Economia
L’opera d’arte: la valuta della ricettazione globale
L’arte è nata come piacere personale di chi la crea, dalle grotte di Neanderthal in poi. Si è perfezionata, è cambiata, è divenuta simbolo di bellezza, è stata acquistata per dare sfoggio alla propria casa, alla propria vita, al proprio stato sociale. Tutto questo è rimasto, certo, ma l’esplosione quantitativa degli oggetti d’arte, oltre al crescente valore di quelli antichi, ha pervertito anche questa percezione, trasformando un oggetto, dapprima considerato artistico, in un valore economico, paragonabile a quello di una valuta o di un metallo.
Tutto ciò che può essere monetizzato viene monetizzato. Tutto ciò che è valutabile e trasferibile diventa speculazione, bene rifugio, investimento. Il simbolo di questa perversione è il Porto Franco – ovvero una zona extra-doganale, chiusa e segreta, in cui gli oggetti d’arte possono essere usati per riciclare denaro sporco, per comprare e vendere armi, droga o schiavi, e chissà cos’altro. Non si tratta di facile moralismo. Le cose accadono perché ci sono catene di cause ed effetto, ed è difficile opporsi ad esse. Sicché può succedere che, nel profondo bosco della Turingia, una delle zone più belle, più povere e meno abitate della Germania, un’antica villa dei principi di Sassonia finisca per essere il luogo in cui, segretamente, dipinti e statue vengono usati per commerci che è meglio che nessuno scopra.
L’opinione pubblica è comunque travolta da mille altre difficoltà, ed alla fin fine se ne frega di qualche miliardario fuori di testa che paga cifre esorbitanti per un quadro che non può nemmeno attaccare al muro e guardare, perché deve nasconderlo dai ladri e dagli esattori del fisco. Per questo ci sembra giusto scrivere questa storia, almeno dal punto di vista testimoniale, perché non si dimentichi.
Cosa sono i Porti Franchi
I porti franchi sono nati insieme all’istituzione dei dazi alla frontiera tra due Stati: sono luoghi in cui depositare delle merci in transito, senza dover pagare la dogana: nel XVI secolo Livorno, Genova ed altre città italiane erano famose per l’offerta di zone economiche speciali in cui stivare le merci. Nel XVIII il fenomeno è oramai diffuso in tutta Europa[2]. Da allora è divenuto consuetudine, specie dopo la scoperta dell’America e l’inizio della colonizzazione dell’Africa e dell’Asia, di usare questi porti franchi per nascondere merce rubata. Le cose cambiano dopo la Rivoluzione Francese (1789) ed il Congresso di Vienna (1815), quando famiglie ricchissime in fuga, o soldataglie di ritorno a casa col bottino sulla sella, sono divenute un fattore economico che ha cambiato la storia di alcune città e di alcune famiglie – specie sulle rive degli oceani e, in Europa, lungo il corso navigabile del Reno[3].
Nei due secoli successivi, specie durante la Seconda Guerra Mondiale, quando oramai erano nati i paradisi fiscali e le nazioni belligeranti cercavano di mascherare i loro commerci in materie prime e manufatti industriali, il concetto di porto franco è divenuto un cardine del sistema commerciale mondiale, ma anche un fenomeno combattuto, più o meno risolutamente, dagli Stati nazionali – con la nascita del concetto di contrabbando e di riciclaggio di proventi illegali[4]. La lotta al commercio illegale transnazionale e, più tardi, dell’occultamento di patrimoni finanziari illeciti, è stato all’origine della nascita dell’Interpol, dell’Egmont Group[5] e di diversi altri strumenti polizieschi ed agenzie statale di indagine che, negli ultimi 90 anni, hanno combattuto questo fenomeno con alterne fortune – ed incostante solerzia.
Fino dalla nascita di Interhandel AG Basilea (la holding finanziaria che nascondeva gli investimenti finanziari ed industriali del nazionalsocialismo all’estero[6]), Da quel momento in poi la Svizzera si è specializzata nello stoccaggio di merci sensibili (oro, metalli preziosi, opere d’arte, armi, droga, titoli al portatore) ed è diventata il primo Porto Franco globale – basta pensare che, nei tre punti franchi dell’aeroporto di Zurigo (Philoro, Embrach e Safeguard) i clienti hanno a disposizione oltre mezzo milione di metri quadri di celle numerate, quasi inaccessibili per le autorità giudiziarie, in grado di mantenere il grado di umidità e di temperatura necessaria per secoli[7]. La prima di queste aziende, la tedesca Philoro, permette non solo l’interscambio tra diversi Porti Franchi situati in diverse città d’Europa, ma persino la commercializzazione di prodotti situati in Porti Franchi virtuali – ovvero celati dove davvero nessuno potrebbe mai scoprirli e controllarli, eppure legalizzati al fine di essere commerciati[8].
