Calcio

Evasione, fondi neri, frodi: la faccia (rimossa) del calcio

28 Gennaio 2019

Pochi giorni fa Cristiano Ronaldo, a Madrid, ha patteggiato una condanna a 2 anni di carcere e una multa di 3,2 mln di euro. Il contenzioso con Hacienda, il fisco spagnolo, deriva dalle accuse di evasione relative al periodo di militanza nei blancos. La pena detentiva, che non dovrà scontare perchè incensurato, è stata commutata in un’ammenda di 365mila euro. Ed era appena lo scorso giugno quando si accordò per il versamento di 18,8 mln al fisco. Il tutto mentre, assiepati davanti al tribunale, lo aspettavano giornalisti e tifosi pronti ad osannarlo e a chiedere (con successo) autografi al loro ex-beniamino.

Il giocatore aveva chiesto di poter presiedere all’udienza in videoconferenza dall’Italia o di accedere al parcheggio interno dell’edificio per evitare i riflettori, richieste entrambe negate dal giudice.

L’accusa sarebbe quella di aver utilizzato società di comodo in paradisi fiscali – Isole Vergini brit. e Irlanda – per evitare di pagare le imposte dovute sui diritti d’immagine tra il 2011 e il 2014. Il patteggiamento ha consentito al calciatore di evitare un lungo processo, che avrebbe danneggiato la sua immagine, e una condanna più pesante.

Ora che milita nella Juventus, escludento il reddito percepito dal club torinese, sui diritti d’immagine e le sue attività all’estero che producono reddito, potrà usufruire del regime forfettario di 100mila euro per i neo residenti come previsto dalla Legge di Bilancio 2017 (Legge 232/2016).

Prima era toccato a Messi (3,7 mln di multa, condanna a 21 mesi commutata in multa di 252mila euro) e sta toccando a Xabi Alonso (rischia 5 anni di carcere e 4 mln di multa), Neymar (due procedimenti in corso per frode e contratti fittizi, fra Spagna e Brasile dove ha già pagato 15,5 mln di multa), Modric (che ha patteggiato 8 mesi di carcere per frode fiscale, percependo i diritti d’immagine attraverso una società di comodo in Lussemburgo), Eto’o (che rischia 10 anni di carcere e 13 mln di multa) e tanti altri.

Il giro di vite è iniziato dopo l’abolizione, nel 2010, della famigerata ‘legge Beckham’ (una legge che prevedeva per i primi cinque anni dei forti sgravi fiscali per i lavoratori stranieri, pensata per attrarre i ricercatori…). I riflettori di Hacienda si sono accesi: nonostante le modificazioni nelle norme fiscali che regolano lo sport professionistico e i club di calcio la situazione si è mantenuta abbastanza eterogenea, dalle grandi come Real Madrid e Barça con bilanci opachi ai club minori in cui si sospetta che la maggior parte dei bilanci sia sommersa.

Un altro sospetto viene dal report degli amministratori giudiziari dell’Atletico Madrid, nel periodo di amministrazione controllata, dove si rende nota la stretta relazione fra i ‘colchoneros’ e la società olandese Van Doorn, utilizzata per gonfiare i prezzi degli acquisti, un modo come un altro per far uscire del denaro che rimaneva però nelle disponibilità dell’Atletico per pagare in nero i calciatori ed eludere così le tasse.

Capitolo a parte meriterebbe la gestione dei diritti d’immagine fra club e giocatori che, nonostante le limitazioni della legge, riescono a scomputare i diritti e a utilizzarli come forma di pagamento essendo tassati, questi ultimi, solo del 15%.

Non da ultimo lo scandalo (a puntate) di Football Leaks, che da anni sta portando all’onore delle cronache dettagli, contratti, trattative, operazioni che si fanno nel sottobosco del mondo del calcio.

Coinvolgendo anche l’attuale c.t. della Nazionale Roberto Mancini nei suoi trascorsi al Manchester City, dal quale sarebbe stato pagato attraverso società off-shore, senza che questo causasse l’indignazione dell’opinione pubblica, la reazione della Figc o le dimissioni del tecnico azzurro. Niente di niente.

Evasione, fondi neri, frodi, aggiramento di tutte le regole, a partire da quella sul fair play finanziario, tratta di minori, corruzione. Condita da una marea di denaro e da una grandissima influenza politica finalizzata al mantenimento dello status quo.

Un sistema che funziona e premia (quando va bene) solo chi vince, tutti gli altri club si indebitano e non di rado si vedono situazioni paradossali, per un calcio che non è mai stato così ricco, di squadre da mesi senza stipendio, scioperi dei giocatori, fallimenti estivi, con annessi ricorsi, penalizzazioni, ecc. In Italia è diventata quasi la normalità, le esclusioni dei club che non riescono a far quadrare i conti (o che non hanno le garanzie economiche sufficienti ad inscriversi ai campionati) riempiono le cronache estive dei quotidiani.

Per questo la testimonianza diretta di persone esterne a quel mondo, che ci si trovano catapultate dentro, è molto preziosa. Come quella di Luis Manuel Rubí Blanc, amministratore giudiziario all’Atletico Madrid, dopo la presidenza Gil (destituito per corruzione), il quale dichiarò che al suo arrivo esisteva un sistema di doppia contabilità, fatta di contratti ufficiali (dichiarati) e contratti reali, con una differenza anche dell’80%, fra contratto ufficiale e reale, pagata in nero nei paradisi fiscali. Prezzi d’acquisto dei cartellini manipolati per creare fondi neri all’estero, fino all’acquisto con esborsi importanti per giovani ragazzi africani o sudamericani (non tesserati in nessuna federazione) che, alla prova dei fatti, erano semplici migranti, usati come prestanome, che ignoravano di essere sotto contratto con una squadra di calcio. Pratiche da lasciare sbalordito chiunque lavori in aziende con una diversa attività caratteristica, però largamente diffuse in quel periodo come ora (lo dimostrano le indagini di Hacienda).

Infine la corruzione in seno alla FIFA, dall’assegnazione dei mondiali fino ai contratti coi paesi organizzatori. Emblematico il rifiuto della popolazione brasiliana (con manifestazioni continue) nei confronti del mondiale in casa, organizzato nel 2014, che il ministro Orlando Silva aveva promesso non avrebbe comportato alcun esborso pubblico. La realtà parla di 26 miliardi di reais spesi (circa 8 miliardi di euro) per l’organizzazione di cui solo 3,7 provenienti dai privati. Nel mezzo di una recessione economica che ha colpito il Paese proprio a cavallo delle due grandi manifestazioni sportive (Mondiali e Olimpiadi di Rio 2016), una crisi economica che è presto diventata politica e sociale. Il governo sposò la causa del ricco pallone e della FIFA (che non ha lasciato neanche un euro di tasse in Brasile), a discapito dei cittadini che scendevano in piazza per chiedere investimenti in sanità ed educazione. L’epilogo (almeno quello politico) lo conoscete bene.

Rimane un calcio che non trasmette più alcun valore alla società. Circondato com’è solo di affaristi e denaro.

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