Economia civile

La responsabilità del committente verso i dipendenti dell’appaltatore fallito

24 Novembre 2019

Con lo stato crescente della crisi economica e finanziaria, i lavoratori subordinati si trovano molto spesso nella condizione di non ricevere la retribuzione maturata a fronte di mesi e mesi di lavoro, con difficoltà a recuperare il credito accumulato.

Senza accorgersi, ci si trova così ad esser creditori per svariate migliaia di euro ed il debitore datoriale, è sempre più insicuro della sua solvibilità.

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 15558 del 10.06.2019, confermando le indicazioni della Corte d’Appello, afferma che, in materia di appalto, l’apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell’appaltatore non comporta l’improcedibilità dell’azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ai sensi dell’art. 1676 c.c., per il recupero del loro credito verso l’appaltatore/datore.

Tale previsione normativa  risponde, infatti, proprio all’esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell’insolvenza del debitore.

Secondo i Giudici di legittimità, si tratta di un’azione diretta, incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito.

Per la sentenza, tale situazione, non pregiudica la par condicio creditorum, non essendo irrazionale una norma che accorda uno specifico beneficio a determinati lavoratori – anche rispetto ad altri – in relazione all’attività lavorativa dai medesimi espletata e dalla quale un altro soggetto (il committente) ha ricavato un particolare vantaggio.

Ne consegue che, il pagamento eseguito dal committente agli ausiliari dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 1676 c.c. estingue, in corrispondenza della somma versata, sia il debito del medesimo committente verso l’appaltatore, sia il debito di quest’ultimo verso i lavoratori.

Anche se il datore di lavoro non fallisce, si può escutere la garanzia di un soggetto terzo affinchè questo onori il debito e paghi quanto è dovuto.

Possono beneficiare di tale procedura, solo i lavoratori degli appaltatori, ovvero i dipendenti delle ditte che svolgono il proprio lavoro in appalto.

Il legislatore con l’art. 29 del D.Lgs. 10-09-2003, n. 276, ha previsto al secondo comma, che per i crediti retributivi e contributivi inerenti le prestazioni lavorative erogate nel corso dell’esecuzione di un determinato appalto, vi sia la garanzia solidale del soggetto committente e di tutti gli eventuali subappaltatori, per un periodo di ben 2 anni dalla ultimazione dell’appalto medesimo.

I presupposti, per attivare tali garanzie sono:

  •  rapporto di lavoro  in capo a soggetto appaltatore;
  • credito di lavoro  in capo al lavoratore (e non al suo cessionario) non pagato dall’appaltatore – datore di lavoro;
  • credito maturato in esecuzione di un determinato contratto di  appalto con un definito committente;
  • richiesta al committente del pagamento  entro termine di due anni dalla conclusione dell’appalto per cui è maturato il credito.

Mentre l’art. 1676,  prevede comunque la possibilità a favore dei lavoratori di chiedere giudizialmente il pagamento delle proprie spettanze alla committenza,  – almeno entro i limiti del credito dell’appaltatore ancora esistente per le opere realizzate nell’esecuzione dell’appalto,  – il citato riferimento normativo, sancisce il termine del biennio, anche dalla conclusione dell’appalto.

Ritorna utile, nell’analisi della disciplina in essere, ricordare che l’art. 2470 del cod. civ. dispone che il debitore, risponde delle obbligazioni assunte, e quindi anche dei debiti, con il proprio patrimonio  presente e futuro.

Il combinato disposto dei citati artt. 29 della norma citata e l’art 1676 c.c,  statuiscono che a fianco della garanzia data dal patrimonio del debitore, vi è anche quella del patrimonio della committenza e di tutti i subappaltatori che si frappongono fra il datore di lavoro e la detta committenza, nella filiera contrattuale dell’appalto.

Dalla lettura del comma secondo della norma del 2003,  appare che agli enti pubblici, non sia estendibile tale responsabilità solidale nei confronti degli obblighi delle imprese che per loro hanno operato in appalto ( cfr. sentenza Cass. 29407/18)

Se il soggetto appaltante è un soggetto pubblico, non è detto che si possa godere di una maggior serenità nel ricevere le retribuzioni da parte del dipendente. Anzi, l’esclusione dell’obbligazione solidale a carico della committenza pubblica,  rende ancor più pericolosa la situazione del lavoratore che ha un datore ancorato fisiologicamente ad un interlocutore pubblico che paga tardi oramai per definizione.

