Economia
80 anni da Bretton Woods, tra guerre e rivoluzioni monetarie
In copertina John Maynard Keynes e Harry Dexter White alla Conferenza di Bretton Woods
Per gli appassionati di geografia, specie se economica, Kazan si trova nella Repubblica russa, oblast del Tatarstan e questa settimana ospiterà i rappresentanti della CSTO, Organizzazione di Sicurezza dei paesi Eurasiatici, per la consueta cadenza dei Summit BRICS. Non per nulla questa settimana ricorre l’80° anniversario di Bretton Woods dove si riunirono i rappresentanti economici dei Paesi alleati degli USA per concordare il Gold Exchange Standard (1944- 1971), cioè il sistema basato sui rapporti di cambio fissi tra le valute tutte agganciate al dollaro (a sua volta agganciato all’oro). Accordo che ritrovò il favore di tutti i paesi che affiancarono alle riserve aurifere delle banche centrali riserve in valuta degli Stati Uniti. Le conseguenze di quella conferenza furono preconizzate da John Maynard Keynes che fu molto deluso dalla scarsa accettazione delle sue idee introdotte nel celebre tomo “General Theory of employment, interest and money” pubblicato nel 1936, otto anni prima. Prevalse la linea monetarista americana e l’inevitabile dominio del dollaro, quale divisa di scambio e di riferimento, data la copertura aurea disponibile.
Nasce così l’ordine nuovo monetario e monetarista, derivato da due ordini di fattori. Il primo è il trauma della Guerra Mondiale che dal 1915 si è trascinata al 1945 con soli venti anni di armistizio anche economico. Ma in realtà alla base – il prodromo era stata la grande depressione del 1929, alimentata dalla intrinseca crisi USA – di questo processo di transizione gioca l’interazione tra i forti squilibri dell’economia produttiva e della finanza internazionale, favorita quest’ultima dal crescere della teoria monetaria, che negli USA, sotto l’influenza della Scuola di Chicago, ha inevitabilmente influenzato lo sviluppo del neo-liberismo monetaristico. Poi nel 1971, gli Stati Uniti dichiareranno la fine della convertibilità aurea del dollaro, disaccoppiando la moneta dal metallo, perché il Vietnam, altra guerra drammatica, aveva piegato le risorse statunitensi e non si potevano sopportare più i cambi fissi.
Oggi stiamo vivendo una rivoluzione economico-finanziaria non minore. Non ci sono dubbi che, sin da quando anche alcuni nostri economisti, come Gian Carlo E. Valori, lo avevano preconizzato, il petro-yuan era stato proposto quale conio di scambio per i prodotti petroliferi. Con gli ultimi avvenimenti si profila la New Development Bank, in pole position quale sede per gli scambi commerciali dei BRICS, quale banca di riferimento. Insomma, la sconfitta definitiva del nemico americano e la vittoria che l’URSS non era riuscita ad ottenere militarmente.
Si ripropone, dunque, a Kazan la linea dei BRICS, la de-dollarizzazione e l’avvento della New Development Bank in un momento cruciale della vita politica planetaria nel mentre impazza la guerra con due formidabili focolai, Ucraina e MO, pabulum perfetto per la rivoluzione monetaria.
Vladimir Putin nella seconda fase del suo potere ha sviluppato l’egemonia russa nell’Eurasia trasformandola da militare in finanziaria, ha energizzato il mercato eurasiatico e fornito le fonti di sopravvivenza dei paesi asiatici attraverso il commercio di gas & oil, malgrado le sanzioni che la UE e gli USA hanno imposto. Che anzi, attraverso un recupero delle riserve petrolifere ha aumentato l’offerta delle stesse alla Cina e ai paesi asiatici, incrementando le ricerche in quello che sarà lo Scacchiere Petroliero dei prossimi decenni, il Mare di Barents e l’Artico.
Trasformare questo percorso commerciale e finanziario in dominio geopolitico è presto fatto se allo Zar del XXI secolo riuscirà il possesso pieno del corridoio ucraino di accesso al Mar Nero, per proiettarsi sulle pipeline sud-orientali del Mediterraneo (Tap-TANAP-Poseidon) che offriranno ulteriore valenza geopolitica nell’area mediorientale squassata dalla guerra in atto.
Non sappiamo come Putin sarà ricordato nei libri di Storia ammesso che esisteranno ancora in forma cartacea. Di sicuro è stato il Leader tra il XX e il XXI secolo che ha trasformato la geopolitica delle Relazioni Internazionali in Geopolitica del Petrolio e che ha posto un serio arretramento in tema di sostenibilità energetica e di transizione ambientale più di quanto non abbiano fatto USA, Australia e qualche altro paese con il Protocollo di Kyoto.
Ma tutto quanto sopra riferito potrà avere logico completamento solo se il 6 novembre Trump dovesse vincere le elezioni; allora il gioco sarà definitivamente chiuso e si potranno far tacere così i missili iraniani. Paradossalmente chi auspica la pacificazione in MO mediante gli Accordi di Abramo dovrebbe tifare, a narice chiusa, per il Tycoon.
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