Economia
Quando la povertà diventa un business
Associare l’idea della povertà alla ricca Confederazione Svizzera è un paradosso? Meno di quanto sembri. Da Ginevra Elena Rusca ci spiega perché. Se nel paese delle banche l’8,2% della popolazione è povera, è perché la povertà è anche un business da perpetuare.
GINEVRA Con un PIL di 884,9 miliardi di dollari (OFC, 2023), la Svizzera ha una quota di poveri dell’8,2% (OFC, 2022). Ma come fa uno dei paesi più ricchi del mondo trovarsi in questa situazione e, soprattutto, perché non riesce a risolverla? Definendo la parola “povero” e analizzando come indichi ben più della semplice “mancanza di denaro”, cercheremo di capire come l’organizzazione sociale svizzera sia riuscita a trasformare un contesto di fragilità e vulnerabilità sociale in un vero e proprio business.
Cosa significa “povero” in Svizzera?
La povertà è spesso definita termini di reddito individuale: secondo gli standard della Conférence suisse des institutions d’action sociale (CSIAS) nel 2022 corrispondeva a un reddito medio di 2.284 franchi al mese per un single e 4.010 per una famiglia di due adulti e due bambini. Lo stesso anno la definizione copriva l’8,2% della popolazione svizzera, circa 702.000 persone.
Secondo le informazioni dell’Office fédérale de la statistique (2022), la maggior parte di queste persone ha un basso livello di istruzione, è priva di una formazione post-obbligatoria, ha nazionalità straniera ed è lavorativamente inattiva (disoccupata, in pensione, ecc.). Nell’ambito di queste categorie donne, under 25 e over 65 sono i più colpiti. Spesso anche le famiglie monoparentali con figli minori a carico non sfuggono al problema.
La povertà non è solo una questione di soldi
Sebbene la CSIAS definisca la soglia di povertà in relazione al reddito della popolazione svizzera, la povertà non è affatto solo una questione di soldi. Lo United Nations Development Program (UNDP) per misurare disuguaglianza e povertà nel mondo, ad esempio, utilizza l’indice di povertà multidimensionale (MPI), un indicatore statistico sviluppato dall’Oxford Poverty and Human Development Initiative (OPHI), il cui stesso nome indica che la povertà è un complesso di privazioni multiple e sincronizzate, di cui quella monetaria è solo una delle tante dimensioni.
Nel mondo, infatti, per un miliardo e 700mila persone si sommano problemi differenti (Artias, 2007). A differenza degli indicatori monetari, l’MPI permette di capire che non tutti i poveri sono poveri per le stesse ragioni. Nei paesi sviluppati dotati di economie di mercato le privazioni subite dagli individui più svantaggiati non sono le stesse di quelle subite nei paesi in via di sviluppo: gli indicatori di instabilità occupazionale o di bassa qualità dell’istruzione appaiono più rilevanti rispetto ad altri fattori nella misurazione della povertà. (Sen, 2000).
Tenendo conto dell’MPI, quindi, possiamo definire la ricchezza e la povertà come somma e assenza di vantaggi. Una definizione che richiama gli scritti di Pierre Bourdieu (1979). Nel suo libro La Distinction, critique sociale du jugement (1979) il sociologo definisce la collocazione sociale in termini di accesso a diversi tipi di capitale. In questo quadro il capitale economico (i “beni” materiali come il reddito, la rendita o la proprietà) è intrinsecamente legato al capitale culturale (sapersi comportare, saper parlare) e al capitale sociale (legami sociali, relazioni). Dopo di lui anche Rigaux (2011) ha sostenuto la stessa visione, definendo la collocazione sociale in rapporto al volume e alla struttura del capitale degli individui.
Esistono pari opportunità?
“Chi ha un ruolo dominante è in buona posizione per mettere in atto strategie che gli consentono di conservare la propria posizione e di estendere il proprio capitale” (Boyer, 2003). Purtroppo però l’accesso al capitale non è uguale per tutti. Spesso ciò porta la persona interessata da una situazione di povertà ad accedere con difficoltà al capitale sociale e culturale (secondo la definizione di Bourdieu) per mancanza di denaro, ad autoescludersi prima ancora che la società lo escluda, al fine di prendere le distanze da un mondo “inaccessibile”, semplicemente per “proteggersi” (Hoggart, 1970).
