Costume
Il nemico è il contante
Abbiamo accompagnato nostra figlia a Nottingham, dove si fermerà otto mesi per studi e lavoro universitari. Il ricercatore italiano che la segue, e vive in Inghilterra da quattro anni, le ha detto che dopo la Brexit i nostri connazionali sono scappati quasi tutti, ma lui ci sta bene, in Inghilterra. E si è preso a cuore questa fanciulla caparbia che parla l’inglese scolastico in un paese sempre più ostile. Oltre a un buon numero che erano chiaramente turisti come noi (il turista nostrano lo centri da una scarpa e un marsupio), in tre giorni, di italiani al lavoro, ne abbiamo incrociati tre. Un barman dietro il bancone della catena Caffe Nero, orgoglio ristretto del sud italiano servito in sale da thè pacate e distratte, e una coppia che gestiva un negozio di abbigliamento usato che incantava. L’usato da noi è esploso nei ’70 per poi esaurirsi in un decennio, mentre a Nottingham ce ne sono uno dietro l’altro. Forse perché si può chiamarli vintage.
Siamo andati a cenare in un ristorante coreano prulipremiato ed economico, e in una hamburgheria very young; abbiamo preso un pallido aperitivo seduti all’ombra del bronzo di Robin Hood, un whisky torbato in un jazz club con sedie disposte in gradinata, una pinta in un pub seminato di spillatori come mammelle. Fatto la spesa alla Tesco, supermercato monumentale, ma anche preso il pane in un negozio, una marmellata in un chiosco, un po’ di frutta a una bancarella. Ovunque, anche per spese di una manciata di pound abbiamo pagato con la carta di credito. La normalità. Mia figlia era tutta gasata di non doversi portare dietro contante; per lei la gestione del denaro è una lotta impari, e una carta che tutto contiene e tutto risolve la fa dormire bene. Anche la lotta all’evasione è tutta in una card, come l’uovo di Colombo. Ma da noi è la Colomba a dominare, la pace armata che scontenta tutti per non scontentare nessuno. Poi succede che ci infiliamo in uno stretto vicolo, non più largo di un metro e mezzo, che sbuca in un cortile di cemento: c’è un ristorantino imboscato nelle retrovie, solo cinesi ai tavoli, piegati su larghi piatti di noodles, e una lavagna con il menù disponibile scritto in cinese. Ordiniamo, con grande fatica, piatti d’asporto, e al momento di pagare rifiutano la carta come fosse il diavolo, un vade retro con sorriso. Sterline contanti non ne abbiamo, quindi non si mangia.
E niente. È solo un fatto. Ognuno partorisca la sua riflessione.
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