Economia civile
Metti l’esperto nell’alleanza di scopo
Sono le reti più cool del momento. Hanno ridato vigore ad appelli ormai logori rispolverando i fasti dell’advocacy e rilanciando l’attivismo. Sono le alleanze di scopo: reti ampie che si formano intorno a istanze sociali capaci di catturare lo spirito del tempo. E quindi disuguaglianze e povertà, ma anche sviluppo sostenibile, beni comuni, innovazione sociale. Gli ingredienti di queste alleanze (o coalizioni anche se in realtà i due termini non sono proprio sinonimi) sono essenzialmente due. Il primo consiste in un mix variegato (e ben equilibrato) di movimenti “dal basso” e di corpi intermedi per essere sufficientemente agili e al tempo stesso ben piazzati nei “posti giusti” dei sistemi decisionali. Il secondo riguarda invece la presenza di esperti che sono fortemente ingaggiati rispetto all’obiettivo, anzi sono spesso questi ultimi – ricercatori e intellettuali – a giocare un ruolo chiave nella costituzione e gestione delle alleanze.
Il ruolo delle coalizioni appare piuttosto evidente: cambiare, in meglio, le politiche in una fase in cui “la politica” fatica a intraprendere un qualsiasi percorso di riforma aprendo quindi spazi di azione per queste soggettività che li occupano grazie alla loro capacità di rappresentare i problemi ed elaborare soluzioni amalgamando opzioni di valore e conoscenze scientifiche.
Ed è proprio focalizzando l’attenzione sugli esperti che è possibile comprendere meglio il funzionamento delle alleanze di scopo perché il loro impatto è legato non solo al raggiungimento dell’obiettivo in sé, ma al fatto che attraverso esso si possano innescare cambiamenti ad ampio raggio anche tra gli attori coinvolti nelle alleanze. Se ciò non avvenisse, infatti, queste esperienze si potrebbero derubricare ad attività di lobby degne di per sé ma dove a prevalere sono interessi pre costituiti e posizionamenti tattici. Le alleanze invece si basano, o dovrebbero basarsi, su una “ricombinazione dei fattori” – cioè soggetti e loro relazioni – per poter meglio individuare e perseguire gli obiettivi intorno ai quali si costituiscono.
Quali sono quindi le sfide di cambiamento che riguardano i sistemi esperti? Una domanda tutt’altro che banale in una fase in cui le competenze specialistiche e scientifiche sono oggetto di deligittimazione, mentre invece le alleanze di scopo contribuiscono a riportarle alla ribalta.
Un primo elemento riguarda il contenuto di missione delle politiche che sta riacquisendo rilevanza anche a livello mainstream. Politiche – pubbliche ma non solo – che, “grazie” anche alla pandemia, sono sempre più centrate su obiettivi di trasformazione sociale e ambientale e che quindi sono per certi versi più difficili da sfidare per coloro che, come le alleanze di scopo, procedono in direzione bottom up. Il pnrr, da questo punto di vista, è il caso più emblematico: da una parte è impegnativo riformularne radicalmente il quadro di policy, dall’altra è fin troppo facile adeguarsi trovando l’incastro giusto rispetto alle missioni prestabilite o limitarsi a un quasi scontato ruolo di “umarell” che osserva i lavori in corso valutandone l’andamento.
Il secondo elemento di sfida riguarda le modalità di produzione e condivisione della conoscenza. Le alleanze di scopo sono tali anche perché si caratterizzano per la presenza di intelligenze collettive formate non solo da esponenti della comunità scientifica ma anche da una gamma estesa e diversificata di “addetti ai lavori” – operatori e imprenditori sociali, consulenti e formatori, progettisti, ecc. – che possono, anzi che dovrebbero essere messi in grado di, contribuire alla produzione di dati e alla costruzione degli schemi interpretativi. Il carattere “rigoroso” della conoscenza risiede anche in questo approccio aperto che non sempre però viene adeguatamente coltivato privilegiando un trasferimento unidirezionale dalla sfera della ricerca a quella applicata del policy making e della progettazione. In questo caso l’esempio più calzante risiede nella consistenza assegnata da università e centri di ricerca alla loro seconda e terza missione, ovvero alle ricadute di contenuto e anche di metodo sulla formazione e nei confronti dei contesti in cui operano. Ambiti nei quali spesso operano strutture intermedie come think tank, società di consulenza e di formazione che giocano un ruolo cruciale e a volte ambivalente, in particolare per quanto riguarda il rapporto con i loro committenti e finanziatori.
La terza e ultima sfida riguarda le opzioni di valore. Il tema è vecchio quanto le scienze sociali ma periodicamente riemerge ad esempio quando si tratta di ridefinire le sfere d’influenza tra Stato, mercato e società civile. Rispetto al bilanciamento e all’interdipenza tra le sfere istituzionali non è troppo difficile che tornino a galla opzioni valoriali (ideologiche?) che prediligono un ritorno della primazia del primo, un ridimensionamento del secondo e il mantenimento di una posizione di subalternità per il terzo. Opzioni che poi si declinano secondo diversi livelli d’intensità ma che, tutto sommato, non scalfiscono un’impostazione settoriale – primo, secondo e terzo – che è anche gerarchica. Naturalmente il fatto che esistano queste preferenze non è un problema in sé, ma lo diventa quando esse si tramutano in una sorta di gabbia nella quale ricondurre i fenomeni osservati lavorando a tal fine sulle pieghe interpretative delle conoscenze disponibili che soprattutto nel caso delle scienze sociali abbondano.
Le coalizioni di scopo, nel loro formarsi e nel loro agire, dovrebbero contribuire a rimettere in discussione questi aspetti, contribuendo così a rigenerare la legittimazione sostanziale degli esperti che quindi verrebbero riconosciuti come tali nella misura in cui sono in grado, essi stessi, di cambiare il loro approccio e modus operandi. Non basta quindi imporsi per titoli formali e neanche per una veicolazione “rigorista” delle conoscenze, soprattutto quando si tratta di mettere mano a politiche come quelle sociali dove beneficiari e intermediari possono essere messi in grado di “dire la loro”.
p.s. ci sarebbe anche un ulteriore punto da approfondire ovvero il narcisismo da social network che fa “strage di ego” anche tra questi soggetti, ma questo – forse – è un altro tema.
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