Economia
L’ombra della corruzione dietro la fiaba della Mongolia
La Mongolia – con le sue vaste riserve di risorse naturali, un governo democraticamente eletto e importanti investimenti occidentali – vanta tutti gli strumenti necessari per una crescita costante ed un generale miglioramento della qualità della vita. Ma le cose stanno andando diversamente: al centro del sistema c’è una sorta di “padrino fatato” della Mongolia, Tsakhia Elbegdorj, un anziano statista con una reputazione quasi immacolata all’interno della comunità internazionale. Nei suoi otto anni di presidenza ha promesso una modernizzazione forzata dell’istruzione e dell’industria, una crescita economica per tutti, aiuti statali attraverso la ridistribuzione delle licenze minerarie e una guerra alla corruzione.
Un’analisi più attenta del suo curriculum, tuttavia, suggerisce che non tutto è come sembra: Il potente riformatore minerario della Mongolia sembra avere i piedi d’argilla. Specialmente nel comparto minerario, che è la maggiore ricchezza del paese: le riforme del settore estrattivo sotto Elbegdorj sono state attuate con un metodo alquanto singolare: la Mongolia nazionalizza una miniera e poi la affida gratuitamente a una società locale, che rivende la concessione con un enorme profitto, che viene poi utilizzato per raccogliere fondi da investire nella modernizzazione. Con un dettaglio: le aziende che ricevono le concessioni in regalo appartengono alla cerchia ristretta di amici e parenti del Presidente. È questa ricchezza che ora viene utilizzata per influenzare le prossime elezioni di giugno.
Il sistema è semplice. Il governo ha iniziato a chiedere una maggiore trasparenza alle società straniere che gestiscono le miniere. Dopo aver negoziato con il governo, la licenza di sfruttamento viene rinnovata – come nel caso della miniera di rame da 6,2 miliardi di dollari di Oyu Tolgoi, gestita dal colosso minerario multinazionale Rio Tinto), oppure viene nazionalizzata.
Mentre Rio Tinto ha avuto la forza di sfidare questo approccio, altre società minerarie non se la sono cavata altrettanto bene: Western Prospector Group Ltd, una società mineraria con sede a Vancouver controllata da un’azienda cinese, e Khan Resources Inc. di Toronto, che faceva parte di un consorzio (Central Asia Uranium) in cui la Mongolia aveva un ruolo di primo piano, hanno perso la loro concessione. Il governo, che ne possedeva già il 21%, ha bloccato l’esplorazione dell’uranio di quest’ultimo sito, mentre Ivanhoe Mines e John Ing di Maison Placements (Toronto) hanno visto i loro contratti sospesi o annullati.
Nel frattempo, le miniere nazionalizzate vengono assegnate a società locali come Achit Ikht LLC o Steppe Group, entrambe strettamente legate alla cerchia ristretta dell’ex presidente. Queste imprese locali hanno poi scelto se mantenere la licenza di sfruttamento o venderla al miglior offerente. In questo modo, Achit Ikht è riuscita ad acquisire il 34% della joint venture russo-mongola di Erdenet. Achit Ikht è ben nota in Mongolia per essere un veicolo posseduto e controllato dall’ex braccio destro di Elbegdorj, Tsagaan Puntsag e dalla la sua famiglia.
La restante quota di maggioranza della Erdenet Industry è stata nazionalizzata e venduta a un’altra società della famiglia Tsaagan, la SteppeCopper, impegnata in servizi di consulenza manageriale, la prima e unica società mongola a diventare membro del London Metal Exchange. Achit Ikht ha prodotto rame catodico puro dalla raffineria di Erdenet tra il 1978 e il 2005. Nel 2010, Achit Ikht ha firmato un accordo di cooperazione con l’Istituto di Mineraria e Metallurgia di Pechino e grazie a questa partnership ha iniziato a lavorare allo scavo del giacimento di rame di Bayan-Ondur Sum, nella provincia di Orkhon. Nel 2014 è stato avviato un impianto idrometallurgico per la produzione di 10’000 tonnellate di rame catodico all’anno.
