Economia civile

Il lunedì è un buon giorno per morire: l’emergenza vittime sul lavoro

27 Giugno 2019

Aumentano ancora i morti sul lavoro. Nel 2018, stando al Rapporto Inail presentato ieri mattina alla Camera, si sono contati 704 infortuni mortali, con un aumento del 4,5% rispetto al 2017, di cui 421, pari a circa il 60% del totale, avvenuti “in itinere”, cioè lungo in tragitto casa-lavoro e viceversa. Complessivamente, le denunce di infortunio mortale sono state 1.218 nel corso dell’anno, mentre sono già 391 quelle registrate nei primi cinque mesi del 2019. Rispetto al 2017, le denunce di infortunio mortale sono risultate in crescita del 6,1%. Infine, le malattie professionali sono state circa 59.500, il 2,6% in più rispetto all’anno precedente.

Troppo importante e delicato l’argomento, obbliga ad un percorso decisionale immediato più che essere affidato alla retorica e alle dichiarazioni di rito.

Anche le decretazione d’urgenza sembrano a questo punto superflue.

Abbondano infatti gli strumenti normativi, ma dopo l’escalation di incidenti mortali, siamo davvero così sicuri che la legislazione vigente, sia applicata e coerente con le condizioni di lavoro applicate dappertutto?

La spiegazione non è semplice, proprio perché ci troviamo davanti ad un complesso intreccio di fattori organizzativi, culturali e comportamentali, che forse, una legge, qualsiasi sia, non riuscirà a risolvere o a modificare il tutto, ancora tanto e troppo radicato nei luoghi di lavoro.

Ormai siamo ad un problema drammatico.

Troppi infortuni sul lavoro, bisogna spezzare la catena di morti bianche, intervenire in modo drastico.

I cambiamenti nei modelli organizzativi della produzione e del lavoro hanno inciso in modo sostanziale alla condizione che stiamo vivendo:

–           il sempre più esteso ricorso alle esternalizzazioni e agli appalti;

–          la diffusione di tipologie di lavoro atipico,

–          la compresenza nei luoghi di lavoro di lavoratori con differenti regimi legali e contrattuali.

Ormai è chiaro che questo fenomeno non si contrasta con una miriade di norme o il ritorno ai sistemi produttivi del passato, oppure con un inasprimento delle sanzioni le quali, poco hanno a che fare con una logica autenticamente promozionale e preventiva.

Vero è, semmai, che proprio l’eccesso di regolamentazione, il formalismo giuridico fine a se stesso e i tanti vincoli culturali che ancora ci legano ad una struttura ormai superata del diritto, stanno disincentivando il sistema delle imprese – specie quelle di piccole e medie dimensioni – a realizzare quelle modifiche sostanziali, di natura organizzativa e comportamentale, che rendono effettivo il rispetto delle leggi vigenti.

La vera battaglia, per ambienti di lavoro più sicuri e decenti, passa ancora una volta dalla porta della modernizzazione dei contesti organizzativi e dei modelli gestionali del lavoro, perché vincoli obsoleti e norme inesigibili spingono inevitabilmente nella direzione degli abusi e della improvvisazione che sono alcune delle principali cause delle tante tragedie sul lavoro.

La morte sul lavoro e di lavoro non è mai una fatalità.

Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono quasi sempre il risultato di ritmi, condizioni di vita e di lavoro insicuro, dovuti all’intensificazione dello sfruttamento. Quando si verificano infortuni mortali, si parla come di “tragedie imprevedibili”, di “martiri del lavoro”, e le chiamano “morti bianche”, come se i lavoratori assassinati fossero morti per caso, senza responsabilità di alcuno, arrivando in alcuni casi a sostenere che la colpa degli infortuni sarebbe la disattenzione degli operai stessi.

L’INAIL risarcisce i morti della violenza del sistema del lavoro salariato con un miserabile vitalizio alle vedove, ai figli, o alle madri, come rimborso spese per la perdita di vite umane, e il Ministero del Lavoro, ha un fondo di sostegno per le famiglie, una piccola mancia, concedendo “ un beneficio una tantum ai familiari superstiti del lavoratore deceduto a causa di infortunio sul lavoro” basata sul numero dei componenti della famiglia, tra l’altro ridotta.

Infatti, per gli eventi verificatisi tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018, gli importi delle prestazioni – che si differenziano in base al numero dei superstiti aventi diritto – sono determinati nel seguente modo:

–          tipologia A (num. superstiti 1): importo 3.000 euro (nel 2017 l’importo era di 3.700 euro) ;

–          tipologia B (num. superstiti 2): importo 6.000 euro (nel 2017 l’importo era di 7.400 euro);

–          tipologia C (num. superstiti 3): importo 9.000 euro (nel 2017 l’importo era di 11.100 euro);

–          tipologia D (più di 3): importo 13.000 euro (nel 2017 l’importo era di 17.200 euro).

