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PLPL cade dalla Nuvola: quando la piccola e media editoria è fagocitata dal mainstream
Un’edizione di “Più libri più liberi”(PLPL) particolarmente sfortunata, questa del 2024, in programma da ieri e fino all’8 dicembre alla Nuvola, il centro congressi di Roma Eur. Non soltanto perché avvelenata da inevitabili polemiche riguardo a infelici scelte di presentazioni di autori e libri, come quella che ha tenuto banco per settimane relativa al caso di Leonardo Caffo, ma perché cade in un momento in cui la piccola e media editoria, dopo anni di continuativa crescita del settore che avevano ribaltato la lunga crisi degli anni 2010, subisce una importante battuta d’arresto sul mercato, perdendo il 4,9% del venduto (in termini di copie) rispetto al 2023.
Il grande mangia il piccolo?
È questo uno degli indici di mercato offerti dalla tradizionale ricerca condotta dal Centro studi dell’AIE (Associazione Italiana Editori), diretto da Giovanni Peresson – in collaborazione con l’istituto di ricerca NielsenIQ-GfK –, presentata come ogni anno in apertura della Fiera e del suo padiglione professionale, poco dopo l’inaugurazione avvenuta nel padiglione RAI alla presenza del ministro della Cultura Alessandro Giuli, del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, del presidente AIE Innocenzo Cipolletta e dell’assessore alla Cultura del Comune di Roma Massimiliano Smeriglio, con Chiara Valerio, direttrice della Fiera, defilata e silenziosa dopo le critiche che l’hanno investita – «non sempre civili», ha chiosato la presidente della Fiera Annamaria Malato durante l’inaugurazione.
Nel complesso, la ricerca ha mostrato una situazione nel mondo del libro variegata e contraddittoria. Se infatti gli indici del mercato, calcolati tanto sulle copie vendute quanto sui ricavi, sono complessivamente negativi, la performance non è stata la stessa per le diverse realtà in base alle loro dimensioni: i grandi gruppi editoriali e i loro marchi controllati hanno infatti registrato indici positivi, e o ggi arrivano a controllare circa il 53,5% del mercato nel complesso. A soffrire sono state soprattutto la piccola editoria (quella che realizza da 1 milione a 5 milioni di euro di venduto) e la microeditoria (fino a 1 milione di euro di venduto). La piccola editoria vede infatti le vendite per copie scendere del 9,4%, recuperando leggermente nei ricavi (-3,6% rispetto al 2023), mentre la microeditoria vende il -5,7% in termini di copie e il -4,9% in termini di ricavi. Fra i canali di vendita, quello delle librerie fisiche (di catena o indipendenti) realizza il 54,5% delle vendite, mentre le librerie online realizzano il 40,9% delle vendite, perdendo quota rispetto agli ultimi anni. La grande distribuzione organizzata, che qualche decennio fa si era affermata come nuovo e importante canale di mercato, è ormai negli ultimi anni in caduta e oggi costituisce solo il 4,6% del mercato.
A segnare il passo durante l’ultimo anno è stato innanzitutto l’aiuto proveniente dallo Stato, come ha denunciato in particolare Carlo Gallucci. «Noi come editori non abbiamo mai chiesto né ricevuto aiuti di Stato alle imprese, ma la promozione pubblica della lettura, che è un aiuto innanzitutto ai cittadini, è una voce imprescindibile della democrazia». Nell’ultimo anno, il governo ha cancellato il finanziamento alla lettura che prima lo Stato offriva alle biblioteche per l’acquisto autonomo dei loro titoli, del valore di oltre 30 milioni di euro. «Se consideriamo questa sottrazione di fondi», ha notato Gallucci, «capiamo subito che basterebbe aggregare tale quota di valore per ottenere un indice positivo nella performance del mercato anche per il 2024» che in effetti perde 12,464 milioni di euro di spesa rispetto al 2023, quindi molto meno rispetto a quei 30 milioni non più nelle disponibilità del settore. Inoltre, ha ricordato la giornalista Sabina Minardi, «il governo ha sostituito l’efficiente bonus cultura 18App, destinato a contribuire alla spesa per la cultura dei più giovani, con un’iniziativa per sua stessa ammissione fallimentare, come la Carta del merito», una sorta di premio in denaro per i soli studenti che avessero ottenuto 100 o 100 e lode alla maturità. Anche questo ha drenato decine di milioni di euro dal mercato editoriale.
