Cooperazione

Riequilibrare l’ecosistema perché non diventi una tecnocrazia

30 Dicembre 2022

Il funzionamento di qualsiasi organizzazione e rete, ormai non importa più di quale dimensione, specializzazione e orientamento, è sempre meno determinato da capacità interne che fanno da “motore” allo sviluppo, ma deriva, in quota crescente, dall’azione di altri soggetti che svolgono funzioni di affiancamento e sostegno. Nella loro versione più recente, e strettamente legata all’innovazione, questo complesso di attori e risorse si qualifica come un “ecosistema” che però è sempre più difficile collocare in una posizione di supporto esterno e focalizzato su determinati aspetti. Rappresenta piuttosto una componente strutturale che non solo accompagna e rifinisce, ma determina orientamenti strategici, ridisegna gli assetti organizzativi e di governance e, non da ultimo, interviene anche in sede di esecuzione di progetti e attività.

Come si è giunti a questo punto? Da una parte perché molte organizzazioni, anche di natura imprenditoriale, hanno assunto, spesso come esito di percorsi di accompagnamento, un orientamento di natura esecutiva improntato all’efficienza e alla standardizzazione, salvo poi dover recuperare l’innovazione attraverso promettenti ma anche faticosi processi di open innovation che, non a caso, faticano ad essere trasferiti a livello operativo, salvo il fatto di doversi far affiancare, ancora una volta, da soggetti “ecosistemici”. D’altro canto questi ultimi hanno fatto valere, soprattutto negli ultimi anni, elementi di valore aggiunto della loro proposta di valore riuscendo così a spostare la bilancia del potere di influenza dalla loro parte, rispetto a committenti che invece appaiono indeboliti proprio nella capacità di formulare il loro fabbisogno e di governare il processo di affiancamento. Ecco quindi che società di consulenza, think tank e centri studi, intermediari di coinnovazione, testate culturali, piattaforme di raccolta fondi esercitano ormai un monopolio nel determinare orientamenti e metodi di supporto allo startup e sviluppo oltre che al cambiamento organizzativo, in particolare se si tratta di aspetti particolarmente rilevanti e delicati come “capacitare” le organizzazioni rispetto alla focalizzazione su determinate sfide-obiettivo e al conseguente accesso e utilizzo di risorse veicolate, ad esempio, da soggetti filantropici e della finanza d’impatto.

Gli attori dell’ecosistema hanno dalla loro una spiccata capacità di mettere a valore asset intangibili tipici della società della conoscenza. Basti pensare all’infornata di strumenti (tool) che accelerano processi sociali, design di prodotto e di servizio, business model e, non da ultimo, strategie e politiche. Una cassetta di dispositivi sempre più ricca e articolata e tutt’altro che neutrale in termini applicativi. La veicolazione di questi strumenti avviene attraverso una narrativa (retorica) basata su meta concetti e modelli teorico interpretativi che vengono rappresentati come “rigorosi” in quanto marchiati dal metodo scientifico, ma, alla bisogna, anche estremamente plastici in termini applicativi, come dimostrano, ad esempio, approcci, metodi e metriche valutative. Questa capacità, a volte disinvolta, di applicare un set ampio e diversificato di strumenti facendoli interagire con macro quadri interpretativi genera un ulteriore elemento di vantaggio competitivo a favore di questi attori ovvero una maggiore propensione ad attrarre giovani talenti che evidentemente preferiscono mettere in gioco le loro competenze all’interno contesti dove le capacità elaborative e propositive sono più spiccate rispetto a organizzazioni che tendono invece a mortificarle in quanto appiattite su approcci procedurali ed esecutivi. Non è tutto oro quel che luccica naturalmente, perché le attività consulenziali, di accompagnamento, formazione, ecc. sono forse ancora più esposte a rischi di (auto) sfruttamento, ma in ogni caso basta guardare ai profili “skillati” junior che sempre più numerosi caratterizzano questi attori per avere una conferma del loro maggiore appeal.

Il riequilibrio degli ecosistemi è quindi necessario, quasi urgente perché se questi fattori di asimmetria superano il livello di guardia il rischio è di smarrire i significati che sostanziano questi assetti. Ma come fare?

  • In primo luogo è necessario andare oltre le clausole microcontrattuali per ridefinire la “committenza”. Uno schema impostato su dinamiche di scambio domanda / offerta (non a caso mediate da regole di mercato come per qualsiasi prodotto e servizio) dovrebbe essere rimpiazzato da un approccio di co-investimento certamente più complesso da mettere in atto e da gestire ma, a determinate condizioni, probabilmente più produttivo in termini di valore condiviso e non estratto.
  • In secondo luogo occorre rendere esplicito e agire un paradosso legato all’apertura, ovvero la presenza di temi, risorse, competenze che sono proprietarie e quindi “non esternalizzabili”. Questo potrebbe aiutare la navigazione all’interno di ecosistemi sempre più ricchi di risorse e di opportunità, ma non sempre chiaramente soppesabili rispetto a fabbisogni di sviluppo che, per l’appunto, sono propri perché fondano e riproducono l’identità di ciascun attore.
  • Infine andrebbe reso evidente il sistema di interdipendenze che lega gli attori dell’ecosistema onde evitare che un ambiente con intendi “abilitanti” e “trasformativi” si trasformi in una tecnocrazia che per quanto animata “dalle migliori intenzioni” in termini di supporto tende poi a risolversi in adempimenti rispetto ai quali “i beneficiari” si adeguano strumentalmente per poter accedere a risorse o, in altro caso, la rifuggono assumendo un atteggiamento di involuzione e chiusura particolarmente pericoloso in fasi così turbolente ma anche ricche di oppportunità come quelle attuali.
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