Economia civile

Terrapiattisti e corpi intermedi: chi governa lo sviluppo?

15 Dicembre 2019

Locale e globale con le reti dei corpi intermedi a tenere tutto insieme. Quante volte abbiamo partecipato a incontri, seminari e convegni dove si discuteva di questi temi? La domanda sorge quindi spontanea: vale ancora la pena occuparsene? Soprattutto in una fase in cui la globalizzazione sembra agire in senso “terrapiattista” infischiandosene delle curve di livello rappresentate dalle peculiarità dei contesti?

Eppure, a ben vedere, non è così (o meglio non è del tutto così).

In questi ultimi anni stiamo assistendo a un doppio movimento che riporta al centro la dimensione locale. Da una parte gli attori che abitano i territori – imprese, istituzioni pubbliche, cooperative, imprese sociali, comunità – sono sempre più consapevoli del valore che sono in grado di creare e che, a differenza del passato, tiene insieme in maniera quasi indissolubile variabili sociali, ambientali ed economiche. Ma questa stessa osservazione è sempre più rilevabile guardando anche alle strategie dell’economia globale. Le catene di produzione del valore che procedono per flussi e non a partire da luoghi si stanno sempre più accorciando e radicando per intercettare risorse preziose che sono parte integrante di ciò che definiamo “territorio” e poco importa che si tratti di beni materiali o di altri capitali intangibili come le competenze e le culture.

La sfida quindi, soprattutto per le reti di rappresentanza dei soggetti economici e sociali, è quella di allestire il “meeting point” tra queste tendenze. Senza un’adeguata intermediazione è concreto il rischio che il movimento ascendente dei soggetti locali rimanga a metà del guado perché non dispone di tutte le risorse necessarie per espandersi e radicarsi in altri ambiti secondo un modello “multi locale”. Ma al tempo stesso se l’economia globale non si fa anche coesiva attraverso pratiche volontarie ed anche grazie a forme di regolazione pubblica e di “controllo sociale” da parte delle comunità locali, il rischio è che radicalizzi ulteriormente la sua capacità di estrarre e capitalizzare valore lasciando solo le briciole ai territori (oltre a molte esternalità negative).

Una bella sfida quindi che sollecita i corpi intermedi ad allestire una sorta di piano mezzanino dello sviluppo. Come lo stanno facendo? I segnali sono diversi (e in parte contraddittori). Ad esempio si ristrutturano verticalmente attraverso fusioni e integrazioni su nuove scale territoriali (basti pensare, ad esempio, a quel che sta succedendo alle banche di credito cooperativo), oppure cercano di operare  trasversalmente rispetto alle linee che separano come silos le istituzioni e le politiche tradizionali: tra pubblico e privato, profit e nonprofit, produzione e consumo, digitale e analogico, ecc.

Verticalità e trasversalità agite con un medesimo obiettivo: rendere più smart le comunità territoriali perché sappiano crescere oltre il piccolo è bello per interloquire con dinamiche socioeconomiche non native. Non è un equilibrio facile da realizzare: basta poco per sradicarsi dai contesti sociali perdendo legittimità ed anche competitività. E altrettranto concreto è il rischio di svolgere in modo più o meno consapevole il ruolo di facilitatori della funzione estrattiva del capitalismo. Ma una cosa certa: è dalla ricerca di una nuova “terzietà” di questi attori che si può provare a costruire lo spazio per un nuovo paradigma sociale ed economico.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.