Durante l’inaugurazione di PLPL, senza prendere particolari impegni, il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha echeggiato il “Piano Olivetti per la cultura” che aveva annunciato a fine novembre da Bruxelles – ancora una volta, il governo si diverte a scippare alla cultura progressista italiana i suoi personaggi simbolo – e sulla base del quale dovrebbe di nuovo destinare quei 30 milioni di euro alle biblioteche. Ma quando e se davvero sarà operativo, al momento, non si sa.
Concentrazioni di mercato, fin dalla scrittura
Quel che si sa è che siamo in presenza di un mercato sempre più concentrato e concentrazionario, in cui la piccola e micro editoria, pur rappresentando la componente maggioritaria di un settore composto da oltre 5.300 aziende, soffre per via di dinamiche imposte dagli attori di maggiori dimensioni; i quali, come opportunamente sottolineato da Lorenzo Armando (presidente del gruppo Piccoli Editori AIE) durante la presentazione dei dati, controllano tutti i gangli vitali della filiera, gestendo in proprio la produzione, la distribuzione, la promozione e la vendita e spesso rappresentando – è il caso per esempio di Messaggerie Libri/PDE, la più grande rete distributiva italiana, di proprietà del gruppo Gems che controlla 20 marchi editoriali – un fornitore quasi obbligato anche per numerose aziende concorrenti di quelle del gruppo. Aziende che inevitabilmente finiscono in secondo piano quando si tratta, per esempio, di promuovere i loro libri presso i librai o di fare spazio ai loro libri sugli scaffali di una libreria di catena afferente a un gruppo che possiede già numerosi marchi editoriali.
Ma l’elemento che forse più esemplifica il concentrazionismo patito dall’editoria italiana non riguarda tanto il funzionamento della filiera a valle, quanto il fatto che a monte, cioè nell’ideazione e nella scrittura stessa dei libri, la buona salute o meno del settore dipenda dalla performance di sempre meno libri, che diventando bestseller spingono in alto la performance collettiva. Se dunque nel 2023 era stata la biografia del principe Harry Spare (Mondadori) a trascinare in alto l’intera filiera vendendo oltre 300mila copie cartacee, insieme al romanzo La portalettere di Francesca Giannone (Editrice Nord) che ne ha vendute oltre 250mila, nel 2024, come ha confermato Giovanni Peresson ai microfoni de Gli Stati Generali a margine della presentazione, «è mancato il bestseller che fosse in grado di fare da traino a tutto il mondo del libro». D’altro canto, il fatto che si tratti di una realtà tanto plurale quanto concentrazionaria è ben rappresentato, ancora una volta, dai numeri: il mercato del libro sforna oltre 80mila titoli l’anno, per un totale di copie vendute di poco più di 79 milioni nel 2024. Ma i primi 100 titoli più venduti, pur rappresentando soltanto lo 0,125% della produzione, raccolgono oltre il 7,7% delle copie acquistate. Cosa cambierebbe se la filiera spostasse maggiormente il peso delle sue politiche economiche e commerciali dallo strapotere dei grandi gruppi verso una distribuzione più equilibrata? Certamente ne beneficerebbero, a cascata, i lavoratori del settore, la cui miriade di aziende è spesso composta da un unico dipendente – l’editore – con una rete di collaboratori esterni: un indotto spesso precario e con una forte componente di lavoro povero, come nel caso per esempio del lavoro di traduzione editoriale. Ma ne beneficerebbero anche i lettori, che potrebbero accedere, nelle librerie, a un’offerta di titoli più ampia e distante dal mainstream, il quale invece, persino in una fiera esplicitamente dedicata alla piccola e media editoria, continua ad attirare la gran parte dell’attenzione su di sé. Tanto che numerosi piccoli editori hanno polemicamente annunciato che non sarebbero stati presenti alla Fiera proprio in ragione di tale dinamica.
