Clima

Anche i petrolieri lo dicono chiaro: lasciamo i combustibili fossili sotto terra

15 Ottobre 2015

Capita di sollevare scandalo quando si dicono le ovvietà.
Quando alla fine di agosto ENI annunciò di aver scoperto il più grande giacimento di gas mai scoperto nel Mediterraneo, provai a rilevare come non si possa esultare per questa importante scoperta commerciale e allo stesso tempo essere preoccupati per le conseguenze del cambiamento climatico.
In tanti ne ebbero a male.

È notorio come circa il 70% delle emissioni di gas serra a livello globale derivino dall’utilizzo di combustibili fossili. Tali emissioni, non essendo compensate da una adeguata capacità di assorbimento, portano ad un aumento delle concentrazioni di gas serra che a loro volta sono la causa dei rapidi cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo in questi anni.
Le riserve attuali di combustibili fossili, se sfruttate interamente, causerebbero un aumento della temperatura media globale oltre i 2°C, un limite che il G7 ha fissato nello scorso mese di giugno e che costituisce l’obiettivo a lungo termine della strategia energetica comunitaria per il 2030 attualmente in discussione in sede UE.

Le stime della quantità massima di combustibili fossili utilizzabili variano fra gli studiosi (si va da un quinto di tutte le riserve, alla stima di due terzi del petrolio e meta’ del gas naturale a patto, pero’, di dismettere completamente il carbone), ma il dato e’ chiaro: se vogliamo rimanere entro i fatidici due gradi la maggior parte delle riserve conosciute di idrocarburi deve restare dov’è. E questo senza considerare le nuove scoperte che vengono annunciate o le eventuali disponibilità non ancora individuate. Lo dicono da tempo i climatologi, lo si e’ ripetuto in occasione della recente conferenza Our Common Future under Climate Change che ha fatto il punto delle conoscenze scientifiche sul tema cambiamento climatico in vista del COP 21, lo dicono da tempo attivisti e opinionisti. Da oggi, finalmente, lo dice anche il capo economista di BP, che qualche tempo fa era passata dal nome originale British Petroleum allo slogan Beyond Petroleum, cioè oltre il petrolio.

“The pace at which estimates of recoverable oil resources are increasing, together with growing concerns about the environment, means that it seems unlikely that all of the world’s oil will be consumed.”

La nuova economia del petrolio che Spencer Dale suggerisce prevede che presto la domanda a livello globale possa diminuire, mantenendo bassi i prezzi e vanificando gli enormi investimenti che le aziende petrolifere hanno realizzato quando un barile di petrolio era quotato stabilmente oltre i 100 $ al barile.

In questo campo non è certo una novità parlare di stranded assets, cioè della necessità di svalutare il patrimonio di un’azienda in virtù delle mutate condizioni di mercato. Da qualche tempo si parla addirittura di Shale Bubble, facendo riferimento agli investimenti realizzati per le estrazioni di gas e petrolio da scisto una rivoluzione tecnologica che mostra tutti i suoi limiti dopo solo pochi anni.

La novità del giorno è il fatto che questo allarme venga rilanciato direttamente dalla terza più importante azienda petrolifera mondiale.

Ancora una volta il messaggio è urgente nella sua semplicità.

Smettiamola di sprecare investimenti e capitale umano in un settore in via di dismissione e concentriamoci tutti, da subito, alla ricerca delle migliori alternative possibili. Anche perché ormai stanno diventando drammaticamente convenienti anche dal punto di vista economico (ma su questo torneremo nelle prossime settimane).

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