greggio. L’Arabia Saudita è responsabile infatti di circa il 10% delle forniture mondiali di petrolio, con 7,4 milioni di barili esportati al giorno. Si stima infatti che gli attacchi abbiano ridotto la produzione mondiale circa del 5,5 – 7,5%. Ma il 16 settembre, nel corso di una sola giornata il prezzo del petrolio è salito del 20%, a 71 dollari al barile.

Non ci si aspetta uno sconvolgimento nel mercato globale del petrolio: l’Arabia Saudita ha abbastanza riserve di greggio da soddisfare gli impegni presi almeno per i prossimi 60 giorni. La questione rimane comunque. Bisognerà capire quanto ci metteranno i sauditi a riparare i danni provocati dagli attacchi, e a riportare la produzione di petrolio sui livelli precedenti al 14 settembre. Il problema, però, si riverbera naturalmente sui paesi che hanno un maggiore fabbisogno energetico a fronte di una produzione nazionale non all’altezza.

Negli ultimi 20 anni, a chi si fosse messo, su un molo nel golfo di Persico, a guardare se le petroliere viravano ad est o a ovest, sarebbe stato chiaro che già nel 2000 eravamo all’alba del secolo asiatico. Tenendo da parte la Cina, il Sud-est asiatico, ad esempio, diventerà la quinta economia più grande del mondo entro il 2020 e quindi le preoccupazioni per la sua sicurezza energetica sono in rapida crescita.

L’area ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico) ha una popolazione combinata di circa 650 milioni di persone e un’economia dal valore di quasi 3 trilioni di dollari. Le richieste energetiche del Sud-est asiatico sono cresciute del 60 percento negli ultimi 15 anni e si prevede che cresceranno di altri due terzi entro il 2040. Oltre alla crescita economica, si prevede che anche la popolazione del Sud-est asiatico crescerà del 20%.

Con queste evidenze, è banale condannare soltanto l’attacco paramilitare e richiamare a una veloce transizione verso le energie rinnovabili. La questione vera è riflettere con serietà sul come alimentare un mondo che cresce nella domanda di energia e come rendere gli approvvigionamenti sempre disponibili.

L’Unione Europea, come spesso accade, è uno degli attori più virtuosi nel settore. La politica energetica europea pone, come obiettivi per il 2030, un aumento fino al 27% della quota di energia da fonti rinnovabili; e un miglioramento dell’efficienza energetica fino al 30%. Anche i 10 del Sud-est Asiatico stanno facendo bene, il 4 settembre, a Bangkok, i ministri dell’energia dell’ASEAN hanno preso atto che le energie rinnovabili nella regione hanno raggiunto il 14,3% della quota della fornitura totale. I ministri hanno anche osservato che il 55% della crescita della capacità energetica della regione proviene da energie rinnovabili.

Bene, ma non benissimo. Si può fare di più, la questione è prioritaria per il progresso e la sopravvivenza del pianeta. Concetti come questi, uniti alla centralità dell’Asia e alla minore rilevanza dei confini a favore delle connessioni, sono i nuovi paradigmi utili a chi deve capire il mondo. Le nostre aziende, istituzioni e università sono in grado di seguire questo veloce cambiamento? Ai posteri l’ardua sentenza.

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