Ambiente
L’auto elettrica non salverà il pianeta
L’imbarazzo e i tentennamenti espressi recentemente in materia di auto elettrica e smart mobility dal ministro Toninelli sono la perfetta sintesi dello stato dell’arte in Italia. Le buone intenzioni espresse dal contratto di governo stipulato tra Lega e Cinque Stelle rischiano di rimanere lettera morta. Rivoluzionare la nostra mobilità a prescindere dalle automobili equivale a sovvertire una pluridecennale impostazione culturale, politica, economica e sociale. Nel 2018, secondo l’Osservatorio Autopromotec, la spesa per gli autoveicoli sul PIL ha inciso per oltre l’11%, con un saldo di circa 195 miliardi di euro. In questa voce sono inclusi tutti i costi afferenti alle quattro ruote: acquisto, manutenzione, riparazione, alimentazione, mantenimento. Ciò combacia con i dati dell’ultimo Dossier sull’ecosistema urbano redatto da Legambiente: il tasso di motorizzazione medio nei capoluoghi nostrani è di 63,3 auto ogni 100 abitanti; la domanda di mobilità è per due terzi soddisfatta dall’automobile, eppure gli spostamenti degli italiani coprono tragitti di pochi chilometri; lungo le nostre strade circolano 37 milioni di veicoli, il 17% dell’intero parco circolante continentale. A pagarne le conseguenze è la qualità della nostra aria: le concentrazioni di polveri sottili e ozono sono tra le più alte in Europa, al punto che lo scorso 17 maggio l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia europea a causa di misure poco efficaci e scarsamente pianificate per contrastare l’inquinamento atmosferico.
Le auto elettriche non hanno ancora fatto breccia nel cuore dei consumatori italiani. Nel 2018, sui quasi 2 milioni di veicoli immatricolati, solamente lo 0,3% poteva vantare alimentazione elettrica. Certo, rispetto all’anno precedente la quota è triplicata, ma nel complesso si tratta di una goccia nell’oceano. A livello continentale raccogliamo il 2% del parco auto elettrico. Norvegia, Germania, Inghilterra e Francia, sommate assieme, detengono il 70% dei mezzi ecologici circolanti. Il gap che ci separa da questi paesi può trovare differenti giustificazioni. L’E-Mobility Report 2018 redatto dal Politecnico di Milano ha provato ad elencarne alcune. Una prima barriera in entrata nel mercato è rappresentata senza dubbio dal costo dei veicoli elettrici. Ciò non deve sorprendere: qualunque nuova tecnologia, inizialmente, non può competere con quelle già esistenti. Ecco perché si impone la necessità degli incentivi statali, principale strumento per favorire la concorrenza nel mercato. Ad oggi il nostro sistema ne prevede due tipologie: uno diretto, l’ecobonus, che può variare dai 1.500 ai 6.000 euro per l’acquisto di un veicolo elettrico con rottamazione di altro veicolo inquinante; uno indiretto, l’ecotassa, che può gravare sull’acquisto di un nuovo veicolo con motorizzazione benzina o diesel dai 1.100 ai 2.500 euro. A questi si aggiungono ulteriori vantaggi concessi a livello locale, quali la riduzione del bollo auto o la possibilità di accedere nelle ZTL cittadine. Una rosa di opzioni non ancora sufficiente per far rivaleggiare le auto elettriche con quelle tradizionali, dato che emerge confrontando queste misure con quelle dei quattro paesi europei più virtuosi già menzionati dove gli incentivi, sia diretti che indiretti, possono incidere per più di un terzo sul prezzo finale di acquisto. Un secondo ostacolo da superare è quello relativo all’infrastruttura di ricarica. A fine 2017 in Italia si contavano 2.750 colonnine pubbliche a norma. Un numero bassissimo se confrontato con gli altri paesi europei. La capillarità dei punti di ricarica, inoltre, è eterogenea, con sensibili differenze tra il nord e il sud della penisola: il 48% sono installati nelle regioni settentrionali, il 40% in quelle centrali e il restante 12% in quelle meridionali. Gli obiettivi a medio termine sono indicati nel Piano Nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica (PNire) approvato con la legge n.134 del 2012 e i successivi accordi di programma tra Stato e Regioni. Lo scopo è lodevole: la realizzazione di 19.000 punti di ricarica entro il 2020, dei quali 6.000 rappresentati da stazioni di ricarica veloci, per una spesa di poco superiore ai 33 milioni di euro. Cifre che impallidiscono di fronte alle misure messe in campo dalla Germania. La Piattaforma Nazionale per la Mobilità Elettrica, corrispettivo del nostro PNire, ha fissato l’asticella a 1,2 milioni di stazioni di ricarica per il 2020, delle quali l’85% private e il restante 15% pubbliche o semi-pubbliche.
Si tratta di una sfida eccezionale. L’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) stima che con gli attuali trend di crescita dell’auto elettrica sarà possibile abbattere il consumo di petrolio nel 2030 di più di 2,5 milioni di barili al giorno. Eppure ciò non basterà a salvare il pianeta. Il problema delle materie prime, ad esempio, non può comunque ritenersi archiviato. La stessa AIE sottolinea come aumenterà vistosamente il consumo di batterie e, quindi, il fabbisogno di metalli. In primis il cobalto, la cui domanda per i veicoli elettrici potrà aumentare dalle 10 alle 25 volte. Senza dimenticare che i dati forniti dal Politecnico di Milano e da Legambiente stimano attorno al 10% l’incidenza dei sistemi di trasporto sul totale delle emissioni inquinanti giornaliere.
Questa impostazione sconta il peccato originario di immaginare il nostro mondo futuro invaso da un numero identico, se non superiore, di automobili. Una visione da cui molti analisti invitano a diffidare. È notizia di qualche settimana fa che l’azienda di ride sharing Lyft, nella documentazione allegata alla propria Ipo, ha tratteggiato un futuro nel quale l’auto di proprietà andrà a sparire, sostituita da servizi di trasporto condivisi e automatizzati. Già ora il mercato dell’automotive vive un periodo di stagnazione. In Inghilterra, ad esempio, nel mese di gennaio 2019 si è registrato un calo del 18,2% delle immatricolazioni, ottavo mese consecutivo di flessione. In Turchia, anche a causa della svalutazione della lira turca, gli acquisti di automobili sono crollati del 60% negli ultimi dodici mesi. Negli Stati Uniti, dove l’auto rappresenta una estensione dell’identità culturale individuale, già dal 2001 si rilevano dati di vendite calanti. L’obiettivo a cui guardare, allora, è quello di un ecosistema urbano (richiamando il report di Legambiente) privo di automobili, nel quale gli investimenti puntino ad una mobilità condivisa, innanzitutto al trasporto pubblico locale che al momento, in Italia, ha un costo medio di 2,19€/Km a carico delle imprese, troppo alto perché possa essere diffuso capillarmente, anche in ragione della carenza di infrastrutture moderne e funzionali. L’ingolfamento delle nostre reti di trasporto ha prodotto un danno al PIL quantificabile in 142 miliardi di euro in dieci anni. Un sistema viario equilibrato, fluido e pulito permetterebbe di compensare le perdite derivanti dalla sensibile riduzione di vendite delle automobili, oltre che la riduzione di introiti per lo Stato dovuta al crollo delle accise sui carburanti e delle imposte legate al possesso dei veicoli. Facendo guadagnare a tutti un capitale incalcolabile in termini di qualità della vita, garantendo così un futuro migliore ai nostri figli e al nostro pianeta.
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