E’ necessario quindi attivarsi rapidamente per fronteggiare l’insoluto datoriale perché si deve arrivare ad escutere la committenza pubblica prima che questa abbia finito di pagare, seppur tardivamente, l’appaltatore datore di lavoro. Per attivare la garanzia del codice civile, è necessaria la notifica della domanda giudiziale per congelare il pagamento delle somme dovute all’appaltatore.

Se l’ente appaltante è pubblico, si può però anticipare la richiesta giudiziale di pagamento inoltrando informazione del debito alla committenza affinché questa congeli i versamenti al datore, ai sensi dell’art. 13 del DM 145/2000 e, provveda alla liquidazione diretta delle competenze a favore del lavoratore.

(ART. 13. -“in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale dipendente, l’appaltatore è invitato per iscritto dal responsabile del procedimento a provvedervi entro i successivi quindici giorni. Ove egli non provveda o non contesti formalmente e motivatamente la legittimità della richiesta entro il termine sopra assegnato, la stazione appaltante può pagare anche in corso d’opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’appaltatore in esecuzione del contratto”)

(Il nuovo testo dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 276/2003 prevede oggi: “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonchè con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonchè i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”).

La contrattazione collettiva non può derogare a tale norma individuando metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti.

Viene inoltre eliminato il “beneficio di preventiva escussione” precedentemente previsto in favore del committente nei confronti dell’appaltatore (o dell’appaltatore nei confronti dell’eventuale subappaltatore).

Dal 17 marzo 2017, quindi, nell’ambito di appalti, qualora il datore di lavoro non paghi i propri dipendenti, o non versi i relativi contributi previdenziali ed assicurativi, il lavoratore potrà direttamente agire contro il committente.

Il lavoratore ha quindi in tal modo, la possibilità di ottenere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte ma, al contempo, tale disposizione normativa, penalizza le imprese della filiera, deresponsabilizzando il debitore principale inadempiente.

In altre parole, è prevedibile che il lavoratore preferirà in futuro – ed in assenza del vincolo di preventiva escussione – chiamare direttamente in causa le imprese della filiera più “virtuose” che il proprio datore di lavoro inadempiente.

E’ consigliabile allora per le committenti (ed anche per gli appaltatori che, a propria volta, subappaltino una parte del servizio o opera a loro affidato) prevedere nei propri contratti di appalto tutele idonee a garantire una maggiore “responsabilizzazione” dell’appaltatore, o subappaltatore, idonei a ridurre il rischio che quest’ultimo accumuli ingenti esposizioni debitorie nei confronti dei propri dipendenti e degli enti previdenziali.

Ad esempio, possono richiedersi all’appaltatore idonee garanzie fideiussorie, ovvero può concordarsi l’accantonamento di una quota del corrispettivo per eventuali inadempienze dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti, o ancora è possibile subordinare il pagamento di quote di corrispettivo alla prova dell’avvenuto pagamento di retribuzioni e contributi.

Non è sicuro che tali interventi possano “salvare” il committente nel caso di richieste da parte del lavoratore relativamente a prestazioni lavorative, o comunque a richieste di differenze retributive che non risultino da busta paga e, dunque, da accertarsi in giudizio.

Con il decreto legge, il litisconsorzio non è più necessario con il debitore principale, la chiamata in causa sarà rimessa alla discrezionalità del Giudice.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza 4309/2010, ha ritenuto che nei casi di litisconsorzio facoltativo la chiamata in causa del terzo resta un provvedimento discrezionale del giudice.

In conclusione, pur rendendo evidentemente più semplice per il dipendente, recuperare eventuali retribuzioni non corrisposte, la normativa “deresponsabilizza” il diretto responsabile.

Infatti, la disposizione lascia all’autonomia negoziale delle imprese, il compito di ristabilire un corretto equilibrio tra le esigenze del lavoratore e quelle delle imprese committenti.

Ciò dovrebbe far sì che, chiamato ad onorare i propri debiti sia comunque, in prima istanza, il datore di lavoro in quanto vero soggetto inadempiente.

Scarica le sentenze della Cassazione

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