Cooperazione

Intervista a Riccardo, necroforo: È un duro lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo

4 Luglio 2023

Conosco Riccardo da molti anni, è stato ed è tutt’ora un compagno di bici, insieme abbiamo affrontato le più aspre salite del levante ligure, e quando il fiato lo permetteva non abbiamo perso occasione per raccontarci le nostre esperienze lavorative. È qui che ho conosciuto il  suo lavoro, definiamolo non usuale: il necroforo. La curiosità, favorita dalla  complicità per le fatiche affrontate in bici, mi ha spinto ad approfondire meglio la sua professione, lui come sempre non si è tirato indietro. Inizio col chiedergli come si è avvicinato a questo mondo, inizialmente lavorava in un negozio di pelletteria, le vendite non più confortanti lo costringono ad un periodo di mobilità, in quel periodo conosce il titolare di un’agenzia di onoranze funebri che gli chiede, trovandolo disoccupato, se fosse stato disponibile a dargli una mano per un servizio. Riccardo, più per cortesia che altro, offre la propria disponibilità non pensando di ricevere la chiamata che invece arriva dopo qualche giorno: “domani mattina c’è un funerale, se passi prima in sede ti facciamo provare la divisa e fai questo servizio insieme a noi in piazza S. Antonio a Sestri Levante” città dove vive.

Riccardo rimane inizialmente interdetto, mi spiega che si tratta di una professione che nell’immaginario collettivo, ma anche nel suo, viene vista con un certo sospetto, è comprensibile, si vergogna un po’ della situazione. Dopo il primo servizio ne seguono altri, arriva poi una proposta di assunzione da parte di una cooperativa di servizi che operava nell’ambito del necroforato, dove resta  per cinque anni. La Cooperativa poi fallisce e i soci lavoratori rimasti decidono di costituirne una nuova, mettendosi in proprio. Oggi l’attività ha sette dipendenti più dieci persone che hanno un contratto a chiamata, oltre ai quattro soci fondatori, lui compreso. La Società opera da Busalla a Genova, oltre alla costa del levante checomprende Chiavari, Rapallo, Recco, Santa Margherita, Sestri L. e dintorni. Mi incuriosisce come possa fallire un’attività di questo genere, mi spiega che il loro lavoro rappresenta l’ultimo anello della catena, le Società di onoranze funebri spesso non hanno un numero di addetti sufficiente a svolgere i servizi e così si affidano a cooperative esterne che, operando con una marginalità risicata, non riescono a reggere per lungo tempo alla concorrenza e al calo della domanda. Oltre all’attività caratteristica, bisogna tenere i contatti con il commercialista, ci sono le pratiche per le norme di sicurezza, le visite mediche dei nuovi arrivati, la gestione delle chiamate, la turnazione degli addetti, organizzare la formazione di chi si occuperà del servizio che rappresenta la parte più difficile visto che gli addetti a chiamata non sempre sono disponibili e il lavoro vive come si può immaginare sull’imprevedibilità, è complicato programmarlo, bisogna avere una grande flessibilità.

Spiegami cosa farai domattina gli chiedo: “domani il servizio tocca a me, sarò in obitorio all’ospedale San Martino, prenderò la salma insieme ai miei colleghi, la porteremo nella chiesa di Recco e, dopo la cerimonia, la trasferiremo al tempio crematorio di Staglieno per l’ultima fase, il tutto con annessi e connessi come puoi immaginare. Noi 4 soci facciamo ancora tantissimi servizi, la marginalità risicata non ci consente di ricorrere spesso agli addetti a chiamata, probabilmente pecchiamo anche nell’organizzazione, noi non nasciamo imprenditori, ci siamo trovati in questa situazione. Oltre alla mansione classica di necroforo c’è quindi tutta la parte di gestione di questa piccola cooperativa.”

Sono testimone di appuntamenti mancati all’ultimo momento da parte sua per un giro in bici programmato la sera prima per una chiamata relativa ad un servizio improvviso anche nel weekend.

Ci sono stereotipi sulla tua professione?

