Economia civile

L’industria è 4.0: anche la cooperazione deve diventarlo

18 Settembre 2017

Pubblichiamo questo contributo di Mattia Granata (Fondazione Ivano Barberini) e Paolo Venturi (AICCON) in vista dell’incontro “Cooperare, includere e innovare. Le regole del gioco del platform cooperativism” che Innovare per Inlcudere contribuisce ad organizzare il prossimo 28 settembre a Milano. L’iniziativa sarà introdotta da un intervento di Trebor Sholz, attivista e docente di Culture & Media alla New School di New York.

 

La combinazione tra diffusione massiva delle nuove tecnologie, globalizzazione e grande crisi, secondo un dosaggio e rapporti causali che impegneranno gli studiosi per decenni, ha prodotto una definitiva cesura nell’evoluzione della storia economica, segnando l’avvendo di una nuova economia, dai profili, protagonisti e confini ancora incerti, al momento indicata come “4.0”.

Il cosiddetto “4.0”, è una definizione sintetica ed efficace. Si parla ormai di industria 4.0, di lavoro 4.0, di agricoltura 4.0, e così via: recentemente si è aggiunta la “cooperazione 4.0”.

Da sempre, è  la tecnologia che travolge le “strutture” sociali ed economiche , le trasforma e le obbliga a modernizzarsi. Naturalmente, questi processi non sono indolori e, soprattutto, non sono mai neutri, sono per definizione ambivalenti. La tecnologia e le sue conseguenze dirette non sono umane, la sua diffusione non produce nè giustizia, ne equità, nè uguaglianza e nè, soprattutto, ipso facto un diretto miglioramento nella vita delle persone; anzi.

Le innovazioni producono trasformazioni e nei grandi cambiamenti la storia ci insegna che sono i soggetti più vulnerabili a pagare il prezzo più alto.

Ecco perchè dopo la rivoluzione industriale, nel corso dell’ottocento, un secolo di profonda modernizzazione e di profonda ingiustizia, i lavoratori ora precari, che non potevano consumare, lavorare, abitare, inventarono le cooperative: un differente modello di impresa per loro utile ad entrare nel mercato in forma associata, democratica e, soprattutto, competitiva.

Questi esperimenti – ed altri falliti – si fecero movimento sociale: “movimento”, perchè avevano la tempestività e il coraggio di cavalcare il fronte più innovativo della storia; e “sociale”, perchè operavano quotidianamente per temperare le conseguenze dirette di questi processi epocali, sulla vita delle persone, delle famiglie, delle comunità.

I movimenti sociali ed economici nacquero per contribuire a gestire i processi di cambiamento, per codeterminarne il corso, per eliminarne gli squilibri, per rendere più umane le conseguenze della tecnologia.

Una certa idea di progresso – economico e sociale – predicato e praticato per un secolo e mezzo, era il risultato della combinazione tra l’innovazione della rivoluzione industriale e l’innovazione dei principi e valori di democrazia economica.

Un progresso fatto di imprese efficienti nel mercato che non producevano per il profitto, ma per raggiungere  uguaglianza, solidarietà, benessere e cittadinanza per gli esclusi della modernizzazione e del mercato capitalistico. In sintesi: dalle conseguenze della macchina a vapore nacque l’alternativa cooperativa.

È più chiaro, ora, perchè è necessaria oggi, all’indomani della rivoluzione tecnologica che ha prodotto la globalizzazione del capitale finanziario, la crisi mondiale e il moltiplicarsi mostruoso delle diseguaglianze, una cooperazione 4.0?

È fondamentale capire, e il movimento cooperativo lo sta metabolizzando, quanto e come il modello di impresa cooperativa tradizionale possa adeguarsi e aderire alla attuale realtà della produzione, del lavoro e dei mercati.

