Economia

Becchetti: Il 1° maggio col Jobs Act, tragedia necessaria del calo dei diritti

30 Aprile 2016

Leonardo Becchetti è uno degli economisti più attenti e oggi si può dire necessari ad un dibattito pubblico che ha l’obbligo di recuperare qualità all’interno di uno discorso che potrebbe mutare fortemente le logiche della nostra quotidianità. Becchetti ha da poco pubblicato un volume molto interessante dal titolo Capire l’economia in sette passi (Minimum Fax), non si tratta di un manuale, ma di una sorta di prontuario per chi voglia comprendere le dinamiche e le logiche che oggi dominano (non c’è altra parola) le stanze del potere anche se queste stanze, magari non esistono nemmeno più.

Abbiamo incontrato l’economista alla vigilia di questo primo maggio che è un po’ il tagliando di una riforma del mercato del lavoro che dopo l’impennarsi di qualche dato statistico ora sembra spegnersi nell’illusione di una svolta che ancor una volta tarda ad arrivare.

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Quali garanzie offre oggi il mercato del lavoro in Italia?
Molte meno di quelle di un tempo ma si tratta di un purtroppo necessario adeguamento alla concorrenza con paesi dove il lavoro è ancora meno tutelato. La globalizzazione ha fatto esplodere la contraddizione di paesi dove il lavoro è tutelato e paesi dove non lo è. Con la creazione del mercato globale la precarietà e la miseria dei lavoratori più poveri del mondo diventa una minaccia alle conquiste dei lavoratori più ricchi. Viviamo in una dolorosa transizione verso un sistema globale dove i diritti saranno (si spera) livellati verso l’alto dopo essere stati inizialmente livellati verso il basso.

Il Jobs Act è un reale avanzamento dei diritti?
È una riduzione dei diritti ma io lo definirei una ritirata strategica purtroppo quasi necessaria. Poiché la globalizzazione mette a parità di qualifiche lavoratori dei paesi ad alto reddito con salari elevati in concorrenza con lavoratori di paesi a basso reddito con salari molto bassi la conseguenza inevitabile è il rischio di perdita di posti di lavoro. A meno di trovare modi vari e diversi di ridurre il costo del lavoro da noi. E il Jobs Act riduce i costi di licenziamento per i datori di lavoro, di fatto dunque riducendo il costo del lavoro.  C’è però una parte più positiva degli ultimi provvedimenti sul lavoro che è quella del progressivo aumento delle risorse per chi perde il lavoro e del parziale aumento delle tutele per i lavoratori precari.

Ha ancora senso definire la Repubblica italiana basata sul lavoro come dice la Costituzione?
Il problema è che il lavoro non si può creare per editto e neanche con una legge costituzionale. Allo stesso modo il diritto ad avere un lavoro non implica necessariamente vivere in un sistema economico che i posti di lavoro li crea. Per rendere vero e valido il principio costituzionale bisogna impegnarsi per costruire un sistema economico che i posti di lavoro li crei veramente Non è un problema che possono risolvere i giuristi quanto piuttosto gli economisti.

Che forma prenderà il lavoro nel prossimo futuro? Quale sarà la via d’uscita dal precariato?
Le vie per creare lavoro stabile sono diverse. Iniziando da una sana politica macroeconomica (gli USA dopo la crisi l’hanno fatta e sono ora al 4,9% di disoccupazione), da un sistema paese con regole ed istituzioni virtuose, ad una formazione/istruzione orientata alla pedagogia delle competenze e del problem solving, alla capacità delle imprese di puntare su drivers di creazione di valore diversi dal costo del lavoro (tecnologia, cultura, arte, ambiente) di cui siamo ricchi, a contratti di lavoro moderni dove contrattazione di secondo livello sulla produttività è scambiata con un impegno delle aziende alla formazione e alla partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell’impresa.

Ritiene che siano ancora valide le vecchie categorie di classe al tempo della sharing economy?
La sharing economy polverizza l’azienda. La rete abbatte i costi di transazione e rende conveniente per alcuni tipi di lavoro e per alcuni lavoratori andare direttamente sul mercato senza la mediazione di una struttura gerarchica ma solo di quella di una piattaforma online. Che questo sia libertà, reale progresso o bracciantato 2.0 è ancora da vedere. Che fine fanno le tutele del lavoro ancora in parte garantite ai lavoratori tradizionali in questo nuovo settore?

Quale consapevolezza manca oggi nell’affrontare il mercato del lavoro da parte dei giovani e anche da parte delle imprese?
I giovani devono rendersi conto che non esistono più rendite di posizione. Devono investire tutta la vita sul proprio talento, mettersi in gioco. Rischia molto di più chi pensa di avere una rendita e non investe su se stesso di chi lo fa giorno per giorno.

È ancora valida la proposta formativa rispetto alle necessità del mercato del lavoro contemporaneo? Non crede che mondo del lavoro e dello studio vadano sempre più a sovrapporsi?
In un mondo come quello odierno c’è bisogno di formazione continua dei lavoratori ma anche di scuole ed università che siano orientate non ad un’ acquisizione passiva di nozioni ma ad un apprendimento di competenze e che sappiano sviluppare la capacità di problem solving. Nel mondo del futuro le conoscenze ripetitive saranno apportate dalle macchine mentre il lavoro umano sarà sempre più competitivo sulle consocenze generative. Non basta pertanto riempire la bisaccia di nozioni ma bisogna anche allenare gli studenti a saper tirar fuori dalla bisaccia quelle nozioni per risolvere problemi sempre nuovi.

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