In seguito ad una serie interminabile di scandali bancari e di criminalità organizzata, con il passare dei decenni la Svizzera è stata confrontata – da un lato – dal fatto che gli altri paesi pretendessero trasparenza e rintracciabilità per le operazioni criminali e – dall’altro – dal fatto che, in tutto il mondo, la concorrenza nel mercato illegale è cresciuta a livelli una volta impensabili[9]. Nel 2017, Berna introduce il CRS (Common Reporting Standard), impegnandosi a scambiare con i paesi partner informazioni sugli stranieri che detengono conti bancari nel paese, come parte degli sforzi per reprimere l’evasione fiscale e la frode[10]; allo stesso tempo, essendo oggetto di altrettanta pressione internazionale, paesi come il Lussemburgo riportano gli interessi attivi di chi vuole risparmiare sulle tasse nel proprio paese di origine. Il mercato immobiliare, un secolo fa il metodo più semplice per spostare denaro e merci, ora è completamente controllato. Tutto questo apre una nuova fetta di mercato: quello delle opere d’arte che, da qualche anno, è divenuto un modo efficiente per investire grandi quantità di denaro in modo discreto[11].
Dietro a questo lucrosissimo business si celano, essenzialmente, due ragioni: la prima è che le opere d’arte sono beni il cui valore non può essere quantificato con precisione[12] e risente poco dell’instabilità dei mercati finanziari. La seconda è di tipo normativo: pochi mercati sono così scarsamente regolamentati come questo, rendendo le opere d’arte uno strumento eccellente per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco[13]: è l’unico “mercato finanziario” non soggetto al BSA (“Bank Secrecy Act”) mondiale. Ciò significa che, in qualunque posto le opere siano stoccate, le normative antiriciclaggio non siano giuridicamente vincolanti, ma al massimo abbiano il valore di una raccomandazione[14].
Il problema del riciclaggio delle opere d’arte è noto: al World Economic Forum di Davos del 2015, l’economista Nouriel Roubini ha spiegato: “Che ci piaccia o no, l’arte è usata per l’elusione e l’evasione fiscale. Può essere usata per il riciclaggio di denaro. Puoi comprare qualcosa per mezzo milione, non mostrare un passaporto e spedirlo. Un sacco di gente la usa per riciclare”[16]. Di esempi ce ne sono a decine: da Edemar Cid Ferreira, l’ex banchiere brasiliano che ha riciclato milioni di dollari attraverso una collezione di 12’000 pitture e statue[17], alla famiglia di galleristi Nahmad, che possiede la compagnia International Art Center SA Panama[18], proprietaria di un dipinto di Modigliani (“Seated Man with a Cane”), riapparso ad un’asta di Christie’s dopo essere stato trafugato dai nazisti durante l’occupazione di Parigi[19]; recentemente, alcuni casi sono stati scoperti grazie alla pubblicazione dei Panama Papers[20].
In questo contesto, la destinazione naturale – e spesso definitiva – di moltissime opere d’arte sono i Porti Franchi (Freeports in inglese, Zollfreilager in tedesco, Entrepôt in francese), enormi depositi di massima sicurezza che permettono a individui e aziende (spesso con sede in paradisi fiscali) di immagazzinare oggetti di valore in un luogo facile da raggiungere ed usarle come valuta di scambio, senza controlli e senza tasse[21]. I beni vi rimangono per anni: l’analista Walter Leonhardt sottolinea come il modo più semplice per riciclare denaro tramite i Porti Franchi sia conservare costose opere per cinque anni. Perché al sesto anno c’è da aspettarsi la prescrizione per il riciclaggio come reato penale (negli Stati Uniti[22] e in Germania[23]; in Svizzera il termine è di dieci anni[24], nel Regno Unito non esiste la prescrizione per questo reato[25]); quindi i proprietari possono rivendere legalmente l’opera d’arte o fingere una transazione vendendo ad un’altra società offshore dello stesso proprietario[26].
Diffusi in tutto il mondo, questi minuscoli paradisi fiscali ospitano beni di grande valore che i proprietari possono segretamente ammirare per sempre (vi sono appositi showroom), in attesa di venderli anonimamente ad un acquirente che, molto probabilmente, lascerà le opere lì dove sono, in attesa di ricominciare il giro[27]. Il fulcro di questa attività è l’impenetrabile segretezza dei Porti Franchi, senza per questo violare alcuna legge: nessuno può dire se le opere contenute in uno di questi magazzini sia stata rubata, acquistata con proventi di attività illecite o sia frutto di un legale investimento. Questa segretezza, combinata con la natura non regolamentata del mercato, rende molto difficile collegare proprietari e opere conservate nei Porti Franchi, dato che nessun governo può regolamentare, tassare o indagare sulle proprietà conservate all’interno di una giurisdizione segreta ed extraterritoriale[28].
La punta dell’iceberg: Yves Bouvier e Giacomo Medici
Lo spregiudicante mercante svizzero Yves Bouvier è il proprietario dell’azienda di famiglia Natural Le Coultre SA[30], una centenaria compagnia di spedizioni ginevrina che, sotto il suo controllo, si specializza nello stoccaggio, immagazzinamento e spedizione di opere d’arte[31]. La maggior parte dello stoccaggio è nei magazzini segreti del Porto Franco di Ginevra, il più grande deposito di opere d’arte al mondo: 2300 sono poi state esposte al British Museum, 200’000 sono state collocate nel Museum of Modern Art di New York[32] Si stima che nel magazzino svizzero ve ne siano circa un milione e duecentomila, fra cui una collezione di 1000 Picasso[33].
