Economia
La crisi che verrà
Nel momento in cui si sprecano le teorie sulla crisi di governo e in cui tutti i commentatori, come gli stessi protagonisti politici, hanno affermato tutto e il contrario di tutto, qualcosa di meno opinabile, e se vogliamo di più grave, negli ultimi mesi ombreggiava sempre più minaccioso sulle nostre teste. Qualcuno non avrà mai sentito parlarne, ma l’inversione nella curva di rendimento dei Bond, in particolare quelli USA, col suo nome perfettamente incomprensibile è l’elemento più preoccupante del futuro prossimo.
Un Bond è un titolo di prestito emesso da stati o aziende. Ha un suo mercato molto importante, e in realtà ci dovrebbe essere famigliare ogni volta che sentiamo parlare di spread. Lo spread, per come lo conosciamo, è la differenza tra il rendimento dei titoli di una nazione economicamente solida, come la Germania, e le altre nazioni e serve per confrontare quanta fiducia come debitori questi Stati hanno. Ma lo spread è semplicemente la differenza tra due valori e quindi è un concetto che può essere utile anche per altri confronti. I Bond inoltre possono avere diverse durate: ci sono titoli di pochi mesi fino a titoli che durano 30 anni. È normale pensare che se presto soldi per 10 anni i miei interessi debbano essere maggiori rispetto a un prestito fatto per 2 anni. La curva dei rendimenti è un indicatore economico che comunica la fiducia che il mercato ha nel riottenere il credito prestato, per poi reinvestirlo nel breve termine piuttosto che aspettare molto tempo per riaverlo. Se la curva si inverte non è più così e quindi i tassi di interesse sul breve periodo si alzano per invogliare a comprare i Bond meno durevoli.
La curva dei rendimenti a 3 mesi si è invertita qualche mese fa, quella sui rendimenti di due anni la scorsa settimana. Significa che conviene di più un Bond di qualche anno o mese rispetto a uno decennale. Ovviamente non ha senso, come molte cose in economia, ma è possibile che accada. E ogni volta che accade nel giro di 20 mesi si è in recessione. Ora bisogna considerare che le ragioni dell’inversione e della conseguente crisi possono essere molteplici, ma il mercato funziona su qualcosa che sfugge al controllo razionale quindi è anche difficile, se non impossibile, riuscire a intervenire per tempo.
Ancora peggio è che spesso è la psicologia ciò che governa l’economia di mercato. Quindi preso coscienza del dato di inversione, questo crea una sorta di superstizione, una suggestione che farà prendere decisioni agli investitori o agli speculatori che aggraveranno la situazione innescando fenomeni finanziari che propagheranno la preoccupazione e faciliteranno la crisi. Si può ripetere che va tutto bene. Si può cercare di intervenire con degli strumenti messi in atto dalla FED o dalle banche centrali, ma è difficile capire quali tra i tanti fattori determinerà la crisi. Non è nemmeno chiaro perché gli investitori siano pessimisti. Potrebbe essere un rallentamento dell’economia europea o cinese, la preoccupazione per la Brexit, la crescita del debito debito aziendale. Si sa solo che dall’inversione della curva la crisi arriverà, in tempi brevi.
È un po’ come osservare il tifone che sconvolge il mare prima di abbattersi sulle rive. Noi piccoli uomini proviamo il momento del sublime di fronte all’inesorabilità naturale. In questo caso però non c’è niente di inevitabile perché siamo proprio noi uomini che stiamo causando il nostro stesso male, la recessione, la crisi e tutte le sofferenze e le fatiche che questa comporterà. Dovremmo essere noi a controllare lo star bene e lo star male economico, perché ne abbiamo sia conoscenza che controllo. Invece preferiamo affidarci ad un sistema che spingendo sia per l’avidità che per l’individualità conduce questo potere fuori dalle mani della razionalità. Anzi è previsto che il capitalismo abbia queste crisi di decennio in decennio, come un qualcosa di fisiologico.
Già Hegel si stupiva di come pulsioni egoistiche e personali formassero un’economia funzionante. Spiegava anche che l’impossibilità di vedere soluzioni al di fuori dal capitalismo del libero mercato, è dovuto all’indottrinamento dell’educazione e del crescere in una realtà che ci appare vera ed ineluttabile perché appunto è presente. Ci soffermiamo e ci convinciamo di questo realismo. Ciò causa sofferenza, e in questo caso particolare parliamo della crisi, ma l’elenco sarebbe lunghissimo e quasi universale se provassimo a risalire alle colpe dell’irrazionalità del capitalismo, e alla fede che siamo stati abituati a riverirgli. Bisogna tornare a porre in discussione la realtà economica come certo fece Marx, ma come fecero tanti pensatori liberali alla Joan Stuart Mill. Sarebbe incredibile se non fosse vero che nell’epoca in cui l’uomo può soddisfare ogni suo bisogno grazie alla sua razionalità, non vuole invece cambiare le leggi di ciò che provoca le maggiori sofferenze, a causa della sua irrazionalità.
Si ringrazia per la consulenza in ambito economico l’amico Andrea Bolognesi, ricercatore presso il Global Financial Literacy Excellence Center (GFLEC) di Washington, DC
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