Economia civile
Il Patto Marciano
Evoluzione del patto commissorio dal diritto romano ad oggi.
La tutela marciana è stata riconosciuta legittima dalla giurisprudenza che ne ha colto la diversa natura rispetto al patto commissorio dichiarato nullo ai sensi dell’art. 2744 c.c.
Per definire l’ontologia giuridica dei due istituti, è necessario compiere un excursus sino alla cospicua incubatrice del diritto odierno: il corpus juris civilis di Giustiniano.
Tra i frammenti selezionati nell’opera bizantina, vi è quello con cui il giurista Marciano descriveva la cautela al medesimo attribuita: “Potest ita fieri pignoris datio hypothecaeve ut, si intra certum tempus non sit soluta pecunia, iure emptoris possideat rem, iusto pretio tunc aestimandam; hoc enim casu videtur quodammodo condicionalis esse venditio.”
Superflue appaiono in questa sede le diatribe sui rimaneggiamenti postumi del reperto ovvero sulla effettiva datazione a epoca classica, laddove importa, soprattutto, la primigenia tutela che il giurista riconobbe al debitore contro le “asperitas” del patto commissorio. Con quest’ultimo, il creditore e il debitore stabilivano che in mancanza di adempimento dell’obbligazione, la proprietà della cosa data in pegno o ipoteca passasse direttamente al primo. Tale istituto altro non era che un calmiere donato ai creditori in cambio dell’abolizione del “nexum”, il principio sancito dalle XII tavole in forza del quale il debitore offriva in garanzia se stesso. Ciononostante, lo sviluppo della sensibilità giuridica rese anacronistico il patto, e portò alla necessità di riparametrare la ritenzione in proprietà della res a criteri oggettivi attraverso l’estimo della res, preventivo alla traslazione della proprietà (iusto pretio tunc aestimandam).
Compiendo un repentino balzo in avanti di circa duemila anni, è evidente come il patto commissorio e quello marciano animino ancora le attività degli operatori del diritto. Il codice civile odierno, all’art. 2744 c.c. cassa come radicalmente nulla la clausola che prevede la traslazione della proprietà del bene dato in garanzia in mancanza del pagamento nel termine indicato nel contratto. L’accordo diviene però legittimo laddove bilanciato dall’obbligo del creditore di versare al debitore la differenza tra il valore del proprio credito e quello del bene soggetto a stima.
Il patto marciano rappresenta, in definitiva, una tutela per entrambi i contraenti. Dal punto di vista attivo, il creditore è garantito contro l’inadempimento, dalla ritenzione della proprietà del bene conferito in garanzia; il debitore, invece, conosce il rimborso dell’eventuale differenza di valore tra il bene perso e quello del credito. Questioni non marginali, ma che meritano esami in separate sedi, sono quelle relative al momento della stima e alla potenziale violazione della par condicio creditorum.
Tornando ai giorni nostri, il tema è tornato di prepotente attualità in quanto il D.L. 59/16 c.d. Decreto “Sofferenze”, ha introdotto l’art. 48 bis del T.U.B. codificando in una specifica versione il patto marciano. In particolare banche e altri soggetti autorizzati a concedere finanziamenti al pubblico potranno ottenere, in caso di inadempimento, il trasferimento in proprio favore dell’immobile del debitore mutuatario concesso a garanzia del finanziamento.
Il provvedimento emanato dall’esecutivo, che strizza chiaramente l’occhio alle banche, consta nella possibilità che una volta verificato l’inadempimento, l’istituto creditore deve notificare all’impresa debitrice la dichiarazione di voler far scattare gli effetti del trasferimento di proprietà. Trascorsi 60 giorni il creditore chiederà quindi al Tribunale di nominare un perito che effettui la stima dell’immobile e comunichi il valore agli interessati. In tal momento si concretizza il passaggio di proprietà dal datore di ipoteca alla banca, sempre che il valore sia inferiore al debito. Se invece è superiore il passaggio avverrà nel momento in cui la banca corrisponderà al debitore la differenza tra il valore dichiarato dalla perizia e il debito.
Il gravissimo vulnus del regolamento consiste nella mancata previsione della tutela giurisdizionale e il conseguente concreto pericolo che le banche possano fagocitare senza remore i beni delle imprese finanziate, costringendole sempre di più nelle proprie tenaglie o in quelle, in casi ancora più gravi, degli usurai.
Appare davvero strano che il Legislatore, in sede di conversione, non abbia emendato il decreto legge prevedendo la tutela giudiziale successiva alla dichiarazione volitiva degli effetti di trasferimento da parte del creditore. Le uniche accortezze concesse al debitore consistono nell’allungamento dei tempi dell’inadempimento che passano da sei a nove mesi. Specificamente, è necessario che il mancato pagamento si protragga da oltre nove mesi, ma nel caso in cui alla scadenza della prima delle rate non pagate il debitore abbia già rimborsato il finanziamento in misura pari ad almeno l’85% della quota capitale, il periodo di inadempimento è elevato a dodici mesi.
Appare, francamente, una tenue foglia di fico che dissimula in maniera infelice la chiara esigenza di sacrificare la tutela delle imprese a quelle delle banche e degli altri poteri forti.
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