Economia

Furbi contro fessi: psicologia di chi (non) paga le tasse

8 Novembre 2016

E tu sei “furbo” o “fesso”? È bastato l’annuncio da parte del premier Matteo Renzi di abolire Equitalia, la società di riscossione dei tributi, perché tornasse in evidenza la grande contrapposizione tra chi le tasse le paga e chi no.

Sì, perché in Italia si può dire che esista una psicologia del pagamento delle imposte e nessuno può sfuggire alle etichette: tu da che parte stai? Sei “onesto” o “evasore”? E tutto ciò che ruota intorno al fisco non solo fa notizia, ma entra potentemente nella memoria collettiva. Frasi come: “Le tasse sono bellissime”, “Non metteremo le mani nelle tasche degli Italiani”, “Abbiamo tutti un socio occulto che è lo Stato” non le dimenticheremo mai.

Ma perché tanto accanimento, tanto coinvolgimento psicologico? E soprattutto: è così anche nel resto d’Europa? Lo abbiamo chiesto a un tributarista di lunga esperienza, il dottor Francesco Bonetta.

Il rapporto degli Italiani con le tasse è davvero così difficile e tormentato?

È una domanda a cui è molto difficile rispondere. In realtà esiste un rapporto controverso tra gli Italiani e le tasse perché le persone sentono di pagare molto e in cambio di ottenere poco in termini di servizi. Da lì nascono tutte quelle frasi fatte che si sentono dire continuamente. La realtà è che il rapporto è tormentato soprattutto per questo e non tanto perché l’Italiano non vuole pagare le tasse.

Quindi non è corretto dire che il rapporto dei nostri connazionali con il fisco è diverso da quello del resto d’Europa.

Il cittadino in Italia ha più bisogno di sentire la presenza dello Stato, quindi non necessariamente è meno virtuoso degli altri europei, almeno secondo la mia opinione. L’Italiano percepisce le tasse come qualcosa che deve poter apprezzare immediatamente in termini di servizi e, non vedendo miglioramenti, tende a scoraggiarsi, avendo più bisogno degli altri di percepire la necessità di pagare.

Da ciò deriva l’affermazione di alcuni tributaristi come: “Le tasse si pagano se qualcuno ce le chiede”. Nella mentalità italiana c’è una certa tendenza a dover essere in qualche modo sollecitati a pagare, ma questo non vuol dire che le persone paghino effettivamente meno.

Per migliorare i servizi, ad esempio il sistema sanitario nazionale, occorre molto tempo.

Esatto, questo è un grosso ostacolo. Un altro è che l’Italiano non fa mentalmente distinzione tra imposte, tasse o tariffe, che sono due cose diverse. Le tariffe sono generalmente riferite all’erogazione di servizi, come la raccolta rifiuti. Invece le imposte, essendo contributi a spese indivisibili, non permettono al cittadino di vedere dove vanno a finire i suoi soldi. Non sapendolo tende a cercarne il riflesso in ciò che percepisce intorno a sé: sanità, welfare, pubblica amministrazione, istruzione, ricerca, sicurezza e via elencando.

Visto che ci vogliono tempi lunghi per migliorare i servizi, per convincere i cittadini a pagare l’Amministrazione può agire in due modi: o aumentare le sanzioni per chi non paga, sperando che facciano da deterrente, oppure cercare un dialogo diretto con il cittadino, una sorta di adempimento guidato, in cui attraverso il contatto col territorio è in grado di porre in luce una serie di problematiche che riguardano la vita pratica dei cittadini e scoraggiare i comportamenti che i cittadini rifiutano o tentano, più o meno legittimamente, di aggirare. Ultimamente l’Agenzia delle Entrate sta si sta muovendo lungo questa seconda strada, però tale cambio di approccio richiede tempo.

Perché abbiamo la contrapposizione “furbi” contro “fessi”?

