Economia

Con Starmer lo stato tornerà a contare qualcosa nel governo dell’economia?

7 Luglio 2024

Le elezioni in Inghilterra, non solo per la tradizione elettorale del turno unico maggioritario, riserva sempre sorprese, come quella in cui si trovò Churchill  quando nelle ultime fasi della guerra  a sorpresa vinse Clement Attlee, che Winston definì ” un paio di baffi sul nulla”. Il Change è tipico delle istituzioni bipartitiche, con la differenze che negli USA , più che il Partito, che nella realtà esiste solo virtualmente e che si organizza in fase elettorale, conta il personaggio politico. Così dopo 14 anni di Tories, la preconizzata  carica laburista( https://www.glistatigenerali.com/londra_politiche-comunitarie/la-carica-laburista-guidata-da-keir-starmer/ ) è arrivata e con essa anche il Manifesto con cui lo staff di Keir Starmer espone il programma elettorale da cui, attraverso qualche stralcio, si possono trarre alcune deduzioni, per ora teoriche, in attesa di conferme operative.

CHIMERE POSSIBILI

2. Ridurre i tempi di attesa del Servizio sanitario nazionale con 40.000 appuntamenti in più a settimana, la sera e nei fine settimana, coperti finanziariamente con i proventi derivanti dalla lotta all’evasione e all’elusione fiscale. 3. Lanciare una nuova Autorità per la sicurezza delle frontiere con centinaia di nuovi investigatori specializzati e utilizzando i poteri dell’antiterrorismo per stroncare le bande criminali di scafisti. 4. Creare la Great British Energy una società pubblica per l’energia pulita, per tagliare definitivamente le bollette e aumentare la sicurezza energetica, finanziata con una tassa sui giganti del petrolio e del gas. 5. Un piano contro i comportamenti antisociali con un maggior numero di poliziotti di quartiere, pagati mettendo fine agli appalti dispendiosi, con nuove sanzioni severe per i trasgressori della legge, e una nuova rete di centri di aggregazione giovanile. 6. Assumere 6.500 nuovi insegnanti nelle materie chiave per preparare i bambini alla vita, al lavoro e al futuro, finanziati eliminando le agevolazioni fiscali per le scuole private.

SPERANZE ATTUABILI

Rilanciare la crescita economica per garantire la più alta crescita a lungo termine del G7, con buoni posti di lavoro e crescita della produttività in ogni parte del Paese, per far sì che tutti, e non solo alcuni, stiano meglio. 2) Fare della Gran Bretagna una superpotenza dell’energia pulita: per ridurre le bollette, creare posti di lavoro e garantire sicurezza energetica con un’elettricità più economica e a zero emissioni di carbonio entro il 2030, accelerando verso questo obiettivo. 3) Riprenderci le nostre vie e le nostre strade, dimezzando i crimini violenti e riportando ai massimi livelli la fiducia nella polizia e nel sistema di giustizia penale. 4) Abbattere le barriere alle opportunità riformando i nostri sistemi di cura dell’infanzia e di istruzione, per garantire che le ambizioni dei nostri giovani non siano limitate dalla loro classe di provenienza. 5) Costruire un servizio sanitario nazionale adatto al futuro, che sia presente quando le persone ne hanno bisogno; con meno vite perse per le maggiori cause di morte; in una Gran Bretagna più giusta, dove tutti vivono bene più a lungo.

LA ATTESA CHIAVE DI SVOLTA , FINALMENTE ATTUABILE: 

Dopo anni di demonizzazione dello Stato in Economia, ecco che riappare quello che già in Italia con il ” libro dei Sogni” della Programmazione Economica, voluta da Giorgio Ruffolo, portò alla svolta economica per poi essere seppellito da una politica miope.

