Economia civile
Una nuova tempesta speculativa sul sistema Italia
Si possono individuare due momenti distinti in cui la speculazione internazionale ha lucrato a spese del sistema Italia, la crisi del 1992 e quella del 2011/2012.
L’allarme odierno trova ampia giustificazione a seguito dell’intervista rilasciata al Guardian da Steve Eisman, grande esperto e protagonista di speculazioni internazionali, proprietario di uno dei maggiori hedge fund. In questa intervista viene detto con chiarezza ciò che finora veniva solo intuito o sussurrato: è in corso un attacco alle banche italiane, da parte degli speculatori internazionali, tramite vendite allo scoperto.
Facciamo un passo indietro.
Tutti quanti ricordiamo l’esito degli ultimi stress test compiuti dalla BCE sugli istituti di credito dell’eurozona. Le banche italiane sembrarono solide e apparentemente in grado di superare la prova; immediatamente dopo, tuttavia, apparvero le prime avvisaglie di burrasca, precedute dalla turbolenza sui mercati azionari. In realtà gli stress test avevano evidenziato agli investitori internazionali la fragilità delle banche italiane gravate da NPL per 360 miliardi di euro, in gran parte concentrati nei primi cinque gruppi: Intesa-San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI.
Quanto afferma Eisman nell’intervista conferma ciò che noi, avvocati dei consumatori, affermiamo da tempo: gli Istituti Bancari, pilastro fondamentale dell’economia italiana, sono essi stessi la causa di gran parte delle loro difficoltà attuali. Quando, infatti, nel libero mercato una parte stravolge le regole, (con il compiacente silenzio dei regolatori) i danni si ripercuotono alla fine su tutti i componenti del sistema, anche su quelli che apparentemente e per qualche tempo ne hanno beneficiato.
Eisman sostiene che quasi tutte le banche italiane contabilizzano le sofferenze non secondo gli standard internazionali, (intorno al 20% del valore nominale) ma, come concede loro la collusiva normativa vigente, al 40-50% del valore nominale.
La conferma che lo spazio per la speculazione esiste, lo troviamo nel fatto che, seppur molto in ritardo, le banche italiane si sono rese conto del problema, ad esempio il presidente di Intesa Sanpaolo, non è favorevole alla cessione degli NPL ai fondi speculativi e sostiene che la banca ha «rimesso in bonis» ben 40.000 posizioni in difficoltà, in pratica ha transato con aziende e famiglie ed ha restituito loro dignità creditizia.
Unicredit, da par suo, sembrerebbe pronta ad un’operazione finanziaria per cui le sofferenze verrebbero contabilizzate secondo gli standard internazionali, intorno al 20% del valore nominale.
Ciò che ha permesso questa situazione, è la “suburra” tra sorvegliati e sorveglianti, laddove opacità, manchevolezze e collusioni tra essi (ad esempio manipolazione continua dei tassi d’usura, mala gestione delle segnalazione alla Centrale Rischi, esclusione del reato di usura dal novero dei reati obiettivo della legge 321) hanno foggiato il pantano in cui si sono formati i cd. “prestiti non performanti”, che le Banche non sanno come risolvere.
Alcuni commentatori sono già intervenuti. Gli argomenti sollevati sono molti, riprendo soltanto quelli essenziali:
Bisogna combattere la rassegnazione, il pensiero debole, per cui non sarebbe possibile un’iniziativa su questo terreno.
E’ necessario invece un forte impegno etico perché banche e risparmiatori, posti sullo stesso piano, con autonomi diritti/doveri cooperino nella normalizzazione dei reciproci rapporti.
Tale normalizzazione però, per essere efficace, deve dare atto che il 2008 e poi, per l’Italia, il 2011 hanno segnato un momento di rottura epocale. Tutto il sistema, banche, imprese, governo opposizioni deve impegnarsi per una forte discontinuità, come seppe fare Roosevelt con le leggi bancarie del New Deal, oppure, su di un altro piano, Mandela in Sudafrica con la Commissione Tutu.
Alcuni milioni di imprese e cittadini, alleviati dall’ossessione dei debiti bancari che non possono più pagare, devono tornare a vedere il futuro con ottimismo, a far ripartire le loro aziende, ad aumentare i loro consumi ecc. Tutto a beneficio del PIL e della ripresa.
Architrave di questo new deal, potrebbe essere l’applicazione di un condono bancario, corrispettivo al limite minimo del valore residuo a bilancio dei crediti. Con buona pace dei fondi speculativi.
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