Economia

È italiana la prima legge sull’home restaurant. A chi piace e a chi no

18 Gennaio 2017

Una delle forme si sharing economy che si sta diffondendo maggiormente nell’ultimo periodo è quella soprannominata “home restaurant”, letteralmente “ristorante in casa”. Sono infatti già molti gli italiani che si dilettano tra i fornelli della propria abitazione improvvisandosi chef e mettendo su delle vere e proprie micro attività. Ma di cosa parliamo?

Per vestire la parannanza del “ristoratore casalingo” servono tempo, fantasia in cucina, una casa accogliente e una buona capacità di comunicare utilizzando il web. Si decide un menù, si fissa un prezzo, si raccolgono le prenotazioni, si cucina e si serve il tutto invitando a cena i perfetti sconosciuti, trasformando per una sera il salotto di casa in un ristorante. La pratica è in crescita e facendo un giro in rete l’offerta è assai varia, soprattutto a Roma e Milano.

Con lo scopo di regolamentare questa nuova forma di condivisione, alla Camera è stata approvata una proposta di legge (la prima in tutto il mondo) che ha lo scopo di normare queste attività ed evitare che i ristoranti casalinghi entrino in conflitto con gli operatori della ristorazione tradizionale, che ovviamente vedono come la peste la concorrenza delle potentissime massaie italiane – custodi indiscusse della nostra immensa tradizione gastronomica – e degli aspiranti Gordon Ramsay nostrani.

Relatore del testo è il democratico Angelo Senaldi, che ha così spiegato la filosofia del provvedimento: «Oggi la maggior parte dei programmi televisivi più seguiti in Italia parlano di politica o di cibo e ci sono tanti italiani che in questi anni si sono voluti dilettare tra i fornelli condividendo con altri questa loro abilità, dando vita a vere e proprie esperienze di “home restaurant”. Tutto questo pensiamo che vada regolamentato. Il nostro obiettivo è quello di normare una realtà già esistente, perché esistono già delle piattaforme in rete che permettono l’intermediazione tra i cittadini e chi propone l’home restaurant. Noi identifichiamo le figure dando una serie di definizioni ai soggetti che sono il cuoco, il gestore della piattaforma informatica di intermediazione e l’utente finale».

L’esponente dem, riferendosi alle preoccupazioni di alcune associazioni di ristoratori che già paventano la nascita di un “Uber dei ristoranti”, ha poi ribadito i paletti previsti dalla nuova legge: «Non vogliamo che l’home restaurant diventi un’attività professionale ma che rimanga un’attività amatoriale e abbia le caratteristiche, i limiti e la semplificazione che deve avere questa forma di “made in Italy fatto in casa”. Essendo un’attività amatoriale ci saranno dei limiti molto restrittivi, proprio per evitare di creare un’attività concorrenziale alla ristorazione tradizionale. Abbiamo quindi stabilito un massimo di cinquecento pasti annui e delle entrate certificate dalla piattaforma non superiori ai cinquemila euro l’anno».

Limitazioni che però non sono piaciute a chi in questi anni ha avviato questo nuovo tipo di attività. Tra loro c’è Giambattista Scivoletto, amministratore del sito www.bed-and-breakfast.it, che ha criticato la proposta di legge: «Di certo la registrazione e la tracciabilità di qualsiasi pagamento sarebbero un’innovazione non da poco dal punto di vista fiscale, ma nella fattispecie renderebbero illecite azioni banali come, ad esempio, chiamare e prenotare direttamente l’Home Restaurant, un limite che non esiste per alcuna attività economica esistente. Tale obbligo da solo, secondo un nostro sondaggio effettuato sul gruppo composto da aspiranti home restaurant, impedirà l’85% delle probabili aperture. È sgradevole anche dare per scontato, a priori, che l’attività di Home restaurant venga fatta per evadere le tasse o fuori da norme precise».

Ancora più duro è stato Michele Ruschioni, portavoce del Movimento “Home Restaurant Roma”: «Il testo che è arrivato in Parlamento – ha spiegato in una nota – è inquinato da logiche illiberali e si pone ideologicamente contro la sharing economy. Sembra scritto sotto la dettatura di quelle lobby che vedono – erroneamente – negli Home Restaurant una sorta di Male Assoluto». Secondo Ruschioni, i nodi della discordia sono i tetti imposti per i coperti e i guadagni e il metodo di pagamento: «Siamo contrari alla limitazione di coperti imposta annualmente, siamo contrari alla limitazione delle serate nelle quali le porte della propria casa possono essere aperte e siamo contrari all’obbligo di pagamento con carta di credito. In pizzeria si potrà continuare a pagare cash e a casa di Nonna Rosa invece sarà necessario il Pos. Siamo all’assurdo».

Ma il ristorante fatto in casa rischia davvero di far concorrenza a quello sotto casa? A giudicare dai numeri che cita Scivoletto, tra le due attività non c’è partita: «la ristorazione italiana ha fatturato, nel 2015, settantasei miliardi di euro. Il fatturato di 7,2 milioni di euro del 2014 dell’Home Restaurant ne rappresenta un decimillesimo. Significa che per ogni 10.000 Euro di reddito di un ristoratore, l’Home Restaurant gliene sottrae 1, ovvero mediamente un ristorante italiano perde 1 euro su 10.000».

Alle critiche degli operatori dell’home restaurant ha risposto lo stesso Senaldi, che ha puntualizzato: «La leggeMira a tutelare sia l’esercente che il consumatore e non è soggetta a nessun gioco di potere o lobby. Il pagamento del servizio attraverso la piattaforma web permette di tracciare le transazioni in modo trasparente evitando così evetuali evasioni o truffe. Non sarà dunque necessario alcun pos perché il pagamento avverrà online come in tutti i servizi di sharing economy. È importante ribadire che verrà posto un tetto di 500 coperti all’anno per un massimo guadagno di 5 mila euro l’anno perché tale attività non andrà a sostituirsi alla ristorazione tradizionale né sarà considerata fonte di reddito primaria».

Insomma, chi vorrà improvvisarsi ristoratore per qualche sera sappia che potrà farlo comodamente da casa, magari organizzando eventi a tema o sperimentando nuove gustose pietanze. Con i guadagni di questa piccola attività potrà poi pagarsi qualche cena al ristorante, per non far torto a nessuno.

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