Lo Stato ha quindi il ruolo di promuovere una politica industriale di lungo respiro, che passa dalla “devoluzione” di poteri verso i territori e verso i lavoratori. Gli enti locali che assumono quindi un ruolo strategico importante, sono oggi messi davanti alla difficoltà di far quadrare il proprio bilancio più che a quella di giocarsi un ruolo strategico e di sviluppo. Inoltre la devoluzione dei poteri verso i lavoratori si scontra con la difficoltà dei meccanismi tradizionali (come la contrattazione collettiva) di essere efficaci nella mediazione degli interessi fra le parti. Da ciò emerge la necessità di rafforzare la voce dei lavoratori e delle comunità in un modo moderno e efficace per compattare la società di fronte alle sue nuove sfide. Lo Stato maggiormente interventista può assicurare le industrie strategiche e proteggere le abilità dei lavoratori, supportare le imprese nello sforzo di riavvicinare le catene di valore e di salvaguardare le infrastrutture strategiche, in modo da creare un clima di maggiore fiducia e confidenza verso l’impresa e il lavoro. Per raggiungere questi obiettivi occorre che i sussidi e gli aiuti di stato siano condizionati a determinati obiettivi in termini di salari e formazione. I meccanismi di credito fiscale che sostengono il sistema devono incentivare il lavoro nei settori all’avanguardia e sostenere la transizione ecologica e digitale. Occorre sostenere standard di lavoro, a partire dalla definizione di salari e compensi minimi, in particolare negli appalti pubblici, sostenendo le imprese che sostengono il lavoro, che compiono scelte ambientalmente e socialmente sostenibili e che possono quindi giocare un ruolo nello sviluppo dell’economia interna, usando materiali e fornitori nazionali e sviluppando la forza lavoro interna.

È tempo quindi di uno Stato più “interventista”, che si occupi del rafforzamento del dialogo tra le diverse parti della società e crei e le condizioni per una “partnership sociale” tra sindacati, imprese e governo per garantire più potere (economico e decisionale) ai lavoratori nei luoghi di lavoro e nella società. Ciò che è emerso durante la pandemia prima e dopo l’illegale invasione della Russia ha ulteriormente messo in evidenza la nascita di una nuova guerra fredda tra le democrazie liberali e l’autoritarismo. Questo processo riconfigurerà sempre più le catene di fornitura e renderà necessaria una reindustrializzazione dei Paesi occidentali, con la conseguente modernizzazione istituzionale e la necessità di rivedere la formazione delle competenze se i lavoratori. In buona sostanza, serve una nuova politica industriale condivisa con imprese e sindacati.

Conclusioni

Dal quadro emergono alcuni spunti da dibattere. Tra le righe si legge la certezza della vittoria elettorale che deve essere corroborata da un programma. Ma non viceversa! L’idea di una trasformazione globale dopo i 14 anni di conservatorismo è ammortizzata da esercizio populista di alcune chimere, un mix di narrazione laburista d’antan  senza specifica di “come” raggiungere gli obiettivi. Naturalmente le “speranze” sono quelle che sognano  coloro che si autopropongono a posizione di Policy maker ma poi bisogna spiegare “come fare”.

Il ritorno del concetto di Stato Interventista è la grande novità che spiega in buona sostanza come si dovrebbe fare ma non ancora “come fare”. Non è un ritorno, a chiare lettere, ai principi keynesiane dell’intervento dello Stato nel fallimento monopolistico del mercato; il Manifesto di Keir Starmer non invoca insomma a chiare lettere il New Deal dell’investimento pubblico come risorsa salvifica per aumentare il reddito in modo più che proporzionale, anzi cede allo sconfinamento quasi populista degli aiuti di Stato e di sussidi che ricordano molto da vicino gli errori italici del reddito di Cittadinanza fino al reddito di Inclusione. Finchè non ci sarà una politica alla “Tennessee Valley” di investimenti pubblici e una politica fiscale equa, finchè la risorsa tecnologica non  sarà messa a disposizione della forza lavoro e non viceversa, il Labour resterà una brutta copia della socialdemocrazia.

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