Economia
Quando Mrs. Robinson mi invitò per un tè e per parlare di concorrenza imperfetta
“Would you like to come for tea?”
Un agosto di tanti anni fa, trovai questo invito nella mia cassetta della posta. Abitavo allora in una casa del Trinity College, a Cambridge, in Grange Road, una strada di giardini, college e ville di accademici. Ero un graduate student della Facoltà di Economia, e come tale non ero in vacanza, ma a scrivere la mia dissertazione. Il biglietto di invito era della vicina di casa, il cui giardino confinava col giardino del Trinity (c’era solo un basso cancelletto divisorio, ma sempre aperto; credo che oggi non ci sia più neppure quello). La vicina di casa era Joan Robinson, della quale oggi ricorre l’anniversario di morte (5 agosto 1983).
Joan Robinson è stata innegabilmente la più grande economista (nell’accezione di genere che piace alla presidenta dell’attuale Parlamento italiano) della storia del pensiero economico. La Robinson, la maggiore allieva di Maynard Keynes, ha inventato, tra le altre cose, la concorrenza imperfetta e il monopsonio. I miei studenti debbono (anche) a lei se non imparano sciocchezze sulla concorrenza e il monopolio, sul tasso di interesse, sulla disoccupazione e il mercato del lavoro – quelle sciocchezze e banalità che si ritrovano perfino nei più recenti e più diffusi libri di testo, i famigerati ‘manuali’ che vanno per la maggiore nelle migliori università del mondo. Ma non è di teoria economica che desidero parlare. Desidero, piuttosto, far vedere come dovrebbe essere il rapporto tra un insegnante e uno studente, indicare quale siano i valori più importanti che si possono, e debbono, trasmettere alle generazioni più giovani.
La Signora Robinson – Mrs. Robinson – come tutti la chiamavano, anche dopo che aveva ottenuto, prima donna nella storia dell’Università, la prestigiosissima cattedra di Economia a Cambridge, era una personalità straordinaria. Gli Inglesi hanno un termine per definire questo tipo di personalità e carattere: formidable; “formidabile” non rende, è qualcosa di più. Io, di donne così (ma direi anche di uomini), ne ho conosciute personalmente solo due, o forse tre, al massimo.
Joan Violet Robinson era nata il 31 ottobre del 1903, figlia di un grande generale dell’Impero Britannico, e del padre aveva mantenuto una innata e naturale autorevolezza, un indomito coraggio, il disprezzo, così britannico, per le condizioni climatiche. Anche d’inverno, anche con la neve e il ghiaccio, indossava leggeri, bellissimi sari e sandali indiani: figura ieratica, incedeva come, appunto, deve fare un vero generale dell’impero, o una maharani. Tutti la temevano, per la forza della sua intelligenza moltiplicata dalla sua mancanza di rispetto per l’autorità e le idee costituite.
Nel suo discorso in occasione del conferimento del Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz racconta come “la tumultuosa relazione” tra lui e la Robinson (che gli era stata assegnata come supervisore), lo portò a chiedere di passare a Frank Hahn. Io avevo seguito le lezioni della Signora Robinson, ma non ero un suo allievo, nel senso che non avevo scelto lei come supervisor (come Stiglitz, avevo scelto anch’io Frank Hahn, senza ‘passare’ tuttavia attraverso un’esperienza con la Signora Robinson. Peraltro, Frank Hahn non era certo una mammoletta, anzi!). Ma la Robinson sapeva che ero lì, a pochi metri da casa sua a preparare la mia tesi, in grande isolamento. (D’estate, a Cambridge, tra studenti e professori, eravamo in pochi, anche se ci conoscevamo tutti; ma non tutti erano molto ‘socievoli’.) Dunque mi invita per il the; e così fece per tutto quell’agosto e settembre.
A quei the c’erano altri ospiti, non molti: un paio di altri studenti, quasi sempre Richard Kahn, spesso Austin Robinson (marito di Joan) e Nicholas Kaldor – cioé il meglio della tradizione keynesiana di Cambridge. In particolare, quell’estate, era spesso invitato anche Robert Skidelsky, che stava scrivendo quella che è diventata la biografia più completa (tre grossi volumi) di Maynard Keynes. Beh, vi posso confessare che, per me, quei pomeriggi a casa Robinson – at five o’ clock, sono stati una delle esperienze più formidabili (nel senso sia italiano sia inglese del termine) della mia vita.
Naturalmente, i temi di conversazione erano di economia, di filosofia, di politica. Ma straordinari erano il rigore assoluto e la libertà totale nel linguaggio e non solo nelle idee, la franchezza e l’anticonformismo, l’immoralismo (nel senso tipico keynesiano) e il non perbenismo di questasignora alto borghese e super intellettuale. Se Kahn – l’inventore del ‘moltiplicatore’ keynesiano, non uno studentello qualsiasi (era pure un pari del Regno Unito) – diceva quello che a lei pareva una sciocchezza, immediatamente, con la sua voce rauca, gli diceva: “don’t be silly!”, e lo faceva davvero apparire come uno sciocco. A Kaldor rimproverava spesso l’essere politicamente troppo moderato, il non avere coraggio di portare avanti politiche economiche più progressiste (e Kaldor non era certamente un conservatore, e pure lui già Lord). A Skidelsky, che era titubante su come trattare la questione dell’omosessualità di Keynes e le chiedeva consiglio, suggeriva o, meglio, imponeva: “devi essere assolutamente franco sulla sua buggery!” – lascio a voi la traduzione della parola (forte, anche in inglese).
Io, imbarazzatissimo, mi sprofondavo nella poltrona (non era una cosa difficile: come spesso nelle case inglesi, era mezzo sfondata), felice di non essere un suo supervisee! (Capivo i problemi avuti da Stiglitz.) Ma imparavo due cose, che da allora ho sempre cercato di rispettare. La prima è l’irriverenza – l’irriverenza nei confronti dei poteri costituiti, delle idee tramandate viete e trite, delle consolidate pratiche (anche accademiche e didattiche). La seconda cosa che ho imparato, in quei the estivi, è la generosità e la disponibilità nei confronti dei giovani: non ero un suo allievo diretto, eppure Joan Robinson mi ha aperto la sua casa, fatto conoscere meglio i suoi amici (e che amici!) e le loro idee, dimostrando un interesse del tutto disinteressato nei miei confronti. Chi glielo faceva fare?
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