Una fiera mainstream per un mercato mainstream
Nello stesso spazio espositivo della Nuvola, per esempio, la presenza di una testata come La Repubblica a fare da fulcro di numerose iniziative culturali di grido non trova ragione, specialmente se si pensa che la stragrande maggioranza degli ospiti che riempiranno quello spazio sono autori e autrici a loro volta mainstream, già abbondantemente coperti dai grandi canali distributivi e promozionali, oltre che dalla grande stampa. Così come mainstream e rigorosamente entro i binari di ciò che non deve destare scandalo è il programma di PLPL di quest’anno. Sono numerose le iniziative dedicate a uno dei temi forti del mercato editoriale già da anni, ovvero quello femminista, che si è ormai da tempo affermato come un vero e proprio genere letterario; una scelta di certo in coerenza con il fatto che la direttrice della Fiera, Chiara Valerio, ha deciso che Più Libri Più Liberi andasse dedicata per ben tre anni a una e una sola vittima di violenza patriarcale, Giulia Cecchettin, a fronte di centinaia di altre vittime destinate così a rimanere anonime e sconosciute; ma, clamorosamente, sono ben poche se confrontate con l’insieme del programma le iniziative dedicate ai grandi fronti critici della contemporaneità, non soltanto quello delle guerre o dei genocidi in corso, ma persino il fronte del cambiamento climatico, o dei pericoli autoritari in seno alle cosiddette democrazie liberali, o del razzismo strutturale che sta ormai diventando persecuzione violenta delle minoranze.
Piccoli editori sottovoce
Da questo punto di vista l’impressione è quella di una fiera – il cui titolo “La misura del mondo” in omaggio ai 700 anni della morte di Marco Polo è talmente vago da dire tutto e niente – nettamente sottovoce nei contenuti, così come da mesi ormai registriamo l’abbassamento di tono di tutte le principali iniziative culturali e di costume del Paese, dall’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia fino al prossimo festival di Sanremo dove la censura dei contenuti politici è stata persino candidamente sponsorizzata dal conduttore Carlo Conti. La Fiera riflette in modo abbastanza limpido la spoliticizzazione in corso della società italiana e il fatto che il discorso pubblico sia sempre più complesso da gestire. Come d’altro canto ben dimostra la vicenda stessa che ha preceduto PLPL, ovvero le tante polemiche sulla ribalta concessa allo studioso Leonardo Caffo, a processo per violenze sulla sua compagna, proprio in una fiera dedicata a una vittima di violenza patriarcale. Una vicenda sulla quale un vero e proprio dibattito pubblico è mancato, e mancherà in Fiera, a significare anche una mancanza di coraggio da parte degli organizzatori: nello spazio di quella presentazione, dopo aver deciso di annullarla, sarebbe stato di certo interessante provare a interrogarsi proprio sul senso e sui limiti del discorso pubblico, come espressione sì della libertà di espressione ma innanzitutto del potere, da parte di alcuni agenti più di altri, di indirizzarlo, deviarlo, consentirlo oppure impedirlo, e di come relazionarsi al conflitto, al dissenso e alle lotte. Sarà per un’altra fiera, forse. In questa edizione di PLPL, per adesso, la misura del mondo appare piuttosto circoscritta alla solita autoreferenzialità del mondo culturale, piegato su sé stesso e sui suoi circuiti, sui suoi soliti noti e solite note, con pochi guizzi di originalità fuori dal mondo mainstream. Per trovarli, occorre girovagare fra gli stand, parlare con i tanti piccoli e microeditori presenti, ascoltare da loro perché hanno scelto di pubblicare quei libri, come sono arrivati nelle loro mani, e che funzione svolgono nelle loro realtà di riferimento, spesso locali o settoriali. La misura del mondo, in quel caso, cambia, e diventa un operoso formicaio di piccoli attori e piccoli autori, che non aspirano alla gloria né tantomeno alla ricchezza, bensì a costruire, attraverso i libri, un tessuto sociale orizzontale, fra persone e gruppi di persone; un tessuto inseparabilmente economico, culturale e politico.
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