Nel 2016, il capitale sociale di Achit Ikht, che negli anni precedenti era passato di mano più volte tra parenti e collaboratori di Tsakhia Elbegdorj, è stato diviso tra SteppeCopper (78%) e un’altra società familiare, Tsaglavar LLC (22%). Secondo i documenti ufficiali, Dayandorj Erdenetsetseg – la moglie di Puntsag Tsagaan – è l’unica a essere in possesso di una concessione di sfruttamento minerario. Ma a prescindere dai cambiamenti apportati, è sempre la cerchia ristretta di Elbegdorj a mantenere il controllo di Achit Ikht.
La miniera e la raffineria di rame di Erdenet si sono rivelate redditizie per la cerchia ristretta dell’ex presidente in più di un modo. Nonostante il nuovo impianto sul sito sia stato ufficialmente finanziato dalla Golomt Bank, è stato rivelato che una società poco conosciuta di Singapore – la Noble Group Holdings Ltd. – è stata in grado di finanziare il progetto. Una quota è stata poi assegnata alla società di Singapore Fortune I Trade PTE: il veicolo attraverso il quale Achit Ikht acquistava rame non raffinato da lavorare.
La Fortune I Trade è riuscita ad acquistare il rame a un prezzo stracciato di 14,5 milioni di dollari da diverse società minerarie la cui produzione era stata sospesa. Ulteriori indagini sulla proprietà della Fortune I Trade mostrano che si tratta di un’altra società di proprietà di Dayandorj Erdenetsetseg, la stessa moglie del braccio destro del Presidente Elbegdorj, Puntsag Tsagaan. Nel febbraio 2020, la magistratura mongola ha iniziato a indagare sull’operazione Erdenet, spingendo Erdenetsetseg a fuggire dal Paese.
Il castello di bugie dell’ex presidente inizia a crollare: dopo un’irruzione nell’edificio dell’Achit Ikht e la sospensione delle attività della fabbrica, gli investigatori hanno scoperto un’altra linea di affari illecita legata alla famiglia Tsagaan: Puntsag Batoch (figlio del consigliere di Elbedorj) ha speso decine di miliardi di prestiti governativi per la sua azienda di cashmere. L’origine di questo denaro (cioè il garante del prestito) non è ancora nota, perché i sospetti sono scomparsi poche ore prima di essere interrogati.
La famiglia è stata anche accusata del furto di 21 dei 40 dipinti che compongono uno dei principali monumenti della Mongolia, il complesso della Grande Bocca del Cielo. Il valore dei dipinti è incalcolabile. Solo uno è stato ritrovato: nella collezione della New Folder Art company, la galleria personale di Kh. Boldbaatar, cognato dell’ex presidente Elbegdorj. Successive perquisizioni della polizia nelle case e negli uffici della famiglia (compresa quella dell’ex presidente Elbegdorj), nel marzo 2019, hanno identificato altri dieci dipinti rubati dal monumento, accatastati tra più di mille dipinti ancora da classificare, ma con un valore complessivo di oltre 3 miliardi di dollari.
Nonostante le indagini penali ancora aperte e le crescenti prove della sua complicità nella corruzione e nel furto di risorse statali, la posizione internazionale di Tsakhia Elbegdorj rimane inspiegabilmente alta. All’estero gode di un’ottima reputazione (è stato recentemente nominato membro del consiglio di amministrazione della Elders Foundation di Londra, un think tank fondato da Nelson Mandela che sviluppa progetti di pace e cooperazione nei Paesi più poveri e in guerra del pianeta).
Per quanto riguarda il fronte interno, la sua famiglia dà lavoro a migliaia di mongoli e la macchina propagandistica di Elbegdorj può contare su somme di denaro quasi illimitate e sul controllo di gran parte dei media. Il fatto di esercitare una tale influenza, sia all’interno della Mongolia che sulla scena internazionale, rende difficile capire come il Paese possa sfuggire al ciclo infinito della corruzione e trovare un suo lieto fine.
Devi fare login per commentare
Login