Economia civile
Bruni: “Bravi sul gioco d’azzardo, buone intenzioni e confusione sul lavoro”
Da anni l’economista accademico Luigino Bruni, esponente di punta dell’economia di comunione e del movimento SlotMob, conduce una battaglia senza quartiere contro l’industria dell’azzardo. Una battaglia ferma e irriducibile, che lo ha portato in qualche caso a polemizzare duramente persino con parte del mondo cattolico più disponibile a sperimentare compromessi in nome di un’ipotetica “educazione al gioco responsabile”. Ora, lunedì sera, su tutto questo business che in Italia vale circa 100 miliardi è piombato un macigno, dopo anni di totale “laissez faire”: il divieto di pubblicità di giochi e scommesse su qualsiasi mezzo di comunicazione, inserito su iniziativa del ministro Luigi Di Maio, nel “Decreto Dignità”.
Professor Bruni, cosa ne pensa del divieto di pubblicità, anche indiretta, e su qualunque mezzo, introdotta nel decreto dignità approvato dal Governo?
Questo divieto lo chiediamo come società civile e come movimenti contro l’azzardo da cinque anni. Abbiamo fatto manifesti, preparato documenti, pubblicandoli su tanti giornali ma evidentemente abbiamo incontrato sottosegretari con la delega al gioco con i quali non c’era nulla da fare o quasi. Siamo riusciti a fare solo un piccolo passo riducendo le pubblicità sulle tv generaliste in una certa fascia oraria ma niente di più.
Siete soddisfatti del lavoro del Governo contro la ludopatia?
È certamente una buona notizia e bisogna ringraziare Di Maio e il Governo, al tempo stesso però noi sappiamo che non è sufficiente. Si tratta di un passo nella direzione giusta ma il vero nodo dell’azzardo in Italia sono le slot machine nei bar, l’invasione di gratta e vinci dovunque. Si tratta di vere e proprie induzioni all’azzardo. Dagli autogrill, alle edicole, in ogni luogo si è bombardati da gratta e vinci e nei bar le slot machine sono ancora troppe. Queste due cose vanno assolutamente combattute.
Quali saranno le iniziative su cui si impegnerà con il movimento Slot Mob?
Noi punteremo presto sul tornare indietro, perché vent’anni fa queste cose non c’erano nei bar e infine punteremo a far togliere l’appalto alle multinazionali. Il vero problema è l’incentivo. Mi spiego, finché l’appalto dell’azzardo (perché io non lo chiamo gioco d’azzardo, l’azzardo non è un gioco ma un’industria) e delle scommesse è in mano a multinazionali che con i miliardi di utili che fanno finanziano anche le dipendenze di domani non risolveremo il problema. Massimi esperti disegnano videopoker, slot machine per sviluppare dipendenze, il consumatore addicted è quello perfetto in questo sistema, perché consuma sempre di più. Sisal o Lottomatica devono incentivare l’azzardo perché è il loro mestiere e così non se ne esce, noi dovremmo dare l’azzardo in mano allo Stato o a realtà non profit che non devono fare profitto. Il nodo è economico ed è molto importante e speriamo che si affronti un pò alla volta.
Il divieto di pubblicità è comunque arrivato oggi da un governo Lega-Cinque Stelle, mai prima. Come mai?
Questo passo è stato fatto dai Cinque Stelle perché era uno dei punti del programma e faceva parte del contratto di governo. Non è strano. La Lega non mi sembra ma i Cinque Stelle sono anni che lavorano in questa direzione in Parlamento e nelle Commissioni. Abbiamo fatto delle cose insieme. Questo governo, come quasi tutti i governi, fa delle cose pessime e delle cose ottime. Non mi stupisce. Questa manovra è una manovra giusta, un passo che andava fatto.
Peraltro nella norma è specificato che la pubblicità è vietata anche via internet, proprio oggi che proliferano piattaforme di gioco online.
È molto importante anche la realtà virtuale ma si deve tenere conto che più della metà dei giocatori che cascano in questa macchina cominciano nei bar sotto casa. Spesso si tratta di gente anziana, oppure badanti, casalinghe che neanche utilizzano tanto internet. La cosa interessante è che tutte le vincite di queste giochi finiscono dietro le macchinette, perché la gente gioca per continuare a giocare, non per vincere. È proprio una grande forma di profitto verso i poveri e la cosa è molto grave perché si tratta di persone fragili. Spesso sono persone che hanno altre dipendenze. In certe sale giochi esistono perfino spazi per far dormire i bambini di notte mentre le mamme giocano. Ne ho vista una in Sicilia e un’altra in Umbria. Questo è il mondo vero. Poi ci sono le chiacchiere di chi vuole continuare a fare soldi sui poveri ma finalmente qualcuno comincia a dire di no.
