Economia civile

Dal 31 ottobre la nuova “dignità” del lavoratore in somministrazione

12 Ottobre 2018

L’originaria disciplina contenuta nel Decreto legge n. 87 del 2018, cosidetto “decreto dignità”, è stata profondamente ritoccata in sede di conversione con la L. n. 96/2018, la quale ha consentito di mitigare alcuni potenziali effetti perversi della norma che tante critiche aveva ricevuto da parte degli operatori giuridici per quella sostanziale assimilazione tra contratto a tempo determinato e contratto di somministrazione, al quale si applicano, quindi, le norme in materia di contratto a tempo determinato, con le uniche eccezioni per le norme contenute negli articoli 21, comma 2, 23 e 24:

  • il rispetto del c.d. “Stop & Go” in caso di rinnovo del contratto a tempo determinato (pari a 10 giorni se il primo contratto era inferiore a 6 mesi, o 20 giorni se il contratto era superiore ai 6 mesi);
  • le norme in materia di numero complessivo di contratti a tempo determinato;
  • diritti di precedenza.

Al rapporto di lavoro tra Agenzia e lavoratore somministrato si applica il nuovo art. 19, che stabilisce che la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato “a-causale” possa avvenire solo ed esclusivamente per un periodo di durata non superiore ai 12 mesi. Il contratto potrà avere una durata superiore ai 12 mesi ed entro i limiti dei 24 mesi, solo in presenza delle seguenti causali:

  • esigenze temporanee ed oggettive, estranee alla ordinaria attività;
  • ragioni sostitutive;
  • esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili della attività.

Il comma 1-ter introdotto all’art. 2 del D.L. 87/2018 da parte della legge di conversione, afferma che le causali previste dal nuovo art. 19 comma 1, in caso di ricorso al contratto di somministrazione di lavoro, si applicheranno solo all’utilizzatore, con implicazioni pratiche piuttosto dubbiose nell’ipotesi di somministrazione superiore ai dodici mesi.

Prima, le causali erano inserite esclusivamente nel contratto commerciale, ciò implicherà comunque una serie di effetti negativi in capo al vero titolare del rapporto, vale a dire l’Agenzia di somministrazione, che dovrà valutare attentamente con il cliente le ragioni giustificatrici dell’eventuale proroga o rinnovo del contratto di somministrazione per un periodo superiore ai 12 mesi.

Per quanto concerne le proroghe, l’art. 34 comma 2 del D.lgs. 81/2015 il quale non è stato riformato, prevede l’esclusione dell’applicazione dell’ art. 21 (Proroghe e rinnovi) del D.lgs. 81/2015 al rapporto a tempo determinato tra somministratore e lavoratore da inviare in missione.

Il comma 02 all’art. 2 del D.L. 87/2018, stabilisce una nuova percentuale di utilizzazione dei lavoratori somministrati, non potrà superare complessivamente il limite del 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti. Rimarrà in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori in stato di mobilità, la cui inclusione da parte del legislatore appare superflua tenuto conto della cancellazione delle liste a partire dal 1° gennaio 2017,  di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto.

Infine il comma 1-bis della legge di conversione, rintroduce il reato di la somministrazione fraudolenta, fattispecie che si realizza quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore. In questa fattispecie si realizza una ipotesi di responsabilità solidale, con il somministratore e l’utilizzatore che verranno puniti con la pena dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione fraudolenta. Sul piano operativo, la norma appare di limitata applicazione perché il reato è configurabile solo in presenza di un dolo specifico.

I correttivi mirano a limitare il ricorso al contratto, ritenuto come strumento eccezionale e per questo sono stati introdotti limiti nel caso di somministrazione a tempo determinato. L’articolo 38-bis ha quindi il chiaro scopo di prevenire situazioni di grave irregolarità, come indica la norma, in rubrica “Somministrazione fraudolenta” che non rappresenta una disposizione di assoluta novità nell’ambito dell’apparato sanzionatorio relativo alla somministrazione di lavoro.

Viene riproposto quanto già recitava l’art. 28 del D. Lgs. n. 276/2003, abrogato, a decorrere dal 25 giugno 2015, dall’art. 55, comma 1, lett. d), D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

L’art. 38-bis rafforza le sanzioni già previste dall’art. 18 del D. Lgs. n. 276/2003.