Perciò tale difficoltà di accesso blocca le persone in condizione di povertà fissando il loro status di “poveri”. La Culture du pauvre, pubblicata da Hoggart nel 1958 col titolo The Uses of Literacy e tradotta in francese nel 1970, mostra chiaramente che il sentimento di povertà rimanda a tutta una cultura dell’autoesclusione generata e alimentata proprio da tali “carenze”.
In questo senso, la parola “esclusione” non è così banale: i sistemi sociali odierni sono progettati per garantire che nessuno si senta responsabile della povertà altrui (Tabin, Knüsel e Ansermet, 2014). Si concentra l’attenzione sull’individuo, quasi fosse un problema individuale, eliminando ogni forma di visione comunitaria o improntata alla responsabilità collettiva. E così facendo si dimentica il concetto di lotta di classe, tanto caro al filosofo Karl Marx.
Purtroppo però, dopo che il capitalismo ha messo l’individuo al centro della società, le distinzioni di classe non sono realmente scomparse. “La moderna società borghese, nata dalla rovina della società feudale, non ha abolito gli antagonismi di classe. Ha semplicemente sostituito alle vecchie classi nuove condizioni di oppressione e nuove forme di lotta” (Marx ed Engels, 1848).
Dietro la maschera dell’esclusione lo sfruttamento, nell’accezione marxista del termine, potrebbe non essere ancora scomparso, anzi alcuni studi scientifici confermano il contrario. “Nel campo della sociologia la questione delle classi resta importante. Da un lato, da un punto di vista storico, sono necessarie per comprendere le dinamiche degli ultimi due secoli. Dall’altro, anche oggi, la persistenza di disuguaglianze strutturali, legate a posizioni gerarchiche e all’origine di conflitti di interesse nel sistema produttivo, continua a sollevare interrogativi” (Chauvel, 2001).
Chi beneficia del mantenimento di questo ordine sociale?
Secondo Paugam (2005) l’esperienza della povertà dipende dall’intervento pubblico, dallo sviluppo economico e dalla forma e dall’intensità dei legami sociali. In Svizzera nel 2023 il movimento internazionale ATD Fourth World (Agir Tous pour la Dignité) ha pubblicato un rapporto su questo e altri temi. Il rapporto è stato co-costruito da persone che hanno vissuto la povertà, professionisti e scienziati. L’obiettivo? Mettere in luce la violenza e la mancanza di tutela istituzionale insite e riconosciute come tali nel 2013 dalla Confederazione elvetica nelle misure coercitive a scopo assistenziale praticate in Svizzera fino al 1981 (ATD “Quart Monde”, 2023).
Il rapporto evidenzia diversi aspetti della questione. In primo luogo il sistema giuridico svizzero, che non è stato concepito per aiutare le persone in condizioni di povertà. In secondo luogo la contraddizione tra aiuti sociali e istituzionali che, se per un verso mirano a sostenere i poveri, per un altro altro finiscono per perpetuare la povertà. Se le persone non si comportano secondo l’ordinamento stabilito dallo Stato sociale, possono essere punite in un’ampia varietà di modi. Su chi vive in condizioni di povertà vengono spostati pressioni e oneri. Ciò rafforza le disuguaglianze di potere e la dipendenza. E mantiene l’ordine sociale così com’è.
Ma chi trae vantaggio dal mantenimento di questo ordine sociale? Se è vero che in Svizzera gran parte della società teme la povertà, l’imprenditoria, invece, è riuscita a trarne profitto, grazie alle “radiose caratteristiche del ‘commercio morbido’ e ai contributi allo sviluppo […] caratterizzati dallo sfruttamento, dal potere illimitato e dalla mercificazione del mondo (Dalsace, et Ménascé, 2010)”. [commercio dolce, teoria di origine illuministica, che vede nell’espansione dei commerci un fattore progressivo di pace e civilizzazione dell’umanità. NdT]
New Public Management: una soluzione made in Switzerland
Secondo le definizione di un rapporto di Avenir Social pubblicato nel 2021 “il linguaggio dell’economia aziendale sta diventando di uso comune nel campo dell’assistenza sociale”, un settore che dovrebbe, tra l’altro, aiutare chi è in condizioni di povertà. In Svizzera, a partire dagli anni ’80, diverse riforme della gestione pubblica (New Public Management) hanno modificato profondamente il sistema di finanziamento del lavoro sociale. Concretamente, ciò ha portato a un forte decentramento, seguito da crescenti processi di privatizzazione nei settori sociale, educativo e sanitario.
