Cooperazione

Cooperative in Piattaforma

19 Gennaio 2018

Monica Bernardi per MilanoIN

Sharitaly 2017. Durante l’annuale manifestazione, IN torna a parlare di platform cooperativism, e lo fa insieme ad Alleanza delle Cooperative, Iris Network e la stessa Sharitaly. Ivana Pais, docente di sociologia economica in Cattolica e tra le organizzatrici di Sharitaly, e Flaviano Zandonai, ricercatore Euricse e segretario di Iris Network, seguono rispettivamente i filoni platform e cooperativism evidenziando punti di convergenza e divergenza, potenzialità e problematiche.

Se tra il 2008 e il 2009 la sharing economy era infatti emersa come reazione al modello capitalistico (in vista di una sua dissoluzione) e come osannata alternativa alla cooperazione (basandosi su principi ispiratori molto simili ma su linguaggi e modelli diversi), tra il 2013 e il 2014 si levano le prime critiche (Slee, Baumgärtel, Morozov, ecc. ) perché il fenomeno nel suo sviluppo appare sempre di più una prosecuzione del tradizionale capitalismo sotto mentite spoglie (si veda il precedente incontro di IN sul tema). È ormai chiaro che le nuove forme di impresa orientate alla condivisione e al mutualismo non dovrebbero delegittimare il mercato (come ricorda Zandonai), ma piuttosto evidenziare che esiste una declinazione coesiva dell’economia in grado di riequilibrare modelli capitalistici basati sull’estrazione del valore e la massimizzazione del profitto. In questa fase tuttavia la mancata promessa dell’economia della collaborazione sta alimentando una rivalutazione del modello, un ripensamento dei suoi meccanismi, una rinnovata attenzione alle piattaforme, ma in altro modo, favorendo un ritorno ai valori originari della sharing economy, che nella letteratura più superficiale riconducono al c.d. platform cooperativism. Perché nel momento in cui viene meno la lettura ideologica che ha guidato il diffondersi della SE prima e la sua critica poi, si aprono spazi di confronto che evidenziano le affinità tra il mondo collaborativo e quello cooperativistico. L’accento non è più sulla condivisione di patrimonio ma sulla condivisione di sistemi decisionali e informativi per lavorare, sulla proprietà comunitaria e sulla governance democratica. De Biase, ad esempio, sottolinea che si coopera meglio sviluppando mutualisticamente anche la piattaforma; e come lui la pensano in molti oltreoceano (da Scholz a Gansky).

Non a caso a Settembre 2017 Fondazione Barberini, che è espressione di Legacoop e Innovare per Includere, ha incontrato alcuni esponenti del platform cooperativism, segno che il mondo dell’economia digitale collaborativa e quello della cooperazione hanno iniziato ad osservarsi e incontrarsi. Ora è tempo di confronti, per far emergere dalle affinità nuovi modelli di scambio economico maggiormente radicati nella dimensione relazionale e per valorizzare le differenze come stimolo all’innovazione di entrambi i modelli.

Cosa spinge la cooperazione verso modelli di piattaforma? Cosa c’è di “platformista” nella cooperazione?

Zandonai per rispondere a queste domande mette l’accento su alcuni fattori che spingono in questa direzione:

  • La capacità di aggregare il carattere distribuito e radicato della produzione come nel settore agroalimentare;
  • La necessità di “mettere in pratica” obiettivi di interesse generale, ad esempio attraverso il welfare di comunità;
  • L’esigenza di una crescente di personalizzazione dei servizi come quelli legati all’abitare;
  • La richiesta di una partecipazione più incisiva a livello sociale, politico ed economico attraverso modelli di governance inclusivi;
  • La necessità di rigenerare, diversificando le forme d’uso, risorse “dormienti” (infrastrutture immobiliari, energetiche, culturali).

Inoltre sottolinea alcuni snodi critici della digital transformation in chiave cooperativa:

  • La costruzione di un marketplace “su misura” all’incrocio tra economia dei flussi e valore localizzato (ad esempio la cooperativa vinicola che vende i propri prodotti sul portale Alibaba);
  • L’uso della piattaforma come un veicolo di cambiamento radicale anche in senso identitario, ad esempio con i soci che passano da lavoratori a imprenditori in rete, o semplicemente come un ramo dell’azienda che diversifica il business as usual;
  • Chiama in causa anche le competenze di community management sia interne alla compagine sociale, sia presso una più ampia platea di interlocutori;
  • Consente di allargare e consolidare l’intelligenza collettiva per nuovi modelli di open innovation;
  • Far funzionare questa intelligenza collettiva significa avere una buona governance, o meglio una buona e-governance (democratic design e tecnocrazia diretta; oggi chi cerca di fare democrazia economica di fatto crea valore).

Zandonai porta ad esempio due sperimentazioni: Fairmondo  e  Garabombo. La prima è una delle principali piattaforme cooperative (digital): nata in Germania rappresenta una sorta di “e-bay” etico che promuove aziende e produzioni del commercio equo; la seconda è il festival del commercio equo e solidale organizzato da Chico Mendes Onlus a Milano ormai da vent’anni (analogico). Entrambe operano nello stesso comparto (fairtrade) e con lo stesso modello (coop), propongono modelli di consumo ormai mainstream e hanno un approccio di forte competizione al capitalismo; si trovano nel pieno di una trasformazione interna (ossia sono realtà nuove che reinterpretano attività “vecchie”) e sono al contempo sia mercati che piattaforme. Ne consegue che la cooperativa al tempo del digitale non rappresenta più soltanto una forma giuridica ma anche un “meccanismo di coordinamento” (tra soggetti non omologhi) che si rafforza nella misura in cui è impact driven. Pertanto è necessario un processo di riconversione, e non di ristrutturazione, del cooperativismo.