Il presidente di Sistema Gioco Italia, Stefano Zapponini, commentando il decreto ha chiesto un confronto diretto con il governo perché «la pubblicità va vietata per giochi ad alto tasso di compulsività», non per gli altri. Anche Logico, l’associazione degli operatori di gioco on line, ha sostenuto di recente di sostenere una cultura del gioco responsabile e di voler prevenire le dipendenze da gioco.
Tutti i “giochi” nei quali c’è un rischio con moneta, dalle scommesse ai gratta e vinci, possono creare dipendenza. Basta guardare oggi le ASL per capire quanta gente finisce lì per la dipendenza da gratta e vinci. Sono prodotti delle stesse multinazionali che hanno come scopo far profitti con forme di dipendenza create nelle persone. In molti paesi non c’è da anni la pubblicità dell’azzardo.
Questo signore poi dovrebbe farmi un esempio di un gioco oggi che non prevede tale rischio. Forse la tombola di Natale? Gratta e vinci, Superenalotto che oggi si gioca ogni cinque minuti, creano compulsività. Se torniamo al Totocalcio di una volta forse si può fare questo discorso, altrimenti no. Io rimpiango le scommesse sui cavalli, il gioco del lotto con la smorfia napoletana, la tombola, perché a confronto delle cose che abbiamo oggi erano giochi collettivi e comunitari e che non creavano la dipendenza che creano quelli di oggi. Qui stiamo parlando di una vera e propria industria che fa profitti solo sulla compulsività e la dipendenza invece. Sono posizioni indifendibili. Certo, se vogliamo il bene comune, altrimenti continuiamo pure a fare così.
Però Sistema Gioco Italia siglò un accordo con don Armando Zappolini coordinatore di “Mettiamoci in Gioco” (un cartello di associazioni che vanno da Libera al Conagga di Matteo Iori, dalla CGIL al CNCA, e altre) per intervenire su alcuni aspetti della materia del gioco d’azzardo.
Io contestai duramente quell’accordo. Non si può chiedere alle multinazionali e a chi fa soldi con queste cose di pensare al bene comune. L’economia, il capitalismo si chiama incentivo. Questo sistema è perverso. Sarebbe come dare la gestione delle comunità di recupero per tossicodipendenti ai trafficanti di droga. Va spezzato questo legame sbagliato, c’è poco altro da fare. La mossa di Di Maio però è seria, un vero primo passo, non un palliativo, anche se non basta.
Trova serie anche le misure per combattere il precariato, come l’intervento sui contratti a tempo determinato?
Qui sono più critico, si vede che c’è poca esperienza su come funzionano le imprese vere. Si tassa di più il lavoro precario ma non si riduce la forbice tra il reddito percepito dai lavoratori e la somma pagata dalle imprese, quindi queste manovre probabilmente si trasformeranno solo in un aumento di tasse per le imprese. Quelle che già soffrono avranno più problemi. La trovo la tipica buona intenzione che però si è tradotta male.
E la revisione della norma sulle delocalizzazioni?
Anche quella mi convince poco. Si tratta di cose che piacciono a un certo tipo di pancia del Paese. Noi però sappiamo che le imprese che delocalizzano (e non solo molte quelle che hanno preso tantissimi contributi statali) se non lo fanno chiudono, non è che rimangono in Italia. Questi interventi dall’alto che riguardano tutti senza differenze sono forme di protezionismo che non accetto. Mentre lodo l’intervento sull’azzardo, questi altri mi lasciano perplesso perché li trovo tentativi di buona volontà ma di poca conoscenza dell’economia reale.
Cosa avrebbe dovuto fare il Governo?
Questo Governo si è insediato da poco e con grandi propositi di diversità e cambiamento ma l’economia è una cosa complicata, e bisogna intervenite con meno proclami che hanno il sapore della propaganda e con più interventi mirati. A me sembra che ci sia poco rispetto per gli imprenditori, e la maggior parte sono persone perbene. L’atteggiamento pessimistico verso la classe imprenditoriale da combattere e punire non lo condivido. A volte le imprese sono obbligate a utilizzare il lavoro precario per non chiudere o a delocalizzare. L’economia non è tutto azzardo, c’è tanta gente sana che lavora e con difficoltà in tempi di crisi. Lodiamo anche le buone intenzioni, ma tra le buoni intenzioni e le buone leggi c’è una differenza che si chiama lavoro, ascolto, dialogo, fatica. Prima di cambiare le cose il governo avrebbe dovuto ascoltare di più il mondo italiano, gli imprenditori, Confindustria, le associazioni, gli stessi lavoratori.
I furbi e la gente che cerca evasioni fiscali continueranno a farlo e gli imprenditori onesti saranno penalizzati. Noi abbiamo il 90% di imprenditori onesti, prima vanno ascoltati, conosciuti e poi si deve legiferare. Quando una legge nasce da un pregiudizio antropologico poi chi ne paga le conseguenze sono gli onesti. Questa è un’antica legge economica e bisogna stare molti attenti.
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Foto di copertina Facebook Page Luigi Di Maio
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