Questo cambiamento ha fatto sì che “le organizzazioni di assistenza sociale vengano valutate in base a criteri di efficienza ed efficacia. Tuttavia è difficile applicare tali criteri in campo sociale. L’efficacia del lavoro sociale, infatti, difficilmente può essere misurata in termini quantitativi, perché la complessità delle condizioni di vita degli utenti non può essere descritta in termini finanziari. Tuttavia la gestione basata sui risultati, tutt’altro che scevra di problemi nel campo del lavoro sociale, viene indicata come obiettivo supremo e abbinata a compensazioni finanziarie” (Avenir Social, 2021).
Pertanto, come è scritto nel rapporto ATD “Quarte Monde”, l’eccesso di tassazione e i carichi di lavoro eccessivi imposti alle figure professionali che se ne occupano fanno sì che le soluzioni offerte non aiutino realmente a risolvere i problemi concreti delle persone colpite dalla povertà. Di fatto nelle condizioni attuali l’obiettivo istituzionale di aiutare queste persone a diventare indipendenti non può essere raggiunto. Gli utenti continuano a dipendere dai servizi delle istituzioni, che perpetuano il loro lavoro.
“Il mercato e la concorrenza non sono gemelli siamesi. In molti settori della società il mercato non esiste oppure opera solo parzialmente. D’altro canto, esiste una concorrenza creata artificialmente o pilotata. Ciò vale in particolare per l’istruzione, la sanità e i servizi sociali, che si suppone siano resi efficienti dalla concorrenza. Si ha l’impressione che in questo modo le risorse o i servizi possano essere allocati in modo efficiente. Ma la concorrenza artificiale può finire per fornire incentivi perversi che, come è logico, portano a risultati perversi” (Binswanger, 2020). In pratica i servizi sociali stanno diventando una sorta di business. E la povertà gestita dal lavoro sociale segue la stessa sorte.
Pubblicato sulla Newsletter di PuntoCritico.info del 20 dicembre 2024
Bibliografia
Artias. (2007). La pauvreté en héritage. https://artias.ch/wp-content/uploads/2007/07/Actes07partiels.pdf
ATD Quart Monde (2023). Rapport entre institutions, société et personnes vivant dans la pauvreté en Suisse: une expérience de violence qui continue.
AvenirSocial. (2021). Document de travail relatif au financement des organisations dans le domaine du travail social en Suisse.
Binswanger, M. (2020). Indicateurs et concurrence artificiellement orchestrée. Dans Bonvin J-M., Hugentobler V., Knöpfel C., Maeder P. et Tecklenburg U. (a cura di), Dictionnaire de politique sociale suisse (p. 267-269). Seismo.
Bourdieu, P. (1979). La Distinction, Critique sociale du jugement. Ed. de Minuit
Boyer, R. (2003). L’anthropologie économique de Pierre Bourdieu. Actes de la recherche en sciences sociales, n° 150(5), 65-78. https://doi.org/10.3917/arss.150.0065.
Chauvel, L. (2001). Le retour des classes sociales? Revue de l’OFCE, no 79(4), 315-359. https://doi.org/10.3917/reof.079.0315.
Dalsace, F. et Ménascé, D. (2010). Structurer le débat «entreprises et pauvretés» Légitimité, intérêt, modalité, efficacité. Revue française de gestion, n° 208-209(9), 15-44. https://shs.cairn.info/revue-francaise-de-gestion-2010-9-page-15?lang=fr.
Hoggart, R. (1970). La Culture du pauvre. Le sens commun.
Marx, K. et Engels, F. (1848). Manifeste du Parti Communiste. Ed. Flammarion.Paugam, S. (2005). Les formes élémentaires de la pauvreté. Puf
Office fédéral de la statistique. (2022). Pauvreté. Confédération suisse. https://www.bfs.admin.ch/bfs/fr/home/statistiques/situation-economique-sociale-population/bien-etre-pauvrete
Office fédéral de la statistique. (2023). Produit intérieur brut. Confédération suisse. https://www.bfs.admin.ch/bfs/fr/home/statistiques/economie-nationale/comptes-nationaux/produit-interieur-brut.html
Rigaux, N. (2011). Introduction à la sociologie par sept grands auteurs, De boeck, 21-67.
Sen, A. (2000). Repenser l’inégalité. Le Seuil.
Tabin, J-P. Knüsel, R. et Ansermet, C. (2014). Lutter contre les pauvres. Les politiques face à la mendicité dans le canton de Vaud, Éditions d’En bas.
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