E’ significativo evidenziare le difficoltà di chi è chiamato ad applicare le norme per due ragioni:

  • La continua modifica della legislazione;
  • L’applicazione delle norme in combinato disposto.

In materia di sanzioni, nel caso in esame, abbiamo ricordato come il legislatore è intervenuto nel 2015 col decreto legislativo n. 81/2015, ma poi anche col decreto legislativo n 8/2016 ed ora con la legge n. 96/2018. Inoltre, le norme richiedono una lettura in combinato disposto peraltro talvolta senza un esplicito rinvio. Come abbiamo visto la disciplina introdotta dall’articolo 38-bis si aggiunge a quella dell’articolo 18 del D. Lgs. n. 276/2003. Quest’ultima norma si occupa dell’apparato sanzionatorio relativo sia ai soggetti che esercitano attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione di personale e supporto alla ricollocazione professionale, nonché ai casi relativi all’utilizzo delle diverse modalità di esternalizzazione del lavoro.

Nello specifico, l’articolo prevede anche sanzioni in capo al somministratore ed all’utilizzatore. Nel caso di esercizio non autorizzato delle attività di somministrazione di lavoro è prevista la pena dell’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. Qualora si accerti che risulti sfruttamento dei minori, la pena è quella dell’arresto fino a diciotto mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo.

Per l’utilizzatore che ricorre alla somministrazione da soggetti non autorizzati, o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la pena dell’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Anche in questo caso, in presenza di sfruttamento dei minori, la pena è quella dell’arresto fino a 18 mesi e l’ammenda è aumentata fino al sestuplo.

Vi è la necessità di considerare che il 6 febbraio 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 che ha introdotto disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67, applicabile anche alla disciplina sanzionatoria relativa alla somministrazione di lavoro. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è intervenuto sugli effetti relativi all’apparato sanzionatorio in materia di lavoro con la circolare 5 febbraio 2016, n. 6. Nello specifico, relativamente alla somministrazione di lavoro illecita/abusiva, l’ammenda fissata dall’art. 18, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 276/2003 si applica tenendo conto dell’art. 1, comma 6, del citato D. Lgs. n. 8/2016. Tale norma dispone che “la somma dovuta è pari all’ammontare della multa o dell’ammenda ma non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 né superiore a euro 50.000”.

Nel caso di somministrazione illecita/abusiva ed utilizzazione illecita/abusiva, l’illecito non è diffidabile e l’ammenda per l’originario reato era pari ad euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro.

Tornando all’art. 38-bis, sul piano operativo, la norma non appare di facile applicazione, salvo plateali casi di accertato grave abuso dell’istituto. Infatti, per la comminazione della sanzione non è necessaria solo la sussistenza della condotta prevista, ma anche l’esistenza di un dolo specifico.

Dunque la sola elusione delle norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore, non è sufficiente, ma è necessario attestare altresì che la condotta sia posta in modo fraudolento che potrebbe emergere quando ad esempio il ricorso all’utilizzo dell’istituto sia avvenuto per superare il divieto all’utilizzo di altre forme contrattuali. L’onere probatorio rimane comunque in capo all’organo di vigilanza.

Venendo poi all’entrata in vigore della nuova disciplina, occorre prestare attenzione alla decorrenza in quanto alcune norme hanno avuto efficacia dal 14 luglio 2018 all’11 agosto 2018, periodo in cui risultava vigente il D. L. n. 87/2018; successivamente, invece, è entrata in vigore la legge di conversione n. 96/2018 che ha apportato modifiche alla disciplina contenuta nel decreto legge nonché introdotto il citato art. 38-bis.

Va precisato a tal proposito che non è previsto alcun periodo transitorio, a differenza delle modifiche relative ai contratti di lavoro a tempo determinato per i quali, proprio in sede di conversione del decreto legge, è stato previsto che le disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle contrattuali successivi al 31 ottobre 2018.

Prossima scadenza da tenere sotto controllo.

Come già abbiamo fatto constatare con il diritto di famiglia, il legislatore sembra essere in questo momento in uno stato di forte confusione, tra passato e futuro, ponendo seri rischi alla macchina della giustizia già provata da lungaggini burocratiche e dalla mancanza di risorse. Forse il disegno è quello di lasciare da parte la strada esemplificativa delle norme e della risoluzione alternativa delle controversie.

 

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