Gli edifici dei suoi magazzini occupano uno spazio equivalente a ventidue campi da calcio; il proprietario della quota di maggioranza del Geneva Freeport è il cantone di Ginevra, mentre Yves Bouvier è il maggiore azionista privato[34], detenendo il 5% della proprietà fino al 2017 (anno in cui ha venduto la Natural Le Coultre[35]); a quel punto, sotto pressione da parte delle autorità svizzere, Bouvier trasloca: nel 2010 a Singapore, nel 2014 in Lussemburgo e poi a Shanghai[36], attraverso la Euro Asia Investment SA Lussemburgo, di proprietà di Bouvier[37]. Oltre alla segretezza e ai vantaggi economici, l’approdo delle opere presso un moderno Porto Franco consente a galleristi, collezionisti e commercianti d’arte di conservare opere in locali estremamente sicuri, a prova d’incendio, dove lo spazio non manca mai e in cui la temperatura e l’umidità sono controllate, al riparo dalla luce solare[38].
L’enorme fortuna accumulata da Bouvier non avrebbe comunque potuto fornirgli, da sola, le risorse per costruire edifici costosissimi come i magazzini da lui realizzati; in realtà, Bouvier deve la propria fortuna alla spregiudicata attività di intermediario per conto dell’oligarca russo Dmitry Rybolovlev: il magnate costruisce la propria fortuna con la Uralkali, la più grande azienda russa di fertilizzanti di potassio – di cui controlla il pacchetto di maggioranza fino al 2010, quando viene costretto a vendere a Suleyman Kerimov, Alexander Nesis e Filaret Galchev[39], imprenditori assai vicini a Vladimir Putin[40]. In poco più di dieci anni, Bouvier consente a Rybolovlev di acquisire una delle collezioni private più importanti del mondo, comprendente, fra le altre, opere di Pablo Picasso, Henri Matisse e Mark Rothko[41].
Dal 2003 al 2014 il mercante svizzero acquista dipinti di Van Gogh, Modigliani, Klimt, rivendendoli quindi all’imprenditore russo a prezzi talmente maggiorati da generare profitti da capogiro: quando, nel 2014, Rybolovlev capisce di essere stato truffato ed intenta una causa contro Bouvier, afferma che il guadagno di quest’ultimo per l’acquisto delle 38 opere acquistate negli anni ammonta ad un miliardo di dollari[42]. Clamoroso è il caso del “Salvator Mundi”, opera attribuita a Leonardo da Vinci che Bouvier, pagato da Rybolovlev nel 2013 con una commissione del 2%, è stato acquistato da Bouvier per 80 milioni di dollari e trasferito all’oligarca russo per 127 milioni[43]; il 15 novembre 2017 il dipinto viene rivenduto da Rybolovlev, ad un’asta da Christie’s, per la cifra record di 450,3 milioni di dollari[44]. L’acquirente è il principe saudita Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al-Saud[45].
Nel dicembre 2014 la casuale scoperta da parte di Rybolovlev del prezzo di vendita del dipinto di Modigliani “Nu Couché au Coussin Bleu”, procuratogli dal suo intermediario anni prima, fa esplodere il caso: venduto dal vecchio proprietario per 93,5 milioni di dollari, “Nu Couché au Coussin Bleu” viene acquistato dal russo per 118 milioni[46]. Bouvier possiede circa 150 compagnie, come ad esempio la Diva Fine Arts SA Panama e la Diva Fine Arts Inc. Tortola (Virgin Islands), che vengono usate per movimentare enormi somme di denaro, irrintracciabili dalle autorità svizzere; come residente a Singapore, Bouvier evita di dichiarare al governo svizzero l’importo delle operazioni concluse con Rybolovlev, risultando quindi imputabile solo per quelle portate a termine quando era ancora cittadino svizzero (fino al 2009)[47].
Nel settembre 2021 Yves Bouvier viene assolto da un tribunale ginevrino dalle accuse di frode, cattiva gestione, violazione della fiducia e riciclaggio di denaro[49], ma la sua reputazione è distrutta[50], tanto da indurre lo stesso a chiedere a Rybolovlev 1 miliardo di dollari come risarcimento[51]. Conseguenza dell’Affaire Bouvier è la grande attenzione che i media internazionali iniziano a dedicare alla tendenza, da parte dei più ricchi del pianeta, ad investire nel mercato dell’arte allo scopo di nascondere o aumentare la propria ricchezza[52], o per nascondere i proventi di attività criminali[53].
Il caso Bouvier non è il primo a coinvolgere direttamente l’attività dei porti franchi. Il mercante antiquario italiano Giacomo Medici, attivo a Roma dagli anni 60, viene condannato una prima volta nel 1967 per aver acquistati reperti archeologici rubati – una condanna che lo rende famoso e convince il miliardario statunitense Robert Hecht a sceglierlo come intermediario[54]: da Medici avrebbe acquistato nel 1972 il Cratere di Eufronio, vaso realizzato ad Atene intorno al 500 a.C., per poi rivenderlo al Metropolitan Museum di New York; pur non essendo mai stata stabilità con esattezza la provenienza del manufatto, in sede giudiziaria si valuta che esso sia stato trafugato nel 1971 da tombaroli nel cimitero etrusco di Cerveteri, e poi venduto a Medici[55]. Nel 2008 il Metropolitan restituisce l’opera all’Italia[56].
