Economia civile

I rischi sottovalutati delle sofferenze bancarie

13 Marzo 2017

Parola d’ordine della BCE: la pulizia di bilancio per le banche italiane che devono purificarsi dei crediti in sofferenza. Cosa sono i crediti in sofferenza? Sono quei crediti elargiti, dietro corrispettivo, dalle banche a soggetti che sono, ormai, diventati insolventi. Cosa significa NPL? Non performing loans, ovvero crediti non performanti, detti anche problematici vale a dire una parte dei suddetti crediti insoluti.

In Italia, vi è una vasta gamma, di crediti deteriorati. Possono suddividersi secondo il criterio della gravità dello stato di insolvenza e della scadenza degli stessi (il tempo passato dall’ultima rata pagata): crediti scaduti, ristrutturati, incagli e — appunto — sofferenze. Recenti statistiche internazionali, eseguite da PWC al servizio di imprese, hanno misurato che, alla fine del mese di giugno del 2016, vi erano inadempienze nelle banche italiane, senza alcuna garanzia di ipoteca, per un importo pari a 123 miliardi di euro. Oltre 200 miliardi di euro sono classificati crediti a sofferenza (cioè in gran parte irrecuperabili). Questi 200 miliardi sono stati ridotti, come valore netto nei bilanci delle banche creditrici ad 84 miliardi di euro.

Nei fatti queste sofferenze rendono fragile il nostro sistema bancario e finanziario, con inevitabili crolli in borsa. La sfiducia del mondo bancario, rispetto al totale recupero dei crediti deteriorati, è un peso per l’economia reale. Viene sacrificato, per il conseguente credit crunch, il credito bancario, indispensabile per far ripartire imprese ed economia locale e nazionale. Le banche hanno dovuto, per non fallire, ricapitalizzarsi mettendo a rischio i depositi dei clienti e comunque riducendo “ a carta straccia” il valore delle azioni in mano ai risparmiatori .

La crisi, sta esponendo a gravissimi rischi, il mercato del credito. Tra questi rischi, vi è l’imminente pericolo di una vera e propria “colonizzazione” messa in atto dalla finanza straniera. È stata presentata una proposta di legge su questo argomento. Tale proposta, sta avendo, positivi riscontri. Difatti dello stesso orientamento, sembra essere Mediobanca, che alla cessione dei crediti deteriorati a terzi, reputa sia preferibile la gestione in house delle sofferenze.

Ma questo mercato delle sofferenze e degli NPL, di cui tanto si parla, non è forse troppo sopravvalutato dai mercati? Il modo bancario e finanziario sembra sottostimare i rischi legali e i rallentamenti che possono provocare le acute eccezioni poste in essere da studi legali specializzati nella materia del contenzioso bancario, a difesa dei debitori. Si pensi, poi ai vari contenziosi non ancora attivati, la cui stima deve comunque essere valutata, per chi farà la due diligence per la gestione dei propri NPL. Si pensi alle cause sia civili, sia penali, anche pendenti, sull’usura bancaria dei crediti deteriorati ed anche alla problematica sui contratti cosiddetti monofirma. Sull’argomento, ormai la Cassazione ha espresso un orientamento, consolidato sui moduli privi di firma delle parti.