Gli importi, erogati dal Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro verificatisi nell’anno 2018, sono stati resi noti dal Decreto Ministeriale n. 10 del 25 gennaio 2019. Restano fermi, invece, le procedure, i requisiti e le modalità di accesso ai benefici del predetto Fondo.

L’art. 1, co. 1187, della L. n. 296/2006 (Manovra Finanziaria 2007) ha istituito uno specifico Fondo presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con lo scopo di fornire un adeguato supporto ai familiari dei lavoratori – assicurati e non – ai sensi del Testo Unico delle vittime di gravi infortuni sul lavoro (Dpr. n. 1124/1965). I compiti di erogazione delle prestazioni sono attribuiti all’INAIL previo trasferimento delle necessarie risorse finanziarie da parte del citato Ministero.

La prestazione è fissata annualmente con Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e varia in funzione del numero dei componenti del nucleo familiare superstite e delle risorse disponibili del Fondo.

Hanno diritto alla prestazione:

–          il coniuge (l’unito civilmente);

–          i figli legittimi, naturali, riconosciuti o riconoscibili, adottivi, fino al diciottesimo anno di età;

–          i figli fino a 21 anni, se studenti di scuola media superiore o professionale, a carico e senza un lavoro retribuito;

–          i figli fino a 26 anni, se studenti universitari, a carico e senza un lavoro retribuito;

–          i figli maggiorenni inabili al lavoro.

In mancanza di coniuge (l’unito civilmente) o figli, subentrano:

–          i genitori, se a carico del lavoratore deceduto;

–          i fratelli e le sorelle, se conviventi e a carico del lavoratore deceduto.

Possono beneficiare della prestazione anche i lavoratori non assicurati dall’INAIL, come ad esempio i militari, i vigili del fuoco, le forze di polizia, i liberi professionisti, ecc.. Sono compresi, inoltre, i superstiti dei soggetti tutelati ai sensi dell’assicurazione contro gli infortuni in ambito domestico (L. n. 493/1999). Per i superstiti di lavoratori soggetti alla tutela assicurativa obbligatoria ai sensi del Dpr. n. 1124/1965 e della L. n. 493/1999 è prevista, unitamente alla prestazione una tantum, anche un’anticipazione della rendita a superstiti, pari a tre mensilità della rendita annua calcolata sul minimale di legge.

La perdita di vite umane nel processo produttivo per molti è considerata fisiologica, al massimo un aumento dei costi dell’assicurazione INAIL , ciò che interessa è contenere il “fenomeno degli incidenti” sul lavoro che si traduce “purtroppo” in una perdita economica.

Secondo l’ILO ( l’International Labour Office), ogni giorno muoiono nel mondo più di seimila persone per infortuni e malattie professionali.

Le malattie professionali diluiscono le morti nel tempo, per esposizione o contatto con sostanze nocive e cancerogene nel processo di produzione.

L’amianto, in particolare, è ancora il primo responsabile della morte di 100.000 persone l’anno nel mondo (più di 5000 nella sola Italia).

Negli ultimi due anni, le morti sul lavoro sono in aumento.

Il rapporto INAIL 2019 denuncia una crescita di morti sul lavoro all’incirca del 7,5% rispetto al 2018, fino al mese di aprile. I dati evidenziano sempre più quale sia il costo di questa tragedia, più che la perdita di vite.

I dati lasciano intravedere anche quest’anno il superamento dei morti rispetto all’anno scorso. Dietro ai numeri e alle aride cifre, ci sono affetti recisi e drammi familiari, persone che vivono con dolore la scomparsa dei loro cari, un dolore che nessun risarcimento economico potrà mai alleviare.

Ogni tanto succede che i responsabili delle morti di lavoratori vengono condannati, ma non si è mai visto in Italia al momento, un colpevole di omicidio colposo andare in galera.

I morti sul lavoro sono ormai entrati nella nostra logica, quasi fossero incidenti di percorso inevitabili e costi necessari nella ricerca del profitto.

Ma in una società che si professa in evoluzione, rispetto a tutti i diritti umani, dove si produce per soddisfare i bisogni, trascurando quasi il profitto, si deve necessariamente mettere i lavoratori e la vita umana al primo posto mettendo al bando gli infortuni sul lavoro.

Intanto, sul fronte del bilancio, l’Istituto di assicurazione ha chiuso con un attivo di 1,8 miliardi di euro. Risorse che dovrebbero essere impiegate per «aumentare le prestazioni agli infortunati». (to be continued!)

 

Decreto Ministero Lavoro importi beneficiari fondo vittime

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