A certificare l’illecita provenienza del Cratere sono alcune fotografie trovate dai carabinieri nel corso di un irruzione, eseguita nel settembre 1995 presso il magazzino di Medici nel Freeport di Ginevra: l’operazione, condotta di concerto con la polizia svizzera, nasce da un catalogo d’asta di Sotheby’s, in cui è messo in vendita un sarcofago che i militari italiani riconoscono come trafugato dalla chiesa di San Saba a Roma[57]; risalendo, grazie alla collaborazione della casa d’aste, al nome di Medici come titolare del bene messo all’asta, i carabinieri ricostruiscono il ruolo e la rete di complicità internazionali dell’uomo: nell’irruzione nel magazzino del Porto Franco ginevrino, cinque stanze per un totale di 200 metri quadri[58], vengono trovati un laboratorio per il restauro ed uno showroom[59].
Nel gennaio 1997 Medici viene arrestato e i suoi magazzini di Ginevra vengono aperti per l’inventario[60]. La relazione finale, presentata nel luglio 1999, parla di 3800 oggetti, più di 4000 fotografie di manufatti e 35’000 documenti contenenti informazioni sui traffici commerciali dei beni[61]. Due di quelle foto, datate maggio 1987, mostrano Medici e Hecht accanto al Cratere di Eufronio[62]. Nel 2005 Medici viene condannato a dieci anni di reclusione, (poi ridotti a otto nel 2009) e al pagamento di una multa di 10 milioni di Euro[63]. Il caso crea uno scalpore tale da convincere la Confederazione, nel 2009, ad allineare il proprio corpus legislativo in materia doganale alle norme europee: da allora, il Porto Franco di Ginevra non è più considerato zona extra-territoriale, pertanto alcuni servizi in loco sono ora soggetti all’IVA svizzera (7,6%), comunque non è applicabile al valore degli oggetti immagazzinati, alle spese di deposito e ai premi assicurativi. Inoltre, tutte le opere immagazzinate devono essere registrate in un inventario con la descrizione, il valore, le dimensioni, la data e il luogo di immagazzinamento, il Paese d’origine e il nome e l’indirizzo del soggetto che dispone del bene – il tutto direttamente nel database della Dogana[64].
Il mistero del Porto Franco di Meiningen
Queste misure non scalfiscono minimamente il giro d’affari dei Porti Franchi. Nel 2016 viene scoperta, nei magazzini di Ginevra, un’inestimabile collezione: 45 casse contenenti antichità romane ed etrusche, appartenenti ad un pregiudicato, il mercante d’arte britannico Robert Symes[66]. Il tesoro, comprendente due sarcofagi etruschi in ottimo stato di conservazione, si trovava nel magazzino da oltre quindici anni e viene trovato in scatole etichettate con il nome di una compagnia off-shore appartenente a Symes[67]. Questo scandalo scoppia mentre i legislatori elvetici discutono regolamenti più severi per porti franchi e depositi doganali. Dal 1° gennaio 2016 l’Amministrazione Federale delle Dogane (EZV) acquisisce nuovi poteri di controllo sull’entrata e l’uscita delle merci: il governo introduce un termine di sei mesi per lo stoccaggio di beni destinati all’esportazione; gli esportatori devono dichiarare esplicitamente se le merci sono destinate all’esportazione; inoltre, deve essere dichiarata l’identità dell’acquirente[68].
Mentre le nuove norme sulla vendita di opere d’arte utilizzano la due diligence e gli intermediari finanziari per migliorare la trasparenza, le modifiche alla legge sulle dogane mirano a ridurre la segretezza del mercato dell’arte incoraggiando un tasso più elevato di rotazione dei beni. I locatari avranno meno libertà di conservare le opere d’arte a tempo indeterminato, o per lo meno dovranno affrontare più ostacoli amministrativi per farlo. Di conseguenza, i ricettatori avranno meno opportunità di nascondere alle autorità doganali gli oggetti ottenuti illegalmente[69].
Il punto debole: l’anonimato dei commercianti onesti potrebbe essere compromesso dall’obbligo di elencare i proprietari effettivi nell’inventario[70]. Inoltre, le norme potrebbero dissuadere gli investitori dall’operare in Svizzera. Il mercato artistico del paese, che ruota intorno a grandi eventi come Art Basel, potrebbe risentire di una potenziale emorragia di clienti verso Porti Franchi situati in zone più attraenti da un punto di vista legislativo, come il Lussemburgo, Monaco, Singapore[71] (i cui magazzini sono controllati da azionisti svizzeri[72]), e nel Delaware[73].
Nella città di Meiningen, in Turingia, la Vallor Development GmbH di Viktor Schulte e Nicolas Perren converte un edificio della Bundesbank per ospitare, nei suoi 4000 metri quadri, opere d’arte ed altri beni di lusso[74]; all’interno dell’edificio c’è anche una cassaforte duty-free[75]. L’azienda è stata fondata nel 2018 con un capitale di soli 25’000 €, metà dei quali versati da Schulte, l’altra metà dalla Meta Holding GmbH Davos (Svizzera)[76], che all’atto della fondazione aveva un capitale di 2000 franchi, ora aumentati a 20’000, di cui Perrin controlla la maggioranza, mentre la quota di minoranza appartiene all’architetto Peter Bitschin[77]. La Vallor fa parte di un gruppo di aziende, la più importante delle quali è la Zentraldepot AG Berlin – che è poi l’azienda che gestisce il commercio d’arte a Meiningen, ed i cui profitti vengono reinvestiti dalla Vallor Assets GmbH Berlin[78].