Il tema è centrale, non solamente per l’efficientamento, ma per l’evoluzione stessa della cooperazione, e agisce su tre dimensioni: le trasformazioni dei meccanismi di produzione del valore; l’innovazione aperta; e, infine, la modificazione delle forme del lavoro. La sfida è alta, ed evidentemente impegna la cooperazione  non solamente sul piano tecnologico ma pure culturale ed operativo, tenendo conto di alcuni punti fermi: innanzitutto, la cooperazione, impresa tra pari con una naturale tendenza a farsi e fare rete, è già un piattaforma naturale e il suo modello di produzione del valore è il paradigma a cui il for profit, razionalmente o inconsciamente, adattandosi all’evoluzione di mercati e culture, sta tendendo; inoltre, la cooperazione esprime già, poichè ha intrinseca una forte cultura e capacità adattiva, esperimenti, innovazioni e percorsi paradigmatici che possono avere valenza “segnaletica” per settori e imprese. Queste esperienze vanno rese esplicite ed in particolare va reso esplicito e condiviso il pensiero retrostante, l’idea d’innovazione aperta e le innovazioni dello scambio mutualistico tra pari, tra soci; infine, la cooperazione che si apre alla inevitabile trasformazione  che la competitività richiede,  deve immaginare percorsi e strumenti di accompagnamento per il cambiamento dell’esistente, ossia reingegnerizzare gli strumenti di cui dispone (educazione imprenditoriale, servizi, percorsi formativi, strumenti di finanza, e così via) finalizzandoli a diffondere modelli, esperienza, e cultura dell’innovazione. Il cosiddetto platform cooperativism, per esempio, ha richiamato immediatamente in luce i molti nessi che la digitalizzazione apre nell’incontro con il sistema cooperativo odierno e, quindi, l’esigenza di ampliare la riflessione.

D’altra parte, questo processo avviato e condotto dalla cooperazione organizzata, dovrebbe avere caratteri di grande interesse anche per il contributo e supporto che può fornire a consolidare  processi di innovazione economica, sociale, culturale che la nuova economia post crisi ha diffuso. Del resto, le esperienze esistenti testimoniano che, effettivamente, tale modello di impresa sorto in altre condizioni per coniugare efficienza e socialità, anche oggi è in grado di esprimersi sia rispetto alle logiche dei mercati sia delle comunità.

Naturalmente, occorre un processo di “scambio” culturale e open knowledge: da un lato, infatti, la cooperazione deve aprirsi, lasciarsi osservare, studiare, conoscere ed eventualmente contaminare; e, dall’altro lato, occorre che un eventuale interesse nei confronti di questo fenomeno, sovente targato di tradizionalismo, si esprima curiosamente. È innanzitutto necessario, infatti, sostenere la elaborazione di una “cultura” condivisa che contenga la attualizzazione del punto di vista cooperativo all’incontro con i fenomeni di innovazione tecnologica e innovazione sociale, ora in corso; ossia come questi possano essere interpretati, a partire dalla specifica identità cooperativa, in una cultura connessa al presente dei fenomeni sociali ed economici.

Per fare questo, oltre a delimitare in un perimetro condiviso la lettura e l’interpretazione di tali fenomeni, è necessario partire dalle esperienze già condotte, anche in via sperimentale o embrionale, da cooperative e sistemi associativi, sia nel caso che questi siano pervenuti a un buon fine sia al fallimento, favorendo l’emersione delle pratiche di successo o di insuccesso, che possano fungere da testimonianza, esempio, incontro; individuando luoghi di contaminazione e attrazione; favorendo processi di ricerca, verifica e implementazione progressiva sulla cultura in materia.

L’idea di fondo è che, data la novità di questi fenomeni, l’analisi sull’esperienza cooperativa,  possa dare vita ad un processo aperto alla visibilità che chiama a raccolta forze e contributi circostanti e interessati; e che, quindi, possa svilupparsi una sorta di “cantiere aperto” della “cooperazione 4.0”, in cui un sistema imprenditoriale mostra i propri limiti, ma pure gli sforzi fatti per adattare un modello che si ritiene funzionale ai processi ora in atto, e pure, eventualmente, a forme “ibride” di promozione economica e sociale.

Poichè l’innovazione non ha limiti, infatti, potrebbe essere che forme e modelli nuovi di strumenti di azione economica possano sorgere dall’interazione delle forze esistenti; è utile che un secolo e mezzo di esperienza in materia di autorganizzazione economica e condivisione sociale, non siano trascurati senza valutare con attenzione quanto di attuale vi possa essere. Lo è certamente per chi ritiene necessario promuovere, organizzare, rappresentare e dare voce a forze economiche e sociali che vedano nell’innovazione non una mera occasione di lucro, ma di miglioramento della vita di persone e comunità, presenti e future.

 

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.