Cooperazione

Logistica, dove i padroncini sono sempre più schiavi

14 Dicembre 2018

A cura di Marco Amendola (interviste, riprese e composizione video), Fabrizio Annovi (infografiche) e Alberto Crepaldi (testi e interviste)

Un mercato controllato da pochi grandi gruppi, fortemente polverizzato e con un crescente livellamento verso il basso di salari e tutele. Parliamo della logistica, settore dominato da multinazionali (Dhl, Sda, Tnt, Ups, Brt, su tutti), che insieme gestiscono poco meno del 60% del fatturato nazionale e che lasciano il resto a quasi 90 mila piccole aziende e cooperative.

Come evidenziato anche da una recente e puntuale analisi (Bruscaglioni L., Cagioni A., Logistica e sfruttamento lavorativo, CAT cooperativa sociale), la caratteristica fondamentale dei servizi logistici, con particolare riferimento al trasporto delle merci su strada, sono ormai le esternalizzazioni nella consegna dei pacchi postali e delle spedizioni. Un processo di “destrutturazione” avviato fra la fine degli anni ’90 e la prima metà degli anni ’00, in seguito alla liberalizzazione del mercato. «Sono gli anni della svolta – puntualizza Roberto Malesani, coordinatore e portavoce di Adl Cobas Verona e Vicenza – , quelli in cui il taglio massiccio dei costi del lavoro permette ad una serie di attori di fare i soldi, nell’indifferenza di istituzioni, politica, mondo cooperativo e sindacati confederali».

In precedenza, il comparto dei corrieri era appannaggio dei cosiddetti “padroncini”.  Che, pure in un contesto di forte concorrenza, godevano mediamente di condizioni di discreta autonomia e forza contrattuale con le aziende committenti, con sufficienti margini di ricavo. Con la liberalizzazione si configura gradualmente, fino a divenire egemone, il sistema di consorzi e di cooperative: una minoranza di ex padroncini diventa imprenditore, utilizzando di frequente la forma cooperativa, mentre la maggioranza continua il lavoro precedente, subendo però spesso un peggioramento salariale, contributivo o di condizioni di lavoro attraverso il passaggio al lavoro dipendente nelle cooperative. «Il sistema cooperativo – conferma Malesani -, dai primi anni del Duemila diventa anche in Veneto di fatto lo strumento con cui istituzionalizzare la differenza di salari e diritti tra lavoratori dipendenti e soci lavoratori fondata su una ascrizione illegittima del lavoro subordinato a quello autonomo».

Anche nella platea di lavoro formalmente autonomo dei corrieri si fa in effetti da tempo sempre più i conti con una vasta zona grigia di finte partite IVA e lavoro autonomo fittizio. E il contesto di forte concorrenza venutosi a creare negli ultimi anni ha determinato un ricorso sempre più ampio agli appalti e ai subappalti – in particolare per la gestione delle consegne di pacchi dell’ultimo miglio – a padroncini e cooperative. Nei casi più estremi, i colli vengono addirittura assegnati a privati che abusivamente esercitano l’attività di trasporto merci, semplicemente utilizzando mezzi presi a noleggio.

E’ in questo scenario che prendono progressivamente corpo e si radicano forme di sfruttamento lavorativo, in cui il lavoro sommerso (irregolarità contrattuali, salariali e contributive) diventa sovente la regola. Con il corredo, a volte, di infiltrazioni della criminalità organizzata, come dimostrano i numerosi filoni di inchiesta aperti negli ultimi anni. «Le cooperative», ci rivela un noto imprenditore veneto del settore che chiede di rimanere anonimo, «offrono agli autisti contratti part-time, generalmente da 4 ore al giorno, quando in realtà ne vengono lavorate almeno 10, per uno stipendio netto mensile che si aggira sui 1.000 euro e che però viene realizzato grazie a voci compensative come rimborsi spese o trasferte, utili ad ad eludere l’imponibile Inps e Irpef: un bel risparmio per chi opera in questo modo!». Con tutto ciò che ne deriva anche in termini di danno all’Erario.