Certo, (ride – ndr) basta che guardi quante persone in una via di Milano si toccano le parti intime osservando il passaggio di un carro funebre. Quando ero ragazzo lo stereotipo era che questo lavoro venisse svolto principalmente da chi era in pensione, pensionati quindi che svolgevano il mestiere a volte anche in nero; oggi non è più concesso, ci sono molti controlli ed è raro che succeda, ma la cosa più dura a morire, passami la battuta, è che “porti sfiga” quindi le persone compiono evidenti gesti scaramantici.

Cerco di farmi spiegare meglio cosa vuol dire lavorare per conto terzi e qual è in genere il suo rapporto con l’agenzia di pompe funebri

Il rapporto inizialmente è stato di sudditanza, loro tendevano a farci pesare il fatto di rappresentare l’ultimo anello della catena e se ne sono approfittati, noi abbiamo sbagliato probabilmente a concedere un’eccessiva confidenza ai titolari delle varie cooperative e questo non ha aiutato, col tempo abbiamo imparato. Oggi la sfida è cercare di ottenere un aumento delle tariffe, ci proviamo, un tempo non osavamo nemmeno chiederlo, ora hanno capito che rappresentiamo un riferimento importante, anche noi ne abbiamo preso coscienza, per anni non abbiamo compreso l’importanza della nostra figura nei confronti delle agenzie di pompe funebri che spesso non possono permettersi un numero di dipendenti adeguato, ci siamo per così dire svenduti.

Mentre racconta la mia mente si ferma a pensare alle recenti funzioni funebri alle quali ho assistito, cerco di ricordare oltre al dolore dei familiari l’attività di questi operatori che operano nell’ombra con la massima discrezione possibile. Gli chiedo come gestisce la parte emotiva del suo lavoro, che immagino non sia affatto facile.

È un aspetto con il quale ti ci devi misurare, soprattutto all’inizio, ci sono ahimè defunti diversi, c’è quello che aveva 99 anni, e il contorno, pur di dolore, ha un’emotività di un certo tipo, ma c’è anche la persona giovane che intorno si porta una grande disperazione, il nostro compito è anche quello di interagire con i familiari, non è semplice a volte restare impassibili e asettici di fronte ad una persona che piange disperatamente. Lo strazio diventa veramente pesante, quando si tratta di persone molto giovani o addirittura bambini. Anni fa mi è capitato con una ragazza di soli 18 anni, un’atleta, una funzione particolare organizzata al palazzetto dello sport di Chiavari con tutte le amiche e compagne di scuola e di sport, la proiezione di video di momenti significativi, in quel momento sono dovuto uscire, perché non sono riuscito a reggere l’emozione, piangevo a dirotto, lo ricordo ancora oggi, nonostante siano passati molti anni. Bisogna sforzarsi di pensare che si sta svolgendo un lavoro, bisogna cercare di non farsi coinvolgere, è necessario rimanere lucidi, dobbiamo mantenere un atteggiamento di rappresentanza quasi da corazziere, per riuscire a far fronte all’emotività della gente che hai vicino senza farti coinvolgere. Con l’esperienza si migliora, ma se per tuoi motivi stai attraversando un periodo particolare, sei magari più fragile, ecco che la cosa diventa più complicata, è più facile rimanerne coinvolti”.

Il periodo della pandemia ha influito anche in questa professione, mi racconta essere stato un periodo complicato, quasi si scusa ammettendo che per certi casi è stato più semplice dal punto di vista pratico, la mortalità era naturalmente aumentata, ma i funerali non venivano svolti in maniera canonica, ci si limitava a saluti veloci, la parte complicata era quando ci si doveva recare nelle abitazioni a recuperare la salma come fossero dei medici di famiglia, vestiti e coperti come previsto dalle norme anti-covid, oppure quando avevano a che fare in obitorio con i parenti che non vedevano il deceduto o la deceduta da 15 giorni, essendo passato direttamente dall’ospedale alla sala mortuaria. Le procedure ferree di allora non consentivano nemmeno di guardare all’interno del sacco dove venivano riposte queste povere persone, loro restavano l’unico contatto con i familiari che si trovavano all’esterno e che li pregavano di fare almeno una foto del proprio caro. “Io non potevo aprire il sacco ma ti confido di averlo fatto molte volte per cercare di accontentare i familiari che da settimane sapevano poco o nulla del proprio caro, magari da tempo ricoverato in ospedale” mi racconta di aver visto trattare i parenti in un modo veramente crudo, senza nessuna logica, da parte di alcuni addetti che lavoravano in obitorio, di fronte ad una madre disperata che invocava l’aiuto dei carabinieri, rispondevano: <<chiami pure signora tanto le forze dell’ordine sono dalla nostra parte>>. Ecco noi cercavano di portare un po’ di conforto a quelle persone, magari trasgredendo alle regole, aprendo il sacco e facendo una foto. Questa è stato la parte peggiore in quel periodoTi racconto un episodio, a volte ci capita di fare i cosiddetti recuperi di una persona defunta, in quel caso si trattava di una persona colpita da un infarto a Moneglia mentre faceva il bagno, era un periodo dove la pandemia era oramai nelle fasi finali, non le procedure però che restavano rigide, la figlia chiama la madre a Milano, per dirle di raggiungerla subito per dare l’ultimo saluto al marito. Il titolare dell’impresa per cui stavamo lavorando avvisa la sig.ra che se il padre, dopo il tampone da defunto fosse risultato positivo, i parenti non avrebbero più potuto vederlo. Questa era la regola. Il padre era morto d’infarto, ma se fosse risultato positivo al tampone la causa del decesso era per Covid e quindi doveva seguire tutto l’iter procedurale del caso; i parenti non l’avrebbero più visto.”

