Energia
Il totem delle rinnovabili: in Italia si dichiarano, in Europa si fanno
Tra proclami politici e ritardi burocratici, la transizione energetica in Italia procede al rallentatore.
Le energie rinnovabili sono diventate il Totem della politica. Ogni ministro si genuflette, ripetendo le stesse promesse. L’ultimo a farlo è stato Gilberto Pichetto Fratin, Ministro dell’Ambiente, intervenendo all’evento Fonti Alternative e Green Transition di RCS Academy e Corriere della Sera. Ha ribadito l’impegno dell’Italia per la transizione energetica, dichiarando che dobbiamo ribaltare il rapporto tra fonti rinnovabili e fossili, arrivando al 2030 con due terzi di energia pulita e un terzo di fossili. Ha persino fissato un obiettivo: 10 gigawatt di rinnovabili installate tra il 2025 e il 2026. Ha aggiunto che, se non riusciremo a dare più peso alle fonti pulite nel mix energetico, rischiamo di avere prezzi dell’energia più alti rispetto a Francia, Spagna e Germania.
Parole decise. Ambiziose. Peccato che la realtà, come sempre, sia un’altra.
In verità, tra gli annunci e la realtà il divario continua a crescere. L’Italia è in forte ritardo nel raggiungere l’obiettivo di 80.000 MW di nuova potenza rinnovabile entro il 2030, fissato dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Con i ritmi attuali, il traguardo slitterà al 2038. Ad oggi, il Paese ha installato solo il 22% del totale necessario. Per colmare il divario, nei prossimi cinque anni dovremmo installare almeno 10.000 MW all’anno, un ritmo più che triplicato rispetto agli attuali livelli di crescita.
Attualmente sono 92 i progetti bloccati, con 31 nuovi casi solo nel 2024, riguardanti soprattutto impianti eolici e fotovoltaici. Secondo i dati aggiornati del settore, nel 2023 risultavano oltre 60 GW di richieste in attesa di autorizzazione, un segnale chiaro della paralisi normativa.
Le Regioni avrebbero dovuto mappare le aree idonee alle rinnovabili entro il 2024. Non l’hanno fatto. Il risultato? Una strategia nazionale che resta sulla carta. Senza questa mappatura, ogni progetto viene valutato caso per caso, aumentando il rischio di contenziosi e ritardi infiniti. Il Lazio è l’unica Regione che, mantenendo il ritmo attuale, potrebbe raggiungere l’obiettivo entro il 2030.
Eppure, nonostante questa paralisi, alcuni impianti riescono a vedere la luce, anche se con enormi difficoltà. Alcuni progetti di parchi fotovoltaici e impianti eolici sono stati portati a termine dopo anni di battaglie legali, revisioni progettuali e negoziati con le amministrazioni locali. I tempi medi di realizzazione, però, restano proibitivi. Altrove, un impianto potrebbe essere operativo in meno di due anni. Qui, invece, servono spesso tra i cinque e i sette anni per superare il labirinto autorizzativo.
Un confronto impietoso con l’Europa
Il contrasto tra parole e fatti si fa ancora più evidente se si guarda altrove. Mentre in Italia la transizione energetica resta impantanata tra burocrazia e ritardi, in altri Paesi, anche meno dotati di risorse naturali, le rinnovabili corrono. Nel 2023, la Germania ha installato 14,1 GW di nuova capacità rinnovabile, quasi cinque volte l’Italia. La Francia ha avviato un programma di semplificazione delle autorizzazioni, che ha portato all’installazione di 8,1 GW di energia pulita solo nell’ultimo anno.
Mentre in Italia si discute sulle aree idonee, altrove si pianifica e si costruisce. In Germania, il governo ha fissato obiettivi chiari: 30 GW di nuove rinnovabili all’anno entro il 2030. La Francia ha semplificato le procedure, consentendo di accelerare le autorizzazioni. Noi, invece, restiamo impantanati nel labirinto burocratico. Persino negli Stati Uniti, nonostante le promesse elettorali di Trump di rilanciare petrolio e carbone, le rinnovabili continuano a crescere grazie a una pianificazione a lungo termine.
Questa lentezza non è solo un problema ambientale, ma anche un freno per l’economia italiana. Secondo Confindustria, il comparto delle energie rinnovabili potrebbe generare fino a 540.000 nuovi posti di lavoro in Italia entro il 2030, tra installazione, manutenzione e filiera produttiva. Ogni anno di ritardo non significa solo emissioni in più, ma anche migliaia di opportunità perse. Mentre in altri Paesi la transizione energetica diventa un volano di sviluppo industriale, da noi si trasforma in un ostacolo per chi vuole investire.
La giungla normativa italiana
L’energia in Italia è una competenza concorrente tra Stato e Regioni, come stabilito dall’articolo 117 della Costituzione. Questo significa che ogni territorio può legiferare in modo autonomo su procedure e autorizzazioni, generando un mosaico normativo che rallenta gli investimenti. Le procedure di autorizzazione, che altrove si risolvono in mesi, qui richiedono anni. Un impianto eolico che potrebbe essere operativo in meno di due anni finisce spesso intrappolato in un iter autorizzativo che dura tra i 5 e i 7 anni. Un sistema pensato per bloccare più che per sviluppare.
Il no come regola di governo
Ogni nuova installazione di energia pulita genera un comitato di cittadini contrari. La retorica è sempre la stessa. Le pale eoliche rovinano il paesaggio, i pannelli solari sono invasivi, il territorio va difeso. Il problema non sono i dubbi legittimi, ma il fatto che la politica locale cavalchi il malcontento invece di guidare il cambiamento. I sindaci e gli amministratori regionali, in cerca di consenso, sabotano la transizione energetica pur di non perdere voti.
L’Italia è un Paese che spesso dice no, anche quando il futuro richiederebbe coraggio e visione. No alle rinnovabili. No ai rigassificatori. No agli elettrodotti. La politica, anziché governare, asseconda le paure invece di guidare il cambiamento, in nome di un passato che non esiste più.
Un danno per le imprese, non solo per l’ambiente
Questa paralisi non danneggia solo l’ambiente, ma soprattutto le aziende italiane. Molte imprese, dalle piccole realtà locali alle grandi società specializzate, sono pronte a investire nelle rinnovabili. Si trovano però bloccate da un sistema che premia l’attesa e punisce l’iniziativa. Ogni progetto mancato è un’occasione persa per il Paese, ogni investimento bloccato spinge fuori i capitali, ogni professionista costretto a cercare lavoro altrove è una competenza che non tornerà più.
Mentre altrove le rinnovabili trainano l’economia, in Italia restano impantanate. Quanti anni ancora dovremo perdere prima di un vero cambiamento?
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