Economia civile
Il costo per l’erario della svendita degli NPL: Banca IFIS versus AMCO
Apodittica. Parte della dialettica che ha il compito di dimostrare la verità di un principio per mezzo del puro ragionamento, senza ricorrere a prove di fatto. (Oxford Languages)
Nell’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche l’amministratore delegato di Banca IFIS, Luciano Colombini, ha sostenuto: «AMCO è un ibrido tra un intervento del legislatore e un prezzo che si forma sul mercato… nel campo degli NPL rischia di distorcere i prezzi con le sue offerte». Ha aggiunto “oggi assistiamo al fatto che quando si presenta AMCO” (l’operatore specializzato interamente controllato dal MEF) tutti gli altri spariscono perché c’è un 20% di prezzo in più assolutamente ingiustificato”. Per Colombini, il fatto che «in un mercato concorrenziale e aperto debba subentrare un soggetto pubblico e praticare dei prezzi superiori e non di mercato rispetto ai soggetti privati» non facilita certo la concorrenza e non aiuta la competizione.., il problema è quando «si fanno favori anche a soggetti esteri alle spalle dei nostri concittadini contribuenti».
L’a.d. di Banca IFIS, nella sua vis polemica, tocca incautamente anche un argomento che tutti finora hanno fatto finta di ignorare: il costo fiscale per i contribuenti della cessione degli NPL.
Costo per l’erario statale (mancati incassi fiscali) degli NPL e degli UTP € 57,6 miliardi,
di cui € 23,2 derivanti dalla svendita degli NPL e UTP ai Vulture funds,
per il profitto degli operatori a “valore di mercato”
L’ex amministratore delegato di Banca IFIS, Giovanni Bossi, in un’intervista spiega bene qual è il problema reale che sta dietro questa polemica: “«… valore di recupero dei crediti deteriorati. La scommessa imprenditoriale di chi acquista NPL è infatti quella di riuscire a individuare una curva di flussi di cassa attesi che rappresenti correttamente l’economia reale futura. Ma, siccome in questo caso lo scenario economico è peggiorato e sta peggiorando sensibilmente, il rischio è che si debba intervenire su quelle valutazioni, nel caso più estremo svalutando gli NPL in portafoglio… le aspettative di recupero sono più incerte e inferiori e non soltanto di 1 o 2 punti percentuali. Ciò fa sì che il cosiddetto net present value del portafoglio, ossia il suo valore attuale netto, scenda, perciò è lecito attendersi portafogli compravenduti a prezzi più bassi”. Nello scenario che si prefigura una volta arginata l’emergenza da Covid-19, le banche saranno ancora costrette a cedere, le aziende attive nel recupero crediti potranno fare raccolta all’ingrosso, ma potrebbero sorgere “problemi di accesso al mercato obbligazionario all’ingrosso». Con annessi problemi di finanziamento o funding per i gruppi in questione che non potrebbero frazionare e vendere come nel passato ai “vulture funds” posizionati nei paradisi fiscali.
Come sempre in Italia prevale la narrazione di parte sulla spiegazione scientifica; il dibattito si svolge su di un piano apodittico in cui praticamente ognuno afferma le proprie posizioni senza fornire i dati su cui sono fondate. È necessario quindi richiamare alcuni dati essenziali che ci permetteranno di capire, non chi ha torto o ragione nella polemica ma quale è la posizione più conveniente per le famiglie e le PMI già in difficoltà prima della pandemia e quelle, altrettanto numerose, che la pandemia trascinerà nelle difficoltà economiche, creditizie, sociali.
Fra il 2008 e il 2010 la classe dirigente italiana non è stato in grado, o non ha voluto, supportare il sistema bancario con denari pubblici: gli aiuti alle banche italiane sono stati inferiori di 60 volte a quelli tedeschi, di 40 a quelli inglesi, di 17 a quelli spagnoli.
Per un maggiore senso dello stato, e anche grazie a questo intervento pubblico, i paesi europei hanno potuto dotarsi di norme civili sul sovra-indebitamento. Ad esempio tra la fine del 2011 e la fine del 2019 sono state depositate presso la Banque de France più di 2 milioni di pratiche di sovra-indebitamento, il 90% di queste domande sono state accettate (circa 1.850.000): i richiedenti sono stati giudicati debitori meritevoli. Lo stato francese è stato così capace di reinserire il 90% di queste famiglie ed aziende in difficoltà nel circuito creditizio e produttivo (non a caso sta superando l’Italia nella manifattura). In Italia le famiglie e le PMI in sofferenza sono state svendute ai “vulture funds” (fondi avvoltoio) e/o abbandonate al credito malavitoso. In Spagna, subito dopo la creazione di una Bad Bank statale, è stato varato il codice delle Buone prassi con intenti e risultati analoghi a quelli francesi.
