Cooperazione
L’impresa fallisce, i lavoratori rilanciano: la cravatta rinasce in cooperativa
«Il paradosso è un’elegantissima cravatta che, a stringer troppo, diventa un nodo scorsoio», scriveva nel 1953 Pitigrilli, al secolo Dino Segre, nel suo Dizionario Antiballistico. Per i dipendenti di Art Lining, tra i primissimi esempi di workers buyout in Italia dal 2008, il destino sembrava essere scritto. Poi, però, la loro storia lavorativa ha preso una direzione diversa. La cooperativa tessile del comune emiliano di Sant’Ilario d’Enza è specializzata nella produzione di interni per cravatte per tutte le più grandi marche del mercato: Armani, Salvatore Ferragamo, Brioni, Ermenegildo Zegna.
Per realizzare questo simbolo di eleganza universale, condiviso da politici, impiegati, uomini d’affari, dirigenti, sono necessarie delle strisce, di cotone o di lana, che vengono inserite nell’incavo del tessuto esterno; circa un metro e mezzo di stoffa che deve essere rifinito con massima precisione per non rovinare il risultato finale. Ad Art Lining la chiamano, con una certa poesia, l’animadella cravatta. Un lavoro di artigianato che vicino a Reggio Emilia ha dato vita ad una lunga storia di eccellenza. I soci della cooperativa sono tra i maggiori specialisti mondiali del settore e la qualità dei partner commerciali – aziende leader nel mercato della moda, tra cui quelle citate in precedenza – è sempre stata lì a dimostrarlo.
Eppure tutto questo know-how, questa qualità, questa tradizione – le radici dell’azienda arrivano fino ai primi anni ’80, la precedente società si chiamava Lincra – rischiavano di andare perduti quando, negli anni zero, i primi sintomi della crisi e la concorrenza di mercati più economici iniziarono a guastare i conti, portando in poco tempo l’azienda vicina alla bancarotta. La vecchia proprietà si era ormai rassegnata alla chiusura: mantenere in vita quell’azienda storica, che durante gli anni ’90 era diventata il leader internazionale nella produzione di interni per cravatte, sarebbe equivalso a prolungare un’agonia, rendendola ancora più straziante. O almeno, così sembrava.
Invece, una volta accertata l’ineluttabilità del fallimento – nel 2008 – alcuni dei dipendenti capirono che non tutto era da buttare: la loro esperienza restava ancora un’eccellenza, e i clienti storici non avevano intenzione di affidarsi ad altri. Per i lavoratori rimasti appiedati, inoltre, trovare lavoro nello stesso settore produttivo sarebbe stato quasi impossibile, trattandosi di una nicchia tanto ridotta. Così, su suggerimento del curatore fallimentare, decisero di riscrivere il finale della loro storia: investire una parte del loro patrimonio e comprarsi l’azienda, formando una cooperativa con un nuovo nome. Art Lining, appunto.
Un nuovo inizio fatto di coraggio, intraprendenza e di discontinuità con la vecchia proprietà. «Ci siamo rivolti a Legacoop e con loro, in pochi mesi, abbiamo sviluppato un progetto imprenditoriale condiviso, individuando 11 soci lavoratori, di cui 8 donne», racconta oggi Stefania Ghidoni, vice presidente della cooperativa. «Il nostro intento era anche quello di recuperare alcune professionalità che, in caso di chiusura dell’azienda, sarebbero andate perse e difficilmente recuperate».
Partita con un capitale sociale da 400mila euro, di cui circa 120mila raccolti dai soci, 80mila da CFI e i restanti 200mila attraverso un finanziamento di Coopfond, la nuova cooperativa – un progetto pilota al quale si sono ispirati molti dei workers buyout successivi – ha conservato il nucleo storico della forza lavoro di Lincra: personale specializzato, impiegato nel settore da 25 anni. «Abbiamo cercato di capire quali fossero i limiti della precedente esperienza imprenditoriale», spiega Ghidoni. «I primi sei mesi sono stati molto duri, con gli ordini che arrivavano a rilento, ma è stato anche un periodo di grande crescita a livello di consapevolezza e di compattezza del gruppo. Oggi non ci consideriamo imprenditori, non ancora. Per passare dal ruolo di dipendenti a quello di soci di una coop è stato necessario uno scatto mentale».
Attualmente Art Lining ha raggiunto il pareggio di bilancio, producendo i primi utili e bruciando anche alcune tappe: il ramo d’azienda è stato rilevato con un anno e mezzo di anticipo rispetto alla scadenza temporale preventivata inizialmente, e l’edificio dello stabilimento è stato acquisito durante l’asta pubblica grazie ad un sacrificio economico non indifferente da parte di tutti i soci. «Passettino dopo passettino, nonostante un fatturato non altissimo, stiamo riuscendo a raggiungere tutti gli obiettivi preposti», analizza Ghidoni. «Ora ci concentriamo sulla crescita». Tutto questo con passione, tenacia e apertura al confronto: Art Lining dialoga con altre cooperative locali che hanno affrontato lo stesso tragitto. Tra esse c’è Greslab, che produce piastrelle.
«Con Antonio (Caselli, presidente di Greslab, ndr) ci sentiamo spesso e ci scambiamo opinioni sulla gestione, dandoci a vicenda consigli e suggerimenti». Cooperare, oggi come ieri, significa anche questo.
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