Per migliorare la propria immagine, la Vallor Development sta costruendo 96 appartamenti per pensionati[79]. Sebbene quello della Vallor venga indicato come l’unico deposito del genere in Germania[80], esiste un’azienda di logistica, la Hasenkamp Holding GmbH, che offre servizi di stoccaggio di beni artistici per un periodo di tempo illimitato in regime di esenzione doganale a Berlino, Dresda, Düsseldorf, Francoforte, Amburgo, Colonia, Monaco di Baviera e Stoccarda[81], mentre Philoro è presente in quasi tutte le grandi città della Repubblica Federale[82].
A Meiningen, la Zentraldepot GmbH offre lo stoccaggio dei beni in magazzini comuni o privati, oltre ad uno spazio dedicato all’esposizione delle opere[83]. Nicolas Perren, che da svizzero conosce bene la controversa reputazione dei Porti Franchi, dichiara che la struttura di Meiningen è un deposito a cui le autorità doganali hanno accesso – tutto secondo le regole, dunque[84]. Il 22 febbraio 2022 Zentraldepot viene indicata come esempio di pratiche opache dalla deputata Janine Wissler (Die Linke)[85]: in Germania, lamenta Wissler, non esiste l’obbligo, per i Porti Franchi, di registrare l’effettivo proprietario dei beni, non esistono limiti temporali per lo stoccaggio e viene consentito il passaggio di proprietà durante la permanenza delle merci – il che fa di questi luoghi potenziali volani per il riciclaggio di denaro e per l’evasione fiscale[86]. La sua denuncia occupa le pagine dei giornali per qualche giorno, poi più nulla. Quanto a coloro che finanziano Perren e Schulte, che con un capitale complessivo di nemmeno 100’000 € avrebbero comprato una villa medievale, più i terreni per i pensionati e chissà cos’altro, questo rimane un segreto.
Regno Unito e Stati Uniti
La Gran Bretagna ospita sette porti franchi tra il 1984 e il 2012, decidendo poi di disporne la chiusura per effetto delle leggi in materia varate dall’Unione Europea, che riducono la competitività dei Porti Franchi EU rispetto alla concorrenza internazionale[88]. Dopo la Brexit, nel Regno Unito è iniziato un dibattito sulla rinascita dei porti franchi, e nel 2020 vengono concesse sette licenze: East Midlands Airport, Felixstowe e Harwich, Humber Region, Liverpool City Region, Plymouth, Solent, Thames e Teeside[89]. La legislazione britannica prevede una semplice descrizione del bene, escludendo le informazioni più dettagliate[90]. Mentre le leggi britanniche ed europee parlano esplicitamente delle possibilità di riciclare denaro attraverso l’arte depositata nei Porti Franchi, il governo di Londra non fa menzione di questo controverso aspetto dello sviluppo dei porti franchi. Considerando che il paese è, assieme a Cina e Stati Uniti, uno dei tre maggiori mercati d’arte del mondo (il giro d’affari è stimato attorno ai 12,7 miliardi di dollari, che rappresentano il 20% del mercato globale[91])[92], il silenzio di Londra sui rischi dei porti franchi lascia perplessi.
Negli Stati Uniti, dove le foreign-trade zones (FTZ) vengono istituite nel 1934 per contribuire al rilancio della produzione del commercio e degli investimenti[93], esiste un Porto Franco dedicato al mondo dell’arte: il Delaware Freeport, un deposito di 3345 metri quadri, dotato di grande spazio, sicurezza ai massimi livelli, controllo costante delle condizioni di conservazione dei beni, un raffinato showroom[94], massima riservatezza sugli effettivi proprietari delle merci stivate ed esenzione dal pagamento dei dazi doganali[95]. Fritz Dietl, proprietario del Delaware Freeport, apre l’attività nel 2015, proprio in concomitanza con lo scoppio dello scandalo legato alle attività di Yves Bouvier, offrendo ai molti collezionisti, galleristi e mercanti d’arte statunitensi un porto franco a tre ore di auto da New York e due da Washington[96].
Il successo è travolgente: a New York, un sistema per non pagare le imposte doganali su un’opera d’arte acquistata ad un’asta, consiste nell’affidare la spedizione verso il porto franco all’ente (nell’esempio si tratta della casa d’aste) venditore; in questo modo l’acquirente non entra materialmente in possesso del bene fino a quando questo non si trova all’interno del deposito – evitando di assumere la responsabilità fiscale sull’uso dell’opera – dove può finalmente ispezionarla[97].
Nel febbraio 2022 il Ministero del Tesoro USA pubblica un rapporto intitolato “Study of the Facilitation of Money Laundering and Terror Finance Through the Trade in Works of Art”, nel quale emerge come anche gli Stati Uniti abbiano preso coscienza del pericolo costituito dalla vulnerabilità del mercato dell’arte: l’alto valore di molte transazioni, l’uso frequente di società di comodo e intermediari per acquistare e vendere le opere, la cultura della privacy e la complicità dei professionisti del settore mettono in evidenza le falle nel sistema antiriciclaggio americano[98]. Nel rapporto vengono esplicitamente citati i Porti franchi come potenziali elementi di vulnerabilità nel sistema di controllo[99]. Il rapporto si conclude però con una serie di raccomandazioni non vincolanti[100]. Nel breve periodo, dunque, nessuna azione concreta farà seguito a queste indicazioni.