Alla luce di quanto raccontato finora gli chiedo se potesse tornare indietro, farebbe ancora questo lavoro?

Ho fatto di tutto, il bagnino, il magazziniere, il commesso ti devo dire che se non avessi avuto tutti gli stereotipi di cui si parlava prima, che condizionavano la scelta per questo lavoro di noi nati negli anni ’60 ti risponderei di sì. Questa professione per i giovani della nostra generazione non veniva presa per nulla in considerazione, oggi invece ci sono molti ragazzi che si avvicinano a questo lavoro, lo può svolgere chiunque, anche chi non gode di particolari professionalità, è retribuito in modo direi decoroso a differenza di altri impieghi, magari nel mondo della ristorazione, che presentano saltuarietà e orari sicuramente più impegnativi. Viene garantito un inquadramento con un contratto di necroforato nazionale, insomma è meglio di tanti altri, sei occupato la mattina e al pomeriggio, alla sera sei libero; un barista o un cameriere non possono dire la stessa cosa è vero però che lavoriamo anche nei giorni festivi. Esiste come per tutti i lavori  la parte peggiore che per fortuna svolgiamo di rado. Succede quando ci viene richiesto di occuparci della prima fase, che comprende la vestizione della salma, un aspetto abbastanza pesante, o quando dobbiamo eseguire le riesumazioni e le tumulazioni nei cimiteri, può capitare quando si aprono le bare dopo 20 anni che non si sia ancora compiuto il processo di decomposizione della salma, le conseguenze non sono simpatiche, ecco perché dal mio punto di vista consiglio sempre la cremazione.

Riccardo è un uomo robusto, probabilmente non tutti sono come lui, il loro è un lavoro fisico, di fatica che presenta il conto ad un fisico magari non più giovanissimo, mi spiega che molti di loro soffrono di infiammazioni alla spalla e ai tendini, la ripetitività di alcuni movimenti eseguiti “a freddo” porta a conseguenze di questo tipo.

“La salma pesa, la cassa pure, anche se oggi la gente spende meno e richiede un tipo di legno meno pregiato e più leggero, poi magari si esce da un’abitazione al settimo piano di una casa ligure vecchia, con scale strette lì il trasporto diventa complicato. Ci sarebbero oggi strumenti automatici per scendere le scale ma ci si scontra ancora con tradizioni che non prevedono di maneggiare la bara come se si trattasse di un elettrodomestico, quindi non resta che il sacrificio da parte dei portantini, che la poggiano sulla spalla cercando di non porla in verticale, a volte viene chiesto, per tradizione in alcuni paesini dell’entroterra ligure, di portare in spalla la cassa dalla chiesa al cimitero, in molti casi il limite dei 25kg a testa viene abbondantemente superato. ”

Ringrazio Riccardo per la sua testimonianza, abbiamo organizzato una delle nostre corse in bici per i prossimi giorni, chissà se troverò mai il coraggio di fargli l’ultima domanda che avevo programmato, ma che non mi sono sentito di fargli: “Oggi hai una consapevolezza diversa della morte?”.

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