Recente la notizia dell’inchiesta “Ghost Truck” – Camion Fantasma -, eseguita dai finanzieri di Piove di Sacco (Padova), che ha consentito di scoprire una maxi frode fiscale con un imponibile sottratto a tassazione di oltre 10 milioni di euro ed un’imposta evasa di circa 4 milioni di euro. Al centro del collaudato e articolato sistema di frode, una sedicente cooperativa del padovano operante nel settore del trasporto merci su strada che, nel periodo compreso tra il 2013 ed il 2017, al fine di conseguire un illecito risparmio di imposta, ha utilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse da una ditta individuale, con sede dichiarata nel Piovese, rivelatasi essere a tutti gli effetti una vera e propria “cartiera”. Un illecito vantaggio competitivo, ulteriormente amplificato dall’impiego irregolare di ben 96 camionisti in nero. Fenomeno, questo, su cui più volte in questi anni, soprattutto i sindacati di base hanno chiesto di fare luce. Adl Cobas di Verona, grazie al coraggio di alcuni lavoratori, ha recentemente denunciato un sistema di caporalato diffuso nel magazzino MaxiDì di Belfiore (Vr) e in altri magazzini della logistica agroalimentare del Veneto. Il funzionamento di caporalato è così sintetizzato: “il meccanismo è abbastanza semplice. Se sei di nazionalità indiana e hai bisogno di un lavoro, paghi 5.000 euro per avere un contratto a Tarachand Tanwar, meglio conosciuto come “Taru”, che ti mette a disposizione un posto letto a 330 euro al mese in un appartamento assieme ad altre 10 o 20 persone ed inizi a lavorare con un contratto a tempo determinato di tre mesi come facchino per 11 o 12 ore al giorno. Poi iniziano i rinnovi ogni 6 mesi con la speranza di ottenere alla fine il passaggio a tempo indeterminato”.

Quello dello sfruttamento è un fiume carsico che regolarmente riemerge. Come nel caso dell’imprenditore della logistica Floriano Pomaro, detto “il signore della logistica” e che, grazie a un sistema di cooperative che operavano nella piattaforma Acqua & Sapone, aveva creato a Padova un esercito di schiavi tutti extracomunitari. O come nel caso di caporalato scoperto nelle scorse settimane dalla Guardia di Finanza di Pavia, che vedeva coinvolte 40 cooperative che lavorano alla Ceva Logistic di Stradella. Secondo l’accusa, l’organizzazione, che fa capo al consorzio Premium net ed a cui sono stati sequestrati beni per 15 milioni di euro, costringeva i lavoratori a turni massacranti di 12 ore continuative, sotto la minaccia di licenziamento immediato, avrebbe evaso l’IVA per cinque milioni 800mila euro e non avrebbe versato contributi previdenziali per circa dieci milioni di euro attraverso il meccanismo delle false compensazioni di imposta (Iva, Ires, Irap in realtà mai versate).

“Un quadro non esaltante – ci conferma Malesani – su cui purtroppo non esistono delle analisi puntuali per chiarirne l’impatto economico e sociale”.

E che potrebbe ulteriormente aggravarsi per l’impatto che il commercio on-line sta avendo sul commercio tradizionale e sull’organizzazione delle consegne. Ne sanno qualcosa i fattorini che lavorano per il colosso dell’e-commerce Amazon, sul cui modello organizzativo delle consegne, governato da un algoritmo, ha alzato il velo nei mesi scorsi il bel reportage di Chiara Moretti per Adnkronos “Lavoro per Amazon, consegno 200 pacchi al giorno e sono schiavo di un algoritmo. Nel colosso da 750 miliardi di euro di capitalizzazione fondato da Jeff Bezos, i tempi per le consegne sono infatti dettati da un algoritmo. Un po’ come accade per i ciclofattorini di Foodora e Just Eat, l’algoritmo decide i giri, i tempi di percorrenza, il totale, fino ad oltre 200, di consegne da fare entro un numero prestabilito di ore. E naturalmente non sono previste scusanti per gli imprevisti, come il fatto, non così imprevedibile, di rimanere bloccati nel traffico urbano. Il personale addetto alle consegne, poi, non è dipendente di Amazon, ma delle cooperative a cui viene appaltato il servizio. Tutto perfettamente legittimo, come in tanti altri settori, dove ormai la logica delle esternalizzazioni è dominante. “I carichi di lavoro – ci confessa Marco (nome di fantasia, ndr) – sono spesso pazzeschi, ci sono dei giorni in cui arrivo a casa alle 10 sera dopo aver cominciato a correre alle 8 del mattino…paghiamo sulla nostra pelle l’assenza di alternative”.

Ma è aumentata almeno la consapevolezza da parte delle Istituzioni e dei lavoratori? Lo chiediamo a Roberto Malesani, che con franchezza ci fa capire come ancora oggi, nonostante la deriva “schiavista” sia sotto gli occhi di tutti, in territori come quello veneto manchino gli anticorpi necessari a combattere radicalmente lo sfruttamento dei lavoratori.

@albcrepaldi

@amendolamarco

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