L’antitesi tra chi paga e chi no, tra chi dichiara e chi non lo fa è certamente legata alla pressione fiscale, che è importante in Italia. In conseguenza di ciò moltissime persone tentano di aggirare gli obblighi tributari, alcuni frodando e altri eludendo: va specificato che l’elusione non è evasione. Nell’evasione si manifesta la violazione diretta di una norma fiscale, nell’elusione no: la norma è solo aggirata. Tornando alla tua domanda: la contrapposizione tra “fessi” e “furbi” si crea perché effettivamente la distanza tra gli uni e gli altri si allarga sempre di più, poiché la crisi ha colpito molto forte tutti quanti. Il “fesso” ha una vita più difficile e tenta di pagare tutto, anche se spesso è quasi impossibile, per questo un po’ di tempo fa è stata coniata un’altra espressione entrata nell’immaginario generale: “evasione di sopravvivenza”. Il “furbo” invece non paga niente, si affida a meccanismi fraudolenti come la falsa fatturazione, che costituisce reato, e spesso non si preoccupa delle conseguenze. Tra “furbi” e “fessi” si crea dunque una sorta di guerra sociale.

Ma questa contrapposizione che effetto fa al Paese?

Pessimo, perché in qualche modo saltano tutte le categorie. L’onesto che ha sempre pagato e a un certo punto non ce la fa più – magari per una serie di circostanze che non sono nemmeno colpa sua, come per esempio perché la Pubblica Amministrazione ha dei debiti con lui ma non paga – entra in un meccanismo psicologico che lo fa sentire in qualche modo un emarginato sociale e questa cosa, quando si arriva psicologicamente al punto di non ritorno (quando non riesci nemmeno più nemmeno a pagare le rateizzazioni), porta a una sorta di indifferenza: la persona smette di pagare e si sente parte lesa, sente di non essere compreso dallo Stato. Il piccolo imprenditore italiano tipicamente non è un criminale e percepisce questa situazione con estremo malessere. Dall’altra parte vede infatti “furbi” a cui il fisco fa maxi sconti, corrotti prescritti e condoni a non finire: lì si crea la frattura sociale e il cittadino smette di votare e si allontana dalla vita pubblica.

I fessi invocano il carcere per gli evasori fiscali, come accade ad esempio negli Stati Uniti. Cosa ne pensa?

Le norme penali che sanzionano i comportamenti illeciti, ovviamente proporzionate all’entità della violazione, come il decreto legislativo 74/2000, ci sono e sono tante. È un luogo comune che non abbiamo il carcere per i reati tributari: il problema è che parecchie volte vi è un concreto rischio di giungere alla prescrizione.

La risposta penale d’altra parte non sempre è quella giusta, sicuramente è quella più visibile. Bisogna stare particolarmente attenti perché anche gli onesti possono trovarsi invischiati se le norme penali sono troppo severe o poco chiare. Sanzionare senza dialogare è controproducente: le aziende chiudono e producono nuovi disoccupati.

È anche vero che molti dei furbi affermano di aver avuto la vita rovinata da Equitalia, alcuni hanno fatto anche gesti estremi per protesta.

In realtà è ovvio che chi normalmente fa un gesto estremo non è il “furbo”, che poteva prevedere di essere colto sul fatto, ma coloro che si sentono perseguitati sono, ancora una volta, quelli che pagano tutto, ovvero persone che magari non riescono a capire in che modo sono state travolte dalla crisi e si sentono strangolate da comportamenti dello Stato che sentono ingiusti.

Vedremo cosa cambierà senza Equitalia, perché si può rinunciare ad essa ma non alla riscossione: tutto dipende dal rapporto che lo Stato ha con il cittadino, da quanto fa rateizzare, da quanti interessi mette, dall’entità delle sanzioni, da quanto è dialogante.

Nel 2007 l’allora Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, scomparso nel 2010, in una intervista disse la famosa frase “Le tasse sono bellissime”. Il Ministro intendeva dire che lo sono perché sono “un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute”. Quella frase estrapolata dal contesto suscitò un vespaio che passò alla storia. Cosa ne pensa?

Penso che pagare le imposte sia connesso a un dovere di solidarietà sociale previsto dalla nostra Costituzione quindi pagarle è necessario. Certamente in cambio lo Stato deve erogare servizi adeguati e non può sottrarsi ad un “patto fiscale” degno di questo nome.

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