L’umiliazione dell’opera d’arte
La vita per i Porti Franchi non è tutta rose e fiori. Caso emblematico, in tal senso, è costituito da ARCIS, il primo porto franco di New York City. Inaugurata nel 2018, questa fortezza senza finestre, realizzata ad Harlem dal colosso immobiliare Cayre Equities Llc[102], monta i più sofisticati sistemi di sicurezza: i visitatori devono sottoporsi alla scansione dell’iride prima di accedere all’edificio, dove vengono sottoposti ad altri controlli[103]. L’installazione di un deposito tecnologicamente all’avanguardia rispetto alla concorrenza in una delle capitali mondiali dell’arte sembra preludere ad un grande successo – costato 50 milioni di dollari[104]. Ma gli elevati costi di utilizzo della struttura sono un macigno: il Delaware è molto più economico[105]. Il 2 settembre 2020 ARCIS chiude definitivamente i battenti[106].
Anche quando non servono per sostenere interessi criminali, come i cartelli della droga sudamericani[107], o per eludere il pagamento delle imposte, le opere d’arte stivate nei Porti Franchi sollevano inevitabili questioni morali: le opere d’arte tendono a deteriorarsi, e questi magazzini sono costruiti per impedirlo. Tutto questo, però, sottrae l’arte all’originario scopo: essere ammirata. Dipinti o sculture del XVI o XVII secolo sono passati di mano in mano a ricche famiglie, e solo raramente sono stati esposti in un museo. Altrimenti possono venire goduti solo dal proprietario e dai suoi invitati. La finanziarizzazione dell’arte porta le opere immagazzinate nei Porti Franchi, di fatto, a non avere più valore artistico[108]. L’unicità dell’opera e la sua invisibilità sono, per gli investitori, la migliore garanzia di un futuro apprezzamento[109].
Ma qui siamo alla domanda principale: un artista non vive senza vendere, ed ogni vendita deprezza l’opera d’arte. È così da millenni. Il capitalismo, con le sue regole della domanda e dell’offerta, ha peggiorato le cose: un dipinto ha un valore ondivago come i cereali o lo zinco, legato però non alle stagioni ed all’impiego industriale, ma al senso estetico dell’epoca. E l’epoca in cui viviamo, purtroppo, si vanta di umiliare e monetizzare il bello, la gioia, l’umanità, la vita.
[1] https://www.turismofvg.it/fvglivexperience/visita-al-municipio-di-trieste-per-i-300-anni-del-porto-franco
[2] https://www2.helsinki.fi/en/researchgroups/a-global-history-of-free-ports/about
[3] Max Karl Feiden, „Franz Haniel & Cie. GmbH“. Haniel, Duisburg 1956, pag. 3-21; Pacini, Giulia “The French Emigres in Europe and the Struggle against Revolution, 1789-1814”, French Forum No. 26, Paris 2001, pag. 113-115
[4] https://www.swissinfo.ch/ita/dossier-sulla-storia-del-contrabbando-tra-italia-e-svizzera/47237518 ; http://www.cicad.oas.org/cicaddocs/document.aspx?Id=3095
[5] https://egmontgroup.org/
[6] https://www.icj-cij.org/en/case/34
[7] https://swissgoldsafe.ch/de/weitere-informationen/leistungen-kunden-infrastruktur/zollfreilager/ ; https://philoro.de/filialen/zuerich ; https://swiss-safeguard.com/de/zollfreilager-zurich-flugahfen/
[8] https://philoro.de/filialen/virtuelle-filiale
[9] http://www.unionsverlag.com/info/title.asp?title_id=1357
[10] https://www.kendris.com/en/news-insights/2021/10/20/four-years-automatic-exchange-information-switzerland/#:~:text=Switzerland%20has%20implemented%20the%20global,has%20grown%20steadily%20to%20date.
[11] https://www.deutschlandfunk.de/panama-papiere-viele-bilder-werden-ueber-briefkastenfirmen-100.html
[12] https://www.abgeordnetenwatch.de/profile/lisa-paus/fragen-antworten/koennen-diese-zollfreilager-welche-zum-steuern-austricksen-und-zum-geldwaschen-benutzt-werden-koennen-nicht
[13] https://www.moneta.ch/zollbefreite-kunstaufbewahrung
[14] https://de.beincrypto.com/teil-i-interview-mit-analyst-walter-leonhardt-geldwaesche-freeports-und-scams/
[15] https://www.wayfair.com/decor-pillows/pdp/global-gallery-seated-man-leaning-on-a-cane-by-amedeo-modigliani-painting-print-on-wrapped-canvas-blga1881.htmlb
[16] https://www.ft.com/content/992dcf86-a250-11e4-aba2-00144feab7de
[17] https://www.nytimes.com/2013/05/13/arts/design/art-proves-attractive-refuge-for-money-launderers.html
[18] https://offshoreleaks.icij.org/nodes/10010842
[19] https://www.theartnewspaper.com/2020/01/09/new-evidence-cited-in-restitution-claim-for-panama-papers-modigliani
[20] https://www.deutschlandfunk.de/panama-papiere-viele-bilder-werden-ueber-briefkastenfirmen-100.html
[21] Oddný Helgadóttir, “The new luxury freeports: Offshore storage, tax avoidance, and ‘invisible’ art”, Environment and Planning A: Economy and Space, 0308518X2097271. 10.1177/0308518X20972712, 2020, p. 3
[22] https://complianceconcourse.willkie.com/resources/anti-money-laundering-us-statute-of-limitations
[23] https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=e934a7e1-a8ad-496b-a80b-568effc1a5e3
[24] https://iclg.com/practice-areas/anti-money-laundering-laws-and-regulations/switzerland#:~:text=1.7%20What%20is%20the%20statute,1%20lit.