Cosa sono i contratti monofirma? Sono quei contratti per adesione redatti dalla banca, firmati solo dal cliente e che non possono considerarsi validi, anche perché le banche e le società di recupero del credito, che succederanno nei rapporti, utilizzeranno questi moduli, mai firmati dal precedente istituto.
Né può trovare applicazione l’argomentazione, secondo cui, in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta, come requisito di validità, il contraente che non abbia materialmente sottoscritto l’atto negoziale, può validamente perfezionarlo producendolo nel corso del giudizio, al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente. I “contratti” di cui si discute, che verranno prodotti in corso di causa, dai nuovi creditori, risulteranno, molto spesso, monofirma, con la conseguenza che poiché non vi è la prova della formazione del consenso dovranno ritenersi, non perfezionati. Tale orientamento è stato confermato, in maniera consolidata, con ben quatto sentenze della Cassazione, tutte pronunciate nella primavera del 2016: – la n.5919 del 24 marzo, la n.7068 dell’11 aprile, la n.8395 del 27 aprile e la n.10516 del 20 maggio – dalla sezione prima della Corte di Cassazione, che in tema di contratti bancari, privi della sottoscrizione delle banche, (mutando la precedente direzione) ha stabilito, che la produzione in giudizio, da parte dell’istituto di credito, di un contratto sprovvisto della propria sottoscrizione e recante unicamente quella del cliente, non prova il perfezionamento del consenso tra le parti in forma scritta.

La nuova posizione assunta dalla Suprema Corte, si è espressa anche sulla possibilità di ritenere o meno provata, la volontà negoziale dell’istituto di credito da comportamenti concludenti documentati da contabili, ordini di esecuzione, estratti conto ecc. prodotti in giudizio. Sul punto il Supremo Collegio afferma oggi che comportamenti concludenti non possono validamente dar luogo alla stipulazione di un contratto formale: l’eventuale documentazione depositata (contabili, attestati di eseguito, estratti conto) non possiede – afferma la Corte – i caratteri della “estrinsecazione diretta della volontà contrattuale”. In sintesi, con le recenti pronunce la Cassazione sembra aver voluto assumere una posizione di maggiore tutela del correntista/investitore (il contraente più debole del rapporto banca-cliente). Inoltre per il Supremo Collegio, la nullità del contratto per mancanza di forma scritta rappresenta una nullità c.d. “di protezione” che può essere fatta valere solo dal cliente se ritenuta a suo vantaggio (art. 127 TUB e art. 23 TUF).

L’avvocato Biagio Riccio, esperto di diritto bancario, societario e fallimentare, ha messo in evidenza, il legal risk, descritto e soprattutto, in un interessante articolo, ha dato una descrizione chiara di un mercato, quello collegato ai crediti problematici, che s’interseca con il mondo delle aste immobiliari, nel quale si possono ritrovare tutte , “le armi estorsive di diritto messe a disposizione del ceto bancario”.

Un altro articolo fornisce i dati quantitativi della ricaduta degli NPL sui pignoramenti immobiliari che, nel giro di pochissimi anni raggiungeranno la cifra mostruoso di 450.000. La soluzione più efficace per riequilibrare il sistema bancario in sofferenza e per evitare questo massacro sociale potrebbe essere proprio la proposta di legge sopracitata. In sostanza, le banche, anziché ricorrere al mercato degli NPL e subire una perdita così importante, con un livello massimo di recupero pari alla metà del valore iscritto a bilancio, potrebbero, attivare una sorta di “condono bancario”, proponendo ai singoli debitori di far fronte al loro debito in misura ridotta, pagando ciascuno la propria quota di debito di quegli 80 miliardi di euro. Una remissione del debito, con cui il debitore potrebbe estinguere, con effetto tombale, la sofferenza con il proprio istituto e salvare la propria abitazione, pagando il circa 10% o 20% del suo debito. Dall’altra parte, le banche subirebbero la stessa perdita che deriverebbe dalla cessione dello stesso credito, ma senza aver trasferito all’estero un guadagno speculativo (spesso sottratto anche all’Erario italiano) realizzato dai fondi acquirenti.

I benefici: Gli istituti di credito, subirebbero perdite economiche inferiori a quelle conseguenti alle vendite agli investitori esteri; le banche libererebbero, così le sofferenze dai bilanci, senza aumenti di capitale; si ridurrebbero i contenziosi legali che intasano i tribunali; il sistema bancario ritornerebbe a fare credito; l’economia ripartirebbe e si riconquisterebbe la fiducia nelle banche da parte dei risparmiatori.

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