Energia

Forza e debolezza delle sanzioni contro la Russia

9 Marzo 2022

Prima di essere considerato come una delle voci fuori dal coro e, ancor peggio, tacciato di supportare la posizione di Putin sull’invasione Ucraina, voglio fare una premessa non solo doverosa ma anche molto sentita: sono assolutamente contro qualsiasi invasione e guerra che sono espressioni completamente al di fuori da qualsivoglia logica umana, oltre che legge internazionale. Ciò detto credo che sia necessario fare alcune considerazioni sui reali pro e contro delle sanzioni economiche che il mondo occidentale – e non dimentichiamoci che per il momento, come è risultato evidente dal recente voto alle Nazioni Unite, tali azioni sono limitate solo a questa parte del mondo – sta comminando alla Russia.

Certamente l’insieme delle sanzioni – che comunque anche per ragioni di convenienza economica non hanno ancora toccato i gangli vitali dell’economia russa che, non dimentichiamolo, è una economia basata essenzialmente sull’esportazione di risorse naturali (gas, petrolio, fosfati, prodotti agricoli) – avrà effetti importanti. Come anche nelle ultime ore è risultato evidente, l’Italia e la Germania hanno seri problemi a seguire USA e UK nel bando alle importazioni di petrolio russo (ma non dimentichiamo che nemmeno Boris Johnson ha sanzionato le importazioni di gas) visto che entrambe non sarebbero in grado di affrancarsi dalle forniture di gas prima di 18/24 mesi.

Non a caso Gazprombank, l’istituto che permette le transazioni legate all’export del gas e del petrolio, non è stata (ad oggi) esclusa dal bando dal sistema SWIFT. Intanto le sanzioni stanno certamente provocando danni pesanti all’economia russa (chiusura della borsa, crollo del rublo, tassi di interesse più che raddoppiati, rating del debito estero a livello di default da parte delle diverse rating agencies, etc.). D’altra parte, gli effetti politici di tali sanzioni potranno essere misurati solo nel tempo e sarà da vedere se, come dicono alcuni, l’oligarchia russa, toccata direttamente nel portafoglio, avrà il fegato per ribellarsi a Putin.
Se questo sarà l’effetto, si potrà dire che le sanzioni avranno avuto successo. Non dimentichiamo però che Putin, dopo quanto accaduto nel 2014, ai tempi dell’invasione della Crimea, ha coscientemente preparato il paese a queste conseguenze: il debito estero è sceso al 17% sul PIL, ed il Paese, oltre ad aver già sofferto delle conseguenze del default del 1998, non dovrebbe necessariamente troppo patire dell’impossibilita di accedere ai mercati internazionali anche perché le sempre maggiori integrazioni con l’economia cinese potrebbero fornire a Putin ed ai suoi una alternativa non così difficile da perseguire.

Alcuni esempi concreti: l’esclusione dal sistema internazionale di scambio valuta (SWIFT) pur essendo un elemento di sufficiente disturbo non è l’unico strumento che la Russia può utilizzare per gli scambi con l’estero, o con quella parte di estero che non intende (o non può) interrompere le transazioni commerciali con la Russia.  Negli anni la Russia ha sviluppato diversi sistemi “interni” quali FMS, il MIR (la versione nazionale dello SWIFT attraverso il quale, secondo quanto riporta un recente articolo di Private Capital Today, transitano oltre il 25% delle transazioni nazionali e che ora è utilizzabile anche da Armenia, Ossezia, Turchia, Kyrgyzstan, Uzbekistan e Kazakhstan e che quindi potrebbe essere esteso ad altri paesi non allineati sul fronte delle sanzioni) il System for Transfer of Financial Messages (o SPFS) piattaforma su cui operano anche alcune banche europee. Da ultimo – e qui viene a mio avviso la maggior debolezza del “progetto sanzioni” – andrà visto che atteggiamento prenderà la Cina. Nel campo dei pagamenti, ad esempio, esiste il CIPS (Chinese Cross Border Interbank Payment System) che potrebbe essere offerto da Xi in uso “all’amico Putin”.

Sul fronte esportazioni di idrocarburi, con un notevole tempismo la scorsa settimana il CEO di Gazprom ha annunciato l’inizio dello sviluppo del Power of Siberia 2, un gasdotto che collegherà Russia e Cina passando per la Mongolia. Non si tratta certamente di una soluzione di breve termine per le esportazioni di gas ma, con i tempi di costruzione cinesi, potrebbe essere una soluzione nemmeno troppo lontana ad una destinazione diversa da quella europea per il gas russo.  Nelle ultime ore sui mercati sono filtrate notizie “dell’interesse” dei giganti pubblici cinesi all’acquisto di partecipazioni anche importanti nei grandi gruppi industriali russi (la stessa Gazprom, Rusal per l’alluminio, etc.). Ecco, dunque che le sanzioni di oggi potrebbero, ahimè, diventare un acceleratore di sviluppi di mercati alternativi – la Cina ha appena iniziato la decarbonizzazione della sua economia e potrebbe assorbire oltre il 100% del gas russo oggi acquistato dall’Europa.
Ecco, dunque che il ruolo della Cina torna una volta di più a essere fondamentale per il successo (o meno) delle sanzioni.

Quale potrebbe essere dunque una soluzione valida alla attuale tragedia? Non sono certo qualificato per poter dare una risposta, ma suggerisco di leggere un articolo pubblicato sul Washington Post nel 2014 – anno della invasione della Crimea e delle relative sanzioni – dall’ex segretario di stato USA Henry Kissinger (che certamente qualificato lo è).
A voi (ed ai posteri) la valutazione se tale analisi sia valida o sia invece solo un cinico esercizio di real politik, e soprattutto se sia in qualche modo applicabile alla situazione attuale.

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