Per l’assenza di organizzazioni o forze politiche che tutelino PMI e famiglie, in Italia il peso della crisi si è invece scaricato sulle loro spalle. Oggi in Italia gli NPL riguardano circa 2 milioni di soggetti, fra famiglie e PMI, 1 milione e mezzo hanno un debito medio di 23.000,00 euro (di cui 1 milione e centomila hanno un debito medio di 8.500,00 euro). Questa fascia, che rappresenta l’82% dei coinvolti e soltanto il 11% del debito, è letteralmente massacrata dal recupero crediti dei “Vulture funds”, i costi addebitati (spese legali, pignoramenti, cancellazioni degli stessi, interessi) superano spesso l’importo del debito originario. Sono centinaia di migliaia i pignoramenti su stipendi e pensioni, sulle automobili, sulle prime case di famiglia, sulle botteghe o sui laboratori dove la famiglia produttrice ricavava il suo reddito.
In questa situazione l’amministratore delegato di Banca IFIS pone il problema del prezzo di acquisto degli NPL vale a dire delle difficoltà che stanno sorgendo nella rendita di posizione derivante dal frazionare questi acquisti di massa, creare delle SPV sostanzialmente incontrollabili da Bankitalia e Consob, molto spesso posizionate nei paradisi fiscali, per poterle rivendere alla speculazione internazionale che guadagnerà sull’impoverimento del ceto medio italiano.
I costi per l’erario della cessione delle sofferenze bancarie
Ma il merito dell’intervento è quello di porre in luce i costi fiscali dell’operazione di cessione degli NPL.
E’ un tema che tutti preferiscono non toccare per gli evidenti risvolti politici ed elettorali che discenderebbero dal far luce su questo scandalo. Ma i costi sono importantissimi.
Da dati PWC fra il 2013 e il 2019 risulta che siano stati ceduti € 218, 5 miliardi di NPL e € 21,4 miliardi di UTP.
I mancati incassi per il fisco sono derivanti dall’abbattimento dell’imponibile delle tasse secondo le regole ordinarie, per cui è possibile portare a perdita in un unico anno le svalutazioni operate sui crediti inesigibili.
Ipotizzando che nei bilanci delle banche gli NPL fossero svalutati del 50% e gli UTP del 25%, la svalutazione di € 114,6 miliardi operata dalle banche nei loro bilanci, ha comportato un minore incasso per l’erario di € 34,4 miliardi a fronte di perdite da svalutazioni.
Gli NPL e UTP sono stati poi ceduti mediamente al 20% del valore nominale, determinando un incasso per le banche di € 48 miliardi e una perdita ulteriore di € 77,3 miliardi, con un conseguente, ulteriore, abbattimento di entrate per l’erario di € 23,2 miliardi.
In totale quindi gli NPL sono costati all’erario € 57, 6 miliardi, di cui €23,2 unicamente per il profitto degli operatori a “valore di mercato”.
I benefici di questo sacrificio di tutta la collettività nazionale andranno ai proprietari delle SPV (Vulture funds, ma anche speculatori italiani) collocate nei paradisi fiscali e, quindi, esentasse.
Concludiamo riprendendo la polemica tra Banca IFIS e AMCO, sottraendola a tutta l’apodittica dominante. Ipotizziamo, come sostiene l’amministratore delegato di Banca IFIS, che AMCO acquisti i crediti non performanti al 25% del valore nominale in luogo di quel 20% che Banca IFIS sostiene essere il “prezzo di mercato” (target ulteriormente destinato a diminuire per via della crisi covid), “prezzo di mercato” basato sul criterio di poter poi speculare sulle “sofferenze” e sui “sofferenti”
Ebbene, al di là di tutti i discorsi sull’importanza o meno di una Bad Bank statale
se tutti i crediti NPL e UTP fossero stati ceduti non a fondi ma a una bad bank di Stato,
l’erario avrebbe incassato 3,6 miliardi in più,
derivanti dal minore abbattimento dell’utile per la svalutazione dei crediti.
Con 3,6 miliardi disponibili si potrebbero finanziare i fondi salva casa, in grado di evitare la svalutazione dei valori immobiliari in corso in Italia, la perdita della casa di abitazione da parte di centinaia di migliaia di famiglie e la perdita dell’immobile strumentale da parte di decine di migliaia di famiglie produttrici che vedono andare all’asta l’immobile all’interno del quale vivono e/o producono il proprio reddito commerciale e artigianale. È significativo che anche amministratori di aziende che gestiscono NPL e il recupero di questi crediti propongano soluzioni win-win come i fondi salva casa. (nel link dal minuto 19,22).
Sarebbe pertanto indispensabile che si intervenisse “dall’alto” per ridimensionare il fenomeno delle vendite degli NPL e UTP ai fondi stranieri, per mantenere un significativo gettito fiscale, per utilizzarlo in una efficace campagna di salvaguardia dei soggetti “sofferenti”. Per evidenti ragioni sociali sarebbe infatti più che opportuno “non spogliare” le piccole imprese e le famiglie dei cespiti dati in garanzia, onde facilitare la riammissione di quei soggetti e dei loro beni nel circuito economico, favorendo così una auspicabile ripresa post COVID.
Avv. Roberto Tieghi, senior partner Studio legale-tributario Fantozzi & Associati
Dott. Giovanni Pastore, imprenditore, attivo nel volontariato
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