Un processo di cui siamo solo agli albori. Ivana Pais, infatti, sottolinea che nella mappatura delle piattaforme 2017, presentata durante la prima giornata di Sharitaly, non ci sono platform cooperatives, a dimostrazione del fatto che il dibattito, al momento, è sicuramente più forte delle pratiche. La sociologa mette l’accento su alcune caratteristiche delle piattaforme da considerare nell’ipotesi di applicare il modello alle cooperative, aprendo così a nuove domande.

Infatti nelle piattaforme:

1.      troviamo un modello di interazione P2P, e la figura ibrida del prosumer, che se applicati alle cooperative impongono necessariamente un rinnovamento della mutualità cooperativa e nuove forme complementari di reciprocità. Si genereranno cooperative altrettanto ibride oppure no?

2.      si “reintermedia”, dunque il modello è decentrato, può valere anche per le cooperative?

3.      la struttura organizzativa è aperta, quindi come si può garantire l’adesione ai valori alla base della cooperativa? Si pongono dei vincoli di ingresso (e allora l’organizzazione open decade) oppure entrano tutti? Si opera una successiva autoselezione? o non si impone nessun tipo di limitazione?

4.      l’obiettivo è scalare, viceversa la piattaforma non riesce a sopravvivere; e infatti le più forti sul mercato sono le piattaforme con alle spalle grossi finanziatori e venture capitalist. Come si applica tutto questo al mondo della cooperazione? E al rapporto con il territorio? Chi potrebbe finanziare le cooperative di piattaforma? E come sostenersi invece in assenza di risorse e di un ecosistema efficiente e solido (come quello che abilita il modello for profit)?

5.      la dimensione tecnologica ha una notevole rilevanza e spesso genera logiche di polarizzazione ed esclusione, anche molto forti: come conciliarla dunque con il modello cooperativistico? Come assicurare il ruolo di inclusione sociale tipico delle cooperative? Come evitare l’emergere di nuove disuguaglianze?

Diversi esempi nel mondo confermano i dubbi aperti dalle considerazioni di Pais: la proposta di Schneider, (University of Colorado Boulder) di acquistare collettivamente Twitter ad esempio, pur essendo stata avanzata ormai nel 2016 e pur basandosi sulla buona idea di trasformare una realtà potenzialmente estrattiva in una piattaforma redistributiva, di fatto non è stata accolta; la platform cooperative Stocksy (dai proprietari di IStockPhoto) al momento si sta scontrando con le prime criticità che evidenziano una tendenza alla polarizzazione non indifferente: è infatti emerso che una piccola fetta di utenti riesce a guadagnare molto in quanto in grado di sfruttare a pieno le potenzialità della piattaforma mentre la maggior parte degli iscritti non fa ricavi; SMart (Société Mutuelle d’Artistes), nonostante il successo raggiunto in Belgio, si è di recente scontrata con un cambio di normativa imposto dal governo belga che ha bloccato quella che era la prima sperimentazione in assoluto di contrattazione dell’algoritmo: SMart infatti aveva garantito a oltre 2 mila riders di Deliveroo la possibilità di un impiego contrattualizzato come lavoro dipendente, pur restando freelance; tuttavia il governo ha offerto a Deliveroo l’opportunità di aggirare l’accordo di negoziazione con la cooperativa, costringendo i riders contrattualizzati a tornare a fare gli “imprenditori di se stessi” (finti lavoratori autonomi).

Questi esempi dimostrano come, nel tentativo di realizzare una convergenza tra piattaforma e cooperativa, stiano emergendo problematiche che non è possibile non considerare. Come ha ricordato, durante l’incontro, Mattia Granata di Fondazione Barberini, il cambiamento non può essere perseguito senza una profonda riflessione su significati e natura del fare cooperativa da un lato e del fare impresa collaborativa dall’altro; occorre trovare il terreno in cui le due esperienze possano confrontarsi, individuare gli strumenti da mutuare reciprocamente e gli aspetti dell’una positivi per l’altra, e viceversa. Nel realizzare questa convergenza e trasformazione occorre fare attenzione a non assumerne anche gli aspetti negativi; occorre ricordare che la cooperazione è di fatto una forma di impresa che agisce sul mercato e che nasce per disintermediare organizzando la domanda e l’offerta e vantaggio dei suoi membri; che può allargare i propri campi d’azione e sviluppare nuovi servizi e modelli organizzativi, nuove forme di mutualità o nuovi approcci di engagement e creazione di comunità approcciandosi al modello “platformista”. Occorre anche tenere presente che l’economia collaborativa stessa può migliorare avvicinandosi al modello cooperativista, traendo importanti spunti in termini di governance, rapporto con le comunità fiscali e attenzione all’impatto sociale.

Le riflessioni proposte durante l’incontro, alla luce delle sperimentazioni che si stanno diffondendo, andranno sviluppate e articolate ulteriormente in futuro per evitare il diffondersi dello stesso entusiasmo generato agli albori della sharing economy e poi mutato in aspre critiche. Se davvero si vogliono aprire strade virtuose di innovazione sistemica e di rinnovamento dei modelli socio-economici attuali occorre ragionare insieme agli stakeholders, compresa la cooperazione organizzata, per comprendere come far convergere piattaforma e cooperativa e come riconvertire questi modelli in modo che possano davvero creare valore e generare benefici equi e collettivi.

 

 

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