Economia
Ascolto e condivisione: le (buone) relazioni per una ripresa sostenibile
Da martedì l’Italia ha spento i motori; tutti a casa ed aperti solo i servizi essenziali.
La ripartenza ci sarà, ma non sarà come quella successiva ad un lungo fine settimana.
Non sappiamo ancora quanto sarà l’attesa.
Nel frattempo, rimaniamo chiusi nelle case ed affacciati alle finestre a raccogliere idee per il momento della ripresa.
Le cronache politiche ci hanno raccontato di un’Europa che fatica, anche di fronte ad un’emergenza di tale portata, a fare fronte comune tanto nella politica sanitaria che economica e di un’Italia che ha le mani legate dal suo ingente debito pubblico.
Se, tuttavia, almeno negli annunci degli ultimi giorni, l’Europa sembra orientarsi verso una piena e convinta solidarietà, e lo stesso Governo italiano si appresta ad emanare i primi, urgenti, provvedimenti a favore dell’economia, si sbaglierebbe ad immaginare che la ripresa possa dipendere solo dall’intervento pubblico.
Infatti, le autorità pubbliche hanno dimostrato, almeno in Italia, di non essere in grado di far arrivare ovunque le proprie risorse e, anzi, di saperle disperdere in mille rivoli e rimanere inerte mentre scompaiono negli inghiottitoi della corruzione.
È, invece, sotto gli occhi di tutti lo slancio di molte imprese private nel sostenere, con importanti erogazioni liberali, l’attività degli ospedali in questi giorni di lotta.
Ugualmente, anche prima degli ultimi provvedimenti governativi, moltissime aziende avevano interrotto la propria attività commerciale e produttiva, come atto di sensibilità verso la salute dei propri lavoratori.
Commoventi sono state le manifestazioni popolari sorte, spontaneamente, in tutta Italia per vincere il senso di solitudine e di impotenza determinato dalla reclusione in casa.
Sono tutti segnali importanti di una sensibilità sociale e comunitaria viva.
La sfida che impegnerà l’imprenditoria e l’intera società al momento della ripresa è quello di mantenere vivo questo humus di solidarietà anche quando sarà terminata la spinta emotiva.
Un immediato banco di prova di questa ritrovata solidarietà sociale sarà quello dei rapporti contrattuali con fornitori e clienti.
La chiusura improvvisa e prolungata delle attività commerciali sta infatti determinando un costo economico diffuso, rappresentato da ritardi delle prestazioni, maggiori spese per l’approvvigionamento e la produzione, mancati introiti e ricavi, o, addirittura, l’impossibilità di erogare quanto concordato.
Sono aspetti che il diritto privato regola indicando, salomonicamente, quale delle due parti del rapporto debba sostenere il costo o la perdita.
Tuttavia, le categorie logiche del diritto privato possono rivelarsi particolarmente rigide.
Chi è parte di un contratto può infatti liberarsi dagli obblighi assunti solo di fronte a situazioni imprevedibili che determinino una assoluta impossibilità di svolgere la prestazione (l’impossibilità sopravvenuta) o una eccessiva onerosità.
Non è però affatto facile determinare, nell’attuale emergenza, se una situazione di difficoltà ad eseguire una prestazione assuma i caratteri previsti dalla legge (impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità sopravvenuta) per lo scioglimento del rapporto e la liberazione del debitore.
Ad esempio, il conduttore di un negozio chiuso per l’emergenza può chiedere una riduzione del canone di locazione per il tempo della chiusura ed i mesi immediatamente successivi?
Un commerciante che abbia effettuato, prima dell’emergenza, degli ordini di acquisto, potrà revocarli o annullarli?
Un imprenditore che abbia avuto la forza lavoro colpita dal virus o posta in quarantena potrà richiedere la rinegoziazione dei termini di ultimazione o consegna dell’appalto, o, ancora, evitare il pagamento di penali per il ritardo?
Sono alcuni esempi di possibili situazioni di difficoltà che, pur ancora distanti dal concetto di impossibilità, sarebbero comunque meritevoli di considerazione per riequilibrare il rapporto contrattuale.
In via generale, è però consentito ai giudici decidere solo se una prestazione è dovuta o meno, se c’è stato ritardo colpevole o incolpevole; il giudice non può entrare nel “merito” del rapporto contrattuale e, quindi, rideterminare prezzi o tempi della prestazione nelle situazioni in cui una simile rideterminazione risponderebbe all’equità sociale.
La conseguenza è che l’eventuale decisione giudiziale può rivelarsi contrastante con il senso giustizia sociale.
Peraltro, il diritto privato e la decisione del giudice si muovono da una prospettiva atomistica, legata e confinata, cioè, al singolo rapporto.
Tuttavia, su larga scala, l’iniquità della soluzione giuridica può innescare un effetto domino su tutta la catena produttiva a cui appartengono le imprese in lite.
E, del resto, il ricorso sistematico al contenzioso o il conflitto contrattuale possono determinare anche la scomparsa dal mercato di alcuni operatori.
Sono rischi concreti, il cui governo può solo in parte essere affidato alla politica o alle istituzioni.
È quindi necessario che le imprese ed i privati mantengano vivo, alla ripresa delle attività, quel senso di mutuo soccorso emerso in questi giorni.
Nella relazione con i propri fornitori sarà allora auspicabile una ritrovata capacità di ascolto delle esigenze sorte con l’emergenza ed una disponibilità alla rinegoziazione dei termini e delle condizioni contrattuali che tenga conto delle difficoltà, condividendo così il costo economico sorto dall’emergenza.
In altre parole, in un’epoca in cui la sostenibilità e la responsabilità sociale di impresa sono diventate il tratto caratterizzante il capitalismo europeo, sarà il dialogo attento e comprensivo con gli stakeholders esterni quali fornitori e clienti lo sforzo che tutti gli operatori del mercato dovranno perseguire per il bene comune.
Ascolto e condivisione saranno le parole chiave per una gestione delle relazioni contrattuali capace di sorreggere una ripresa economica sostenibile.
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