Economia
Signora, ha presente l’innovazione sociale?
Nel 2012 a Matera ho contribuito a dare il via a Casa Netural, una realtà difficile da spiegare in poche parole ma che, volendo usare una metafora, definirei un abilitatore di cervelli.
Però il tema non è principalmente questo, ma la collocazione geografica e topografica, e la storia che vi racconterò, sono importanti rispetto al tema.
Casa Netural è nata da un processo semplice di abilitazione. Non avevamo soldi e non potevamo nemmeno permetterci una sede, ma avevamo certe idee che volevamo sviluppare. Allora, Andrea (che con me ha avuto l’idea di Casa Netural) ha deciso di aprire casa sua alla comunità locale, per dare vita a quello che doveva essere solo un progetto di coworking rurale, ma che nel tempo è diventato molto di più. La casa era bella, piccola e molto “cool”, nei Sassi di Matera, affaccio sugli antichi Rioni, insomma il selfie appena arrivavi era d’obbligo.
Abbiamo iniziato a lavorare sulla comunità, ad attivare numerose iniziative che andavano ben oltre il semplice coworking, e nel tempo la nostra casa è diventata un interessante aggregatore sociale di persone pronte a mettersi assieme per studiare soluzioni nuove ai loro problemi quotidiani.
Dopo 3 anni, però, ci siamo resi conto che la casa ci stava stretta, non solo per la metratura, ma anche per la collocazione e per la difficoltà che ancora permaneva di rendere “accessibili” a tutti i temi di cui ci occupavamo.
In fondo, stavamo “vincendo facile” in quel momento: centro storico di una città spettacolare, spesso raccontati come uno dei casi studio dell’innovazione sociale italiana, mediaticamente molto presenti, ma con la sensazione di essere ancora relegati in una certa cerchia culturale, ben lontana dal nostro reale “ingresso in società”.
In realtà, la sfida che avevamo deciso di affrontare con Casa Netural non era una sfida mediatica, e nemmeno di “tendenza”, quello che noi ci immaginavamo era di poter cambiare un pezzo di società dal basso, trasmettendo nuovi approcci alla vita sociale, nuove reti di relazioni, insomma ci immaginavamo di fare innovazione sociale, creando una specie di effetto domino che consentisse la diffusione allargata di soluzioni nuove a problemi sociali “vecchi”, come ad esempio trovare lavoro, sviluppare nuove competenze, etc.
E così, abbiamo cambiato casa, ci siamo trasferiti in un quartiere popolare e semi-periferico, abbiamo preso in affitto una casa molto più grande e costosa, abbiamo trovato, progettato e costruito la nuova casa con la nostra community, e alla fine, abbiamo incontrato il quartiere.
E sapete di cosa ci siamo accorti? Che la signora Caterina, 73 anni, attivissima nuova vicina di casa, era l’innovatrice sociale più avanzata che conoscessimo. Davvero, dico, una vita di impegno civico, animata da un’energia senza pari, preoccupata delle sorti del quartiere e con una visione chiarissima delle priorità dei luoghi della città e delle comunità, impegnata ad immaginare soluzioni alternative e soprattutto innovative per il benessere dei suoi abitanti.
Caterina ci ha insegnato una cosa, e da questa siamo ripartiti. C’è una bella differenza tra quello che può diventare marketing sociale e quella che è la reale innovazione dei processi sociali, il primo può vivere di social network, di convegni interminabili, di articoli di giornale, la seconda non può esistere senza le persone , non può non attivare altre persone a sua volta, progettare soluzioni “inedite” a problemi che sembrano insormontabili, parlare la lingua di tutti. E ci siamo resi conto anche di un’altra cosa: che in questi processi, soprattutto al Sud, c’è spesso un grande assente, ed è l’Istituzione. E lo dico senza vederci cattiva fede in questa assenza, è una specie di “ritardo di crescita”, dovuto al fatto che assessori, dirigenti, imprenditori e classe politica non hanno culturalmente fatto propri i contenuti e le opportunità dell’innovazione sociale e che sono costretti ad operare in contesti in cui la svolta più trasgressiva è l’innovazione normativa e burocratica.
Eppure, parole come “innovazione”, “agenti di innovazione”, “processi innovativi” abbondano nel lessico comunicativo di tutti, politici locali compresi, è nei processi che manca qualcosa di importante e, a volte, mi viene il dubbio che sia più comodo restare nel lessico dell’innovazione piuttosto che scendere in campo per farla.
Perchè, scendere in campo vuol dire sentirsi dire dai cittadini che incontri, che non hanno bisogno di “queste cretinate”, che “qui il problema è campare” e che “è roba da figli di papà l’innovazione sociale”.
E allora, in un attimo, ti rendi conto che forse una riflessione collettiva andrebbe fatta, che sarebbe ora di capire davvero come possiamo essere utili nei processi sociali, come possiamo “abilitare” i cittadini a vivere meglio, anche grazie alle mille soluzioni “innovative” che ogni giorno ci raccontiamo , come possiamo aiutare le Istituzioni ad innescare innovazione.
Noi, questo Natale, con la signora Caterina e le altre signore del quartiere costruiremo le nuove luminarie di San Pardo. Le faremo in autocostruzione, con materiali di riuso, e le costruiremo a Casa Netural. La felicità di Caterina e l’aspettativa che questo possa cambiare il quartiere, almeno per un pezzo, ci fa sentire davvero utili e innovativi e chissà che dalle luminarie non possiamo passare ad immaginare insieme sistemi di welfare di quartiere e approcci innovativi alla cura del verde accessibili a tutti.
Intanto, accendiamo le luci e facciamo sorridere grandi e piccini.
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