Leader che urla

Economia

Il silenzio: una nuova skill per i leader e non solo

In un’epoca dominata dall’overcommunication, il silenzio emerge come nuova skill di leadership e cura personale. Non è assenza, ma presenza consapevole. Tacere giusto oggi significa guidare senza urlare, ascoltare per orientare, disconnettersi per ritrovarsi.

16 Aprile 2025

Temiamo il silenzio. Lo evitiamo, lo copriamo, lo riempiamo di parole.
Come se tacere fosse sinonimo di ignoranza. Come se il valore della leadership si misurasse ancora una volta in decibel. Eppure, in un’epoca di iperconnessione e overcommunication, forse ciò che davvero serve non è un’altra voce più forte, ma una presenza che sa stare in silenzio. Una leadership capace di trattenersi, che non ha bisogno di dichiararsi per imporsi, che non confonde l’autorevolezza con la sovraesposizione.

Silenzio come atto di autorità

Nel rumore di fondo continuo che ci circonda, scegliere di tacere diventa un gesto di autorità. Un atto di rispetto verso gli altri e verso se stessi. Il silenzio non è passività, ma un tempo di assimilazione; una distanza necessaria perché il senso emerga. Pessoa scriveva che la parola è un tentativo di travestire il silenzio. Ed è forse proprio in questo fondo muto che le parole trovano la loro verità. Chi sa sostare lì – su quella soglia pre-linguistica – possiede una forza narrativa che nessuna tecnica di storytelling potrà mai insegnare.

Contro il rumore antropologico

Il filosofo Peter Sloterdijk parlava di “rumore antropologico” per descrivere l’eccesso simbolico delle società contemporanee: un continuo affollarsi di segni, voci, messaggi, che ci impedisce di distinguere ciò che vale da ciò che semplicemente vibra.

Nel business, ma anche nella vita quotidiana di tutti noio, quel rumore ha un nome chiaro: overcommunication.
E non è innocuo. Ci spinge a reagire sempre, anche quando sarebbe più saggio… stare.

A questo punto, alcune domande scomode ma necessarie:

  • Cosa accade se un leader tace durante un conflitto?
  • Se resta in ascolto mentre tutti si affannano a dire la propria?
  • Se attende prima di prendere parola?

Accade qualcosa di potente. Si impone senza imporsi.
La sua presenza acquista una gravità narrativa che attrae, orienta, guida. Non per reazione, ma per consapevolezza.

Il silenzio serve (a tutti)

Ma il bisogno di silenzio va ben oltre la leadership.
È un’esigenza collettiva. Una necessità interiore che si fa sempre più chiara, più urgente. In una società che ci tiene “always on”, connessi a flussi continui di notifiche, call, contenuti, alert, il rischio è quello di perdere la propria voce nel coro degli algoritmi. Fare silenzio oggi significa ritrovare un margine. Un confine tra sé e il mondo, tra il fare e l’essere.
Significa disconnettersi per riconnettersi: a ciò che conta e a ciò che siamo. E non parliamo solo di benessere, ma di igiene mentale, lucidità, capacità critica.
Serve una nuova educazione al silenzio, così come abbiamo imparato a gestire lo stress o il tempo. Serve uno spazio per il digital detox, non come moda, ma come pratica di cura. Un tempo senza scroll compulsivi, senza la necessità di dire la propria. Un tempo vuoto che può tornare pieno di senso.

Tacere giusto

Il silenzio non è mai un’assenza di comunicazione. È una comunicazione che ha rinunciato alla fretta. È uno spazio carico di intenzione. In un tempo che pretende risposte immediate, chi sa aspettare diventa raro.

E chi è raro, in fondo, è già una guida. Per questo oggi non si tratta più solo di parlare bene. Si tratta, sempre di più, e per tutti, di tacere giusto.

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