[25] https://iclg.com/practice-areas/anti-money-laundering-laws-and-regulations/united-kingdom
[26] https://de.beincrypto.com/teil-i-interview-mit-analyst-walter-leonhardt-geldwaesche-freeports-und-scams/
[27] https://www.artsy.net/article/artsy-editorial-freeports-operate-margins-global-art-market
[28] https://www.artsy.net/article/artsy-editorial-freeports-operate-margins-global-art-market
[29] https://www.independent.co.uk/independentpremium/long-reads/bouvier-affair-yves-dmitry-rybolovlev-art-corruption-scandal-monaco-a9266561.html
[30] https://naturallecoultre.ch/en/about/
[31] Sam Knight, “The Bouvier Affair”, The New Yorker, 8 February 2016
[32] https://www.bbc.com/news/entertainment-arts-38167501
[33] https://www.nytimes.com/2016/05/29/arts/design/one-of-the-worlds-greatest-art-collections-hides-behind-this-fence.html?_r=0
[34] https://www.swissinfo.ch/fre/des-tr%C3%A9sors-dans-des-entrep%C3%B4ts_ports-francs–les-coffre-forts-des-supers-riches/40487690
[35] https://www.nytimes.com/2017/10/27/arts/yves-bouvier-sells-his-geneva-based-art-storage-company.html)
[36] https://www.artrights.me/en/the-king-of-the-free-ports-yves-bouvier/; https://www.brookings.edu/essay/shanghais-dynamic-art-scene/
[37] https://news.artnet.com/art-world/le-freeport-west-bund-282939 ; https://www.dnb.com/business-directory/company-profiles.euroasia_investment_sa.45ab3b41fd994a233cdd1f934c766e59.html
[38] https://www.nytimes.com/2016/05/29/arts/design/one-of-the-worlds-greatest-art-collections-hides-behind-this-fence.html?_r=0
[39] https://www.reuters.com/article/uralkali-idUSLDE65D05U20100614
[40] https://www.spiegel.de/international/world/as-monaco-dmitry-rybolovlev-and-his-influence-in-monaco-a-1238822.html
[41] https://www.artnews.com/art-collectors/top-200-profiles/dmitry-rybolovlev/
[42] Sam Knight, “The Bouvier Affair”, The New Yorker, 8 February 2016
[43] https://www.spiegel.de/international/world/as-monaco-dmitry-rybolovlev-and-his-influence-in-monaco-a-1238822.html
[44] https://www.nytimes.com/2017/11/15/arts/design/leonardo-da-vinci-salvator-mundi-christies-auction.html
[45] https://www.nytimes.com/2017/12/06/world/middleeast/salvator-mundi-da-vinci-saudi-prince-bader.html
[46] https://news.artnet.com/art-world/dmitry-rybolovlev-yves-bouvier-366572
[47] Alexandra Bregman, “The Bouvier Affair: A True Story”, Alexandra Bregman, 2019, p.178
[48] https://www.davideferro.com/blog1/2021/9/26/cratere-di-eufronio-con-scene-di-palestra
[49] https://news.artnet.com/art-world/yves-bouvier-declares-total-victory-dmitry-rybolovlev-2010315
[50] https://inews.co.uk/culture/arts/how-argument-450m-da-vinci-painting-exposed-grubby-world-art-dealing-1048872
[51] https://delano.lu/article/bouvier-on-the-rebound-freepor
[52] https://newrepublic.com/article/147192/modern-art-serves-rich
[53] https://itsartlaw.org/2020/11/03/behind-closed-doors-a-look-at-freeports/
[54] https://traffickingculture.org/encyclopedia/case-studies/giacomo-medici/
[55] https://traffickingculture.org/case_note/euphronios-sarpedon-krater/
[56] https://www.nytimes.com/2008/01/19/arts/design/19bowl.html
[57] Peter Watson and Cecilia Todeschini, “The Medici Conspiracy”, Public Affairs, 2007, p. 19
[58] Peter Watson and Cecilia Todeschini, “The Medici Conspiracy”, Public Affairs, 2007, pp. 19-20
[59] Vernon Argento, “The Lost Chalice”, HarperCollins, 2009, pp. 180-81
[60] Vernon Argento, “The Lost Chalice”, HarperCollins, 2009, pp. 175-76
[61] Vernon Argento, “The Lost Chalice”, HarperCollins, 2009, p. 192
[62] Peter Watson and Cecilia Todeschini, “The Medici Conspiracy”, Public Affairs, 2007, p. 107
[63] https://www.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2005/11/15/Cronaca/ARCHEOLOGIA-CASO-MUSEO-GETTY–GIACOMO-MEDICI-SPERO-NEL-PROCESSO-DAPPELLO_091951.php ; https://www.civonline.it/2012/05/30/traffico-di-reperti-archeologici-condannato-giacomo-medici/
[64] https://www.antiquestradegazette.com/news/2009/it-s-business-as-usual-says-freeport-as-eu-brings-law-change-in-geneva/
[65] https://www.deutschlandfunk.de/zollfreilager-in-meiningen-banksafe-fuer-grosse-kunst-100.html
[66] https://news.artnet.com/art-world/trove-looted-antiquities-belonging-disgraced-dealer-robin-symes-found-geneva-freeport-418157
[67] https://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/switzerland/12134541/Disgraced-British-art-dealers-priceless-treasure-trove-discovered-hidden-in-Geneva.html
[68] https://news.artnet.com/market/switzerland-freeport-regulations-367361
[69] Katie L. Steiner, “Dealing with Laundering in the Swiss Art Market: New Legislation and its Threat to Honest Traders”, 49 Case W. Res. J. Int’l L. 351 (2017), p. 368
[70] “Message concernant la modification de la loi sur les douanes”, FF 2015, p. 2667
[71] https://money.cnn.com/2014/04/08/news/economy/freeports-art-luxury/index.html?iid=EL
[72] https://www.economist.com/briefing/2013/11/23/uber-warehouses-for-the-ultra-rich
[73] https://news.artnet.com/market/delaware-freeport-tax-haven-341366
[74] https://www.welt.de/kultur/article166951654/Deutschland-bekommt-sein-erstes-Zollfreilager-fuer-Kunst.html
[75] Monika Roth, “Kunst und Geld – Geld und Kunst: Schattenseiten und Grauzonen des Kunstmarkts”, Stämpfli Verlag, 2020, p. 196
[76] Vallor Development GmbH Berlin
[77] Peter Bitschin on Nexis
[78] Meta Holding GmbH Davos
[79] 2021.06.05 Neuer Wohnraum für Senioren
[80] https://www.deutschlandfunk.de/zollfreilager-in-meiningen-banksafe-fuer-grosse-kunst-100.html
[81] https://hasenkamp.com/de/fineart/kunstlagerung
[82] https://philoro.de
[83] https://www.zentraldepot.de/depots ; https://www.welt.de/kultur/article166951654/Deutschland-bekommt-sein-erstes-Zollfreilager-fuer-Kunst.html
[84] https://www.deutschlandfunk.de/zollfreilager-in-meiningen-banksafe-fuer-grosse-kunst-100.html
[85] https://www.linksfraktion.de/fraktion/abgeordnete/profil/janine-wissler/
[86] https://www.abgeordnetenwatch.de/profile/janine-wissler/fragen-antworten/koennen-diese-zollfreilager-welche-zum-steuern-austricksen-und-zum-geldwaschen-benutzt-werden-koennen-nicht
[87] https://www.widewalls.ch/magazine/delaware-freeport-fine-art-storage
[88] Matthew Ward, “The establishment of free ports in the UK”, House of Commons Library, October 2018, p.3
[89] https://www.theguardian.com/uk-news/2021/mar/03/eight-free-ports-low-tax-zones-created-england
[90] https://www.gov.uk/government/consultations/freeports-consultation/freeports-consultation#chapter-3-customs chapter 3
[91] Clare McAndrew, “The Art Market 2020”, Art Basel & UBS Report, 2020, p. 29
[92] Clare McAndrew, “The Art Market 2020”, Art Basel & UBS Report, 2020, p. 19
[93] Liana Wong, “U.S. Foreign-Trade Zones: Background and Issues for Congress”, U. S. Congressional Research Service, December 19th 2019, p. 7
[94] https://www.delawarefreeport.com/what-we-do
[95] https://www.barrons.com/articles/freeports-in-freefall-1448897379
[96] https://www.barrons.com/articles/freeports-in-freefall-1448897379
[97] https://news.artnet.com/market/delaware-freeport-tax-haven-341366
[98] “Study of the Facilitation of Money Laundering and Terror Finance Through the Trade in Works of Art”, Department of the Treasury, February 2022, pp. 19-25
[99] “Study of the Facilitation of Money Laundering and Terror Finance Through the Trade in Works of Art”, Department of the Treasury, February 2022, p. 18
[100] “Study of the Facilitation of Money Laundering and Terror Finance Through the Trade in Works of Art”, Department of the Treasury, February 2022, p. 30
[101] https://www.thevintagenews.com/2018/03/06/valuable-stolen-paintings/?firefox=1
[102] http://www.ceqy.com/
[103] https://news.artnet.com/market/the-first-ever-freeport-in-new-york-is-a-super-high-tech-art-warehouse-1275194
[104] https://www.theartnewspaper.com/2020/09/03/manhattans-first-and-only-freeport-to-close
[105] https://news.artnet.com/market/the-first-ever-freeport-in-new-york-is-a-super-high-tech-art-warehouse-1275194
[106] https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-09-02/fortress-in-new-york-storing-million-dollar-art-to-shut-down?sref=NZW35ECu
[107] https://www.economist.com/briefing/2013/11/23/uber-warehouses-for-the-ultra-rich
[108] https://www.unclosed.eu/rubriche/sestante/esplorazioni/131-freeport-art.html
[109] https://www.e-flux.com/journal/71/60521/freeportism-as-style-and-ideology-post-internet-and-speculative-realism-part